Purtroppo un ruolo forte nei rapporti sentimentali svolge la dimensione del sogno a cui segue l'inevitabile caduta nella delusione. Il sogno innalza spingendoci all'indietro, fino alla culla dell'integrità dell'anima, ci riporta a prima che vi fosse ogni divisoria distinzione.
È del sogno condurci a ritroso affinché ritroviamo la nostra valle perduta, offrendoci la possibilità di muoverci nella foresta di metafore e simboli che riscaldano e ricostruiscono tracce di familiarità nel nostro affannoso percorso. Capiamo bene quanto labile e profondo sia questo regno nascosto e leggero quanto un velo dalle trame trasparenti.
La leggerezza e la tenerezza sono virtù proprie del mondo delle nenie che accoglie dietro gli spazi del giorno l'incontro nella dolcezza di madre e pargolo. Dovremmo imparare a toccare i bambini come fossero di porcellana delicata, con la mano gentile che richiedono le gioie delicate in apertura al senso della vita. Come petali che si offrono alla luce e bevono e trasudano gloria e ringraziamento.
La ali di farfalla che si posano ricordano che la fragilità è il confine silenzioso tra la robustezza del reale e il magico tessuto del vero che ci culla sui flutti dell'oblio. Immaginare senza toccare. Sentire con il labbro degli occhi è la tessitura di un mondo che veglia dall'alto e che noi scompaginiamo urlando e creando rumore.
Cosa non può l'impalpabilità delle ali? Sposta i piani azzurri riconducendo a noi quanto è provvidenza realizzata. Cancella pareti e rocce, sbarre e case buie per donarci l'inattesa verità di non essere soli. Attribuiamo con ciò nel silenzio di un momento che varca lo spazio e il limite del tempo, il valore di una visita piovuta dal cielo o da un lontano luogo immaginario, a due ali di farfalla che si posano. Esse ci lasciano intuire un dolce destino scritto in precedenza per noi e lì lì per compiersi.
È bello il verbo toccare. Ha un suono forte e delicato che fa vibrare il pensiero. È un incontro perfetto, straordinario che piega la curva della vita fino a baciarci gli occhi. Il verbo toccare ha in apparenza un timbro onomatopeico ma è di più nel tanto poco. Lo riferiamo al toc toc del bussare o al rintocco delle campane festose. In realtà, il toccare è un gesto labile avvertito più che ascoltato. Ci tocchiamo con gli occhi, col pensiero, con le labbra nella distanza. È un incontro improvviso che vola via piegando la volontà del destino o forse, imponendosi ad esso e schiudendoci gli occhi nell'ignoranza.
È dell'ignorante non comprendere il proprio destino e "tocco" deriva proprio dalla radice di "tuke: destino". Il destino non va inteso come una realtà superiore d'intralcio o nefasta. Questo è la Moira Atropo. Il destino è quanto ci lega all'eternità e ai suoi disegni velati, e ci lega nell'eternità togliendoci da dove siamo.
Il tocco di una farfalla che bussa alla vista andandosi a sedere sul fiore che accoglie il nostro sguardo. È la Tuke che si ferma davanti a noi in un tempo tutto suo, e rallegrandoci e alleviandoci i pesi sul cuore.