La dolcezza è nel tatto delle mani di chi la riceve e la sa ascoltare. Le nobildonne osavano tutto con le mani e tramite queste mascheravano la loro algida ritrosia. I guanti indossati dalle dame servivano anche a tale scopo.
Erano una guaina di nascondimento per coloro alle quali guardare l'altro diritto negli occhi era rimproverato in quanto gesto di scandaloso ardimento. La mano nuda è simbolo di purezza che dà e onora. È quanto ci resta ancora della primordiale corporea verginità. Le suore fino a due secoli fa avevano maniche lunghe a celare i polsi che potevano evocare nell'uomo quell'invito al piacere seduttivo.
Le mani parlano nei dipinti rinascimentali. Porgono e conducono a Dio. Insegnano e sono materne e paterne. Forgiano gli animi come artigiani alle prese col legno e con la creta.
La gestualità delle mani comunica il nostro subconscio. La mano esprime il nostro mondo velato e tradisce sentimenti di compassione e paura. È invitante la mano, perché danza e agisce nella moderazione. Da qui deriva la menzione di "mano morta" in riferimento ai suoli della Chiesa nel Medioevo non sottoposti a tasse e a dazi e pertanto alla consunzione del tempo espressa tramite la gestualità delle mani.
Come le conchiglie, le mani aprono e chiudono riportandoci al mistero sacro che risiede in noi. Sono la volta stellata e il suolo su cui incede il nostro passo. Siamo in cammino anche con le mani che ringraziano e solcano il velo delle preghiere e il deserto da altri mai percorso delle nostre lacrime.