L'INTERVISTA. L'assurdita' del normale. Il regista Fabio Luigi Lionello e il tratto sensibile della creativita’
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L'INTERVISTA. L'assurdita' del normale. Il regista Fabio Luigi Lionello e il tratto sensibile della creativita’

La normalità fa male, la normalità è contronatura. L'individualizzazione e’ nel principio della vita la quale opera nel proteggere e difendere il diverso.

Attraverso lo sguardo filtriamo la varietà del mondo che genera il sorriso e ci proietta nella vita. La vita e la Creazione d'impulso alla vita poggiano sul principio della costruzione che muove in avanti, germogliando sulla distruzione. L'incipit della vita si evidenzia nell'affermazione della propria individualità che porta ad essere autentici e genuini senza alcuna forzatura. In una civiltà che con violenza cerca di affermarsi sulla verità insita in ciascun individuo, lo spettacolo che si astiene dalle forme di spettacolarizzazione è autentico e in linea con la verità perché nella verità si esprime la creazione che non ha bisogno di nulla, tranne che della propria nudità. Il Teatro di oggi nel suo discorso più consapevole si uniforma ai principi secondo cui l'attore nella sua nudità è posto a confronto con se stesso e da questa sua forma di umiltà nasce la capacità di incidere un'emozione nel pubblico.

In una realtà che dà importanza a imprinting disorientanti e opera sulle sovrastrutture, il teatro formativo è quello che guarda all'uomo, riproponendo il suo tessuto primitivo. Il regista è pertanto, colui che sgrossa l'attore e lo mette a nudo.

L'intervista che stiamo per leggere è rivolta a un grande regista e narratore del Teatro e del Cinema capace di condurre con una ineccepibile maturità di pensiero il tema della verità e della ricerca della stessa. Fabio Luigi Lionello, primogenito del grande Oreste Lionello, ha trasferito la propria idea di creazione su palco e su pellicola, a riflessione avvenuta sul mondo e sulla propensione negata al particolare, vivendo con spirito d'impegno e missione il proprio lavoro.

Regista Lionello, ho avuto modo di vedere nonché apprezzare il suo corto nel tempo di Coronavirus, egregiamente interpretato da Eleonora Manara. “Rinchiusa” mi ha colpita per la magnetica identità che la distingue da tutti gli altri corti. E’ un lavoro per molti versi a carattere teatrale, focalizzato su ambienti ristretti, scelti molto bene per evidenziare in modo toccante la negazione della libertà con conseguenze assurde e strazianti. Eleonora è il fulcro e l'anima del corto che ironicamente sbilancia sul paradossale. Un'ironia percepibile ma senza eccessi che potrebbero fuorviare dal senso di questo lavoro che nella trattazione del paradossale assume carattere grottesco e rimanda ai film horror anni Novanta, come il francese Delicatessen.

“Tutto nasce dalla penna straordinaria di Enza Li Gioi proprietaria del locale Lettere Caffé dove si sono esibiti artisti del calibro di Guccini, e che ho conosciuto tramite Eleonora Manara. Abbiamo collaborato insieme nel lavoro “Emma B.” creato e voluto da Eleonora e qui io ho contribuito nel mio piccolo a dare una svolta allo spettacolo che per come era stato messo in scena precedentemente non coglieva l’ironia del testo. Io ho esaltato quell’ironia alleggerendolo, rendendolo più “digeribile” dal pubblico. Un aspetto che mi contraddistingue è il modo di concepire il Teatro e di porgerlo con la dovuta attenzione allo spettatore. La mia missione è riportare il pubblico a teatro. Ciò non significa seguire i gusti della gente e assecondarli, ma evitare che il superfluo disturbi. Prima di parlare di “Rinchiusa", vorrei dire giusto qualcosa su “Emma B.” che è teatro e cinema. Esso nasce mettendo insieme dodici corti sulla realtà del personaggio, e mentre nel film si avverte la dimensione reale, nella parte teatrale risalta la maschera.”

Questa sensibilità che lei manifesta nella cura del pubblico, la caratterizza e differenzia da tanti suoi colleghi che invece tendono a fare colpo sul pubblico, impadronendosi della sua emozionalità, con punte di feroce aggressività. Questa sua qualità sensibile che io non esito a definire una sottile e intelligente forma di dolcezza emerge anche in “Rinchiusa".

“ “Rinchiusa” nasce dalla scrittura di Li Gioi come corto sulla bulimia. A lei feci notare la qualità intrinseca di essere riadattato al tempo di Coronavirus. Era il giusto lavoro con cui evidenziare come la perdita della libertà potesse portare allo squilibrio interiore e mentale. L'esasperazione a cui conducono le ristrettezze, come succede al pizzaiolo che incendia il suo locale, ha realmente indotto a gesti impensabili riportati dalla cronaca, tra cui quello del negoziante che da' fuoco ai propri abiti, perché non intravede alcuna via d'uscita per la ripresa di quella che era la normalità.”

