Solitamente attribuiamo l'origine etimologica del termine "calice" al greco "Kalupto: nascondere" e non al latino "calo is: chiamare". In realtà, entrambe le derivazioni sono vere e complementari e riconducono al significato vero di "calice" che, come abbiamo detto precedentemente, acquista valore con l'episodio dell'Ultima Cena di introduzione alla Passione di Cristo.
Alla radice "calo" fa riferimento il verbo inglese "to call: chiamare" ma nel caso del calice esso acquista un significato congiunto a quello religioso che troviamo per corrispettivo nella vocazione sacerdotale. Il calice è di fatto il mezzo che chiama a diventare autenticamente figli di Dio attraverso la somministrazione del sangue di Cristo considerato nel Medioevo "sangue reale" in rapporto a quanto detto espressamente da Gesù "Io sono re". Il calice oltre ad essere strumento di redenzione è anche mezzo di elevazione spirituale che consente all'uomo di immettersi sulla strada dell'incontro con Dio.
Nel linguaggio sacro non c'è chiamata che conduca alla rivelazione e la rivelazione del calice a Parsifal, il cavaliere dal cuore puro, è in realtà a tutti gli effetti una teofania.
Parimenti al cielo dal significato di "nascondere" con l'intenzione di proteggere dagli impuri ossia, dai profani, il calice in quanto parte dell'arredo sacro ma motivato e giustificato direttamente da Gesù, si ricongiunge anche al significato di nascondere in rapporto al suo contenuto. Difatti, al momento della consacrazione il celebrante scopre il calice togliendogli il coperchio che lo rende liquido ed embrione di forma sacra. Il calice prima della consacrazione è a tutti gli effetti la coppa che contiene il seme di vita eterna. Il sangue e ogni fluido interno riportano al liquido seminale e tramite il vino transustanziato in sangue di Cristo durante l'Ultima Cena Gesù da avvio alla nuova stirpe celeste.
È responsabilità del celebrante e di ciascun fedele presente alla liturgia far sì che il vino contenuto nel calice si trasformi in sangue di Cristo acquisendo una identità precisa e completamento del pane che diventa corpo. È proprio la presenza del calice che racchiude il sangue Celeste a compiere la traslazione dagli antichi riti isiaci e dionisiaci a quello strettamente cristico, unico e patriarcale. È la derivazione sanguinea che rende Gesù il Cristo e proprio su questa ereditarietà di sangue si costituiranno le varie forme di cavalierato medievale.
La coppa, la circolarità del calice in rapporto al mistero del sangue ora riportato si separano dalla circolarità terrena e cosmica che abbiamo visto enunciata visivamente dalla ghirlanda, per assumere la perfezione del cerchio celeste che va oltre la dimensione visibile della volta del firmamento. Io sono di un altro mondo, dice il Signore, indicando una dimensione altra rispetto a quella tastabile con i sensi, e che è rapportabile per via esemplificativa alla configurazione di un cielo molto più etereo e puro rispetto a quello comunque materico che siamo soliti ammirare.