Induce a profonde riflessioni come le creature più piccole presenti sulla terra e che vivono a stretto contatto col terreno, come gli insetti, ricordino l'immagine che noi abbiamo delle creature sopravanzate discese dallo spazio.
È come se il Cosmo si fosse piegato verso la terra riscattandola dalla sua materica criticità. Se vogliamo volare in alto, al di sopra delle nostre conoscenze e sorvolare i cieli dobbiamo ricondurci a ciò che è piccolo e infimo. È questo il riscatto fondato sulla redenzione a cui la cultura della luce ci chiama. Le api, le vespe, così come le formiche nelle loro strutture sociali elaborate e ben definite rimandano a tradizioni marziali molto antiche e al culto di un ordine intrinseco che vive nel rispetto dei propri simili ed è di supporto ai meccanismi di equilibrio che governano dall'interno la Natura.
Se pensiamo alla Natura ci soffermiamo su quanto accade intorno a noi o sotto i nostri piedi e alla terra che ci sostiene. La Natura in realtà dovrebbe essere tutto ciò che è ascrivibile alla nostra dimensione e quindi contemplare anche le regioni del cielo e quelle ancora superiori a noi sconosciute e che definiamo Cosmo. "Natura" e "Notte" hanno la stessa radice etimologica che rimanda al momento stigmatizzato dell'origine della vita sulla terra. La fuoriuscita dalle tenebre nelle culture più evolute sarebbe avvenuta sopra di noi con una forte emissione di luce. La luce esprime il lato divino della Natura e conserva in essa le profonde origini. Luce e Mistero sono le caratteristiche della divinità che si esprime forando le tenebre della logica tesa a ingabbiare l'uomo nell'era della modernità.
Attraverso l'esperienza spirituale della luce è stato possibile la traslazione degli individui a persone. Una traslazione semantica che ci sbilancia verso altri orizzonti tesi a liberare l'uomo da congetture e idolatrie.
La luce che fora le tenebre e conferisce al mistero il dono del verbo è espressa attraverso la figura dell'indovino.
L'indovino è altro dal profeta sicuramente una figura più profana e meno legata alla dimensione dell'assoluto. Il profeta delle culture mediorientali ha subito nel tempo uno slittamento semantico che lo ha portato a un impoverimento della sua funzione. Il termine profeta lo troviamo nel lessico colloquiale svincolato da ogni influenza e connessione col divino. È l'espressione della rottura dell'alleanza con Dio in un tessuto sociale gerarchicamente ben strutturato e che giustifica nell'ordine derivante da lesgi terrene la propria legittimazione. È quanto accade nei territori in cui la religione come istituzione politica e militare ha preso il sopravvento sulla divinità.
L'indovino invece che opera nella divinazioni è fonte di luce nel mistero. "Indovino" e "Divinità" hanno di fatto la stessa origine etimologica che poggia sulla luce e sui suoi misteri non da tutti perlustrabli e decifrabili. In questo si esprime il carattere sacro dell'indovino che le tradizioni druidiche hanno mantenuto tale nel tempo. L'indovino è sacro e quindi unto. Nella parola "Sacro" ritroviamo la radice sanscrita presente nelle parole "Cristo", "Krishna", "Crismi". L'indovino quindi è una figura incorruttibile e predestinata. Negli ambienti nord europei è il mago. A lui la capacità di guarire e influenzare in positivo quanto accade sulla terra, perché questa è immagine del cielo.