Alla fine dei giorni forse forse si ricorda solo ciò che non si è vissuto. È lì che abita l'eternità del cuore. In quelle parole non dette, nei gesti mancati, nelle situazioni non rischiate. Soprattutto nelle ultime, e proprio qui giace in sonno l'amore non vissuto, quello vero che altrove fa palpitare sguardi e petto.
Dove finisce il nostro potenziale non edificato? È questo uno dei quesiti più significativi che pongo all'interno del mio primo romanzo "Il canto di Yvion", e ancora irrisolto. Forse sale alle stelle per ricongiungersi ai destini delle persone migliori, quelle che sanno lottare perché animate di ingegno e intuito con cui distinguere ciò che è proprio e cucito all'anima, da ciò che è effimero. Il potenziale non vissuto è l'humus che riconsegnano alla terra le stelle lodate dagli incapaci, spesso poeti sensibili al punto da vedere il bello anche nelle anime orride, e per questo propensi a bruciarsi.
Il nostro non vissuto migliore ritorna alle stelle ed è questo il fertilizzante animico per le genti di domani..