L'assurdità da’ sfogo a comportamenti irrazionali che poi esplodono, e grazie all'impronta ironica vengono più facilmente assimilati senza perdere d'intensità. Cito a riguardo la voglia di dolci che assale la protagonista. Questo aspetto è la reazione alla pacatezza di Conte che parla alla Nazione come da un piano parallelo rispetto alla narrazione inerente alla protagonista e alle singole vite.

“Le cose nascono e finiscono, ma sta a noi saperle affrontare e risolverle dentro di noi.”

“L'uomo è in come agisce e reagisce durante la navigazione. In genere si da' molta importanza al fatto. Qui invece, un fatto vero e proprio non c'è. Esiste ed è forte la reazione psicologica al problema e in tale prospettiva trovano la giusta collocazione l'inizio e la fine del lavoro. Come spiega lei la mancanza di attenzione ai processi lenti di maturazione anche nelle sceneggiature?”

“Oggi, diffusamente manca la pazienza. Il passare del tempo è visto come spreco che si traduce in perdita di soldi. L'uomo vede e desidera nell'immediato ma non pensa a come ottenere l'oggetto. Abbiamo tutto sotto gli occhi ma non possediamo nulla.”

È l'era digitale. L'uomo vede e resta insoddisfatto, perché innanzitutto non possiede se stesso. Oggi nessuno è. Tutti esistono ma nessuno è, perché nessuno coglie se stesso, in quanto non motivato a farlo. Ricollegandomi a quanto detto da lei in precedenza, mi permetto di aggiungere che oggi nessuno è, in quanto nessuno è libero.”

“Esattamente. I giovani oggi pensano che la loro libertà sia uscire, incontrarsi, fare tardi, ubriacarsi. Questa non è libertà. È semmai una forma di reazione alla mancanza di libertà.”

Sono d'accordo con lei, regista Lionello. La gente oggi reagisce violentemente perché non sa cosa sia la libertà. Siamo tutti, come nasciamo, profondamente condizionati. Suo padre ha vissuto un'altra era dello Spettacolo. Quanto in chi è lei come uomo e artista, è presente l'influenza di Oreste Lionello?

“Sicuramente l'influenza di papà in me la riscontro, ad esempio nel concepire la comicità non come evasione spicciola, ma come una forma di arte intelligente e poi, nel divertimento che in me suscitano i contrasti. Papà appartiene alla vera comicità del Bagaglino e io mi sono formato avendo come riferimenti Pippo Franco, Gullotta e altri di quel tempo.”

“Quanto l'assurdo può rivelarsi comico?”

“La comicità vera è difficile da rendere e il Teatro dovrebbe riuscire a estrapolarla dalle situazioni portate al limite, unendola alle regole ferree che la stessa comicità richiede, perché la gente colga il senso dei contenuti e si diverta anche.”

Non può esserci comicità intelligente senza analisi critica del reale. Viviamo in un mondo dai difficili equilibri e trovare l'assurdo oggi è per molti versi difficile perché è la vera normalità. È assurdo ad esempio, che si tenda all'omologazione di tutto. Ciò anche nelle espressività e nei linguaggi artistici. Per lei che ha una perseveranza ferrea nell'inseguire i progetti in vista di una loro realizzazione, questa realtà deve risultare alquanto difficile da sopportare.

“Anche se non sembra io sono ligio e serio e non si può operare nell’ironia e nella comicità senza un approccio di metodo e di applicazione sistematica. Ho avuto in passato la possibilità e le capacità di confrontarmi con veri maestri che nel lavoro mi hanno trasmesso molto e mi hanno formato. Sono stato assistente di De Santis, un Direttore di Fotografia che ha vinto l’Oscar, e poi lavorato con il regista Francesco Rosi, con Giuliano Montaldo, con Pingitore che mi ha insegnato l'accuratezza maniacale indispensabile per un regista che vuole trasmettere dei contenuti. Ma zitto zitto sono stato molto vicino a Tonino Guerra che mi ha aperto un mondo.”

Ci parli dell'esperienza “Marco Polo”, una serie imponente a cui ha partecipato attivamente e che è rimasta impressa nel ricordo di tanti.

“Per le riprese di “Marco Polo" sono rimasto in Cina un anno. Ho lavorato alla selezione dei provini e alla pellicola per De Santis. Ho sviluppato la mia esperienza con Tonino Guerra ed altri.”

“Marco Polo" è stato una serie imponente per scene, costumi, interazione uomo paesaggio e accuratezza storica. Lavori così, temo non se ne faranno più perché non si ha più la capacità di ragionare in grande. Il cuore e il tempo non vengono spesi per lavorare a certi progetti. “Pontinia non amour” è stato un lavoro a cui per altri versi si è dedicato molto.

“Mi sono divertito molto nella collaborazione con Li Gioi, affrontando argomenti seri e delicati come l'Esoterismo. Mi ha gratificato molto.”

Regