Se la settimana ha in sé molteplici significati, altrettanti ne contiene e produce la parola "mese". Tale etimo si riconduce a "messe" col valore di "raccolta". Il mese è una raccolta di giorni, parrebbe suggerire la relazione con "messe".
In realtà i mesi sono una fila di giorni ben ordinati, ciascuno diverso dall'altro e con una propria marcata individualità, a esprimere nel tempo l'immagine variegata e infinita che trasferisce in noi la presenza attiva e produttiva della Natura. La raccolta contenuta nel significato di mese allora forse fa riferimento a quanto prodotto dall'azione dell'uomo nella vita, che anticamente parte dall'organizzazione e dall'intervento nell'agricoltura. Riprendendo quanto già detto, la campagna e la cura di essa ripongono l'uomo a stretto contatto con Dio che si è reso presente nel mondo attraverso la creazione e la Natura. Coltivare inizialmente era la forma di preghiera più alta che l'uomo potesse offrire al Creatore. Curare alberi da frutto e ortaggi significava deporre ai piedi dell'altare mazzi di fiori. A mano a mano che l'agricoltura si evolveva e organizzava trasferendosi dalle forme di baratto al commercio vero e proprio, l'uomo ha avvertito l'esigenza di non disperdersi tra le richieste del mondo e di destinare a Dio preziosi momenti della giornata.
La vita è sì lavoro, ma anche riflessione che ci riporta, partendo dallo studio del reale e della Natura, al principio primitivo che vede l'uomo a immagine e somiglianza di Dio. La speculazione e la riflessione servono a questo, a rinsaldare la provenienza e l'identità dell'uomo messe a rischio dal lavoro a seguito delle compense in guadagno.
L'avaro è colui che brucia il tempo che Dio ha destinato all'uomo, investendolo tutto nell'accumulo e saltando così le fasi ritmiche della giornata interpuntate di pause e di silenzio meditativi. Non dimentichiamo che nel Vangelo Gesù si è fatto interprete della giornata ideale di ogni buon credente, alternando momenti di lavoro al servizio della comunità, nei quali insegnava la buona Parola, ad altri invece di sorrisi e condivisione di una sana leggerezza con i suoi prescelti, ad altri ancora di solitaria meditazione.
Il diavolo è nella rottura della cadenza ritmica, fondamentale perché il ritmo fa avvertire in noi i processi che compie il Padre, intervenendo nella storia e riportandoci a lui interpretati in chiave filosofica con i termini di Immanentismo e Trascendenza.
Parimenti all'avaro ma in opposizione a lui, troviamo la figura del nullafacente, colui che brucia il suo tempo rendendolo improduttivo verso se stesso e gli altri, oltreché verso Dio. Il nullafacente è l'ingrato. Ossia colui che non mette a frutto i talenti donati da Dio, ma se l'avaro si ostina nella sua posizione, il nullafacente è più facile che ritorni sui suoi passi attraverso un evento che lo faccia riflettere e cambiare strada. È quanto riscontriamo nella vita di molte figure di santi, convertitisi a una vita povera e di preghiera.
L'avaro o accumulatore al contrario del perdigiorno e dissipatore trova spazio non nelle tragedie ma nelle commedie che tendono col sorriso a far riflettere su uno stile di vita sbagliato. Il vecchio taccagno che si crede più furbo degli altri e che viene smascherato è un personaggio della commedia dell'arte. Lo troviamo ben espresso da Plauto e a seguito da Moliére nel suo celebre "L'avaro".
Il nullafacente è invece un personaggio tragico. È colui che d'incanto, nella monotonia dei suoi giorni, riceve una chiamata da Dio che può avere tante sfumature. È colui che cambia strada esprimendo quindi una rottura con la vita precedente. Il figliol prodigo, l'Innominato manzoniano sono figure tragiche che d'improvviso ricevono il seme della conversione e decidono di accudirlo e di farlo crescere in loro.
La disponibilità alla fede è data a tutti, ma è di pochi la volontà e la predisposizione a seguirla. Il nullafacente, il riccone smoderato sono coloro che decidendo di accudire il seme nella loro anima, accettano la morte alla vita precedente e di tramutarsi in albero che matura nella nuova luce. È questa un'idea di passaggio dalla morte alla risurrezione che predispone alla Santità, ben rappresentata dalla figura di San Francesco d'Assisi.