Nei miei articoli ho parlato spesso delle feste congiuntamente al loro primitivo valore che non è profano, bensì sacro. La festa ha difatti il compito di riportare l'uomo alla sua centralità che è Dio.
Dio è amore e appagamento totale e attraverso la Natura l'uomo antico si riportava al paradiso perduto che nelle varie tradizioni religiose assume connotati specifici. Resta la bellezza, quel clima di spensierata condivisione che rende l'uomo al fianco di Dio e suo privilegiato riflesso.
Il termine "festa" riassume in sé il "desiderio" di quanto accade, espresso dal verbo "fio is: divenire" e dal verbo "facio-facis: fare". La festa è il presente in cui si concretizza Dio. È gioia del ristabilito rapporto in Dio, reso dalla centralità nel proprio sé. Da qui la necessità nelle feste agricole primitive del raggiungimento di stati d'ebbrezza in cui abolire ogni forma di barriera col principio creatore.
Dio è Amore e gioia e il protocristianesimo ne era alquanto consapevole, al punto da andare incontro al martirio con la gioia nel cuore. Oggi la festa è dispersione, tutto fuorché allegria e centralità. Abbiamo smarrito la via di Dio e non riusciamo a godere di nulla, neanche del nostro ritrovarci. Le feste oggi sono il contrario di quanto vissuto anticamente, nonostante un tempo le disuguaglianze sociali fossero più profonde e radicate. Con le feste cedeva ogni barriera terrena nel nome di un Dio unico e ciò spiega la ragione nel tempo di Carnevale, senza che questi se ne risentissero. Davanti a Dio tutti chinano il capo e si ritrova la logica alla base della ghirlanda, di quel sentimento di condivisione in orizzontale che conduce al confronto alla pari e alla creatività.
Oggi il non senso ha sconfitto Dio e la profanità ci restituisce il volto scialbo delle feste ridotte a esagerati banchetti di famiglia che lasciano nauseati tutti e con una voragine d'insoddisfazione nel cuore. Il cibo si vorrebbe che colmasse la latitanza di un Dio sempre più evanescente e disincantato, fin troppo umanizzato negli aspetti più materiali che lo allontanano dalla sua essenza. Non si potrebbe parlare neanche di profanizzazione perché se c'è la profanità esiste il suo alter ego che è la sacralità. Oggi non esiste più alcun riferimento a ciò che è sacro e le tradizioni dietro i festeggiamenti non sono nei migliori casi che rievocazioni storiche di avvenimenti lontani nel tempo e distaccati da noi. A questo concetto ci riporta l'attualizzazione del termine "fasto" collegato a "festa" di cui celebra l'esaltazione di Dio. Oggi i fasti e gli attuali festoni servono a celebrare l'oblio dell'uomo, il suo vagare a zonzo senza meta, perché smarrita è la via. La potenza divina è stata destituita e sostituita dalla sete di potere dell'uomo che celebra se stesso attraverso l'esternazione di ricchezze perpetrata proprio in occasione delle feste, durante le quali maggiore è il divario tra chi ha tutto e chi non possiede nulla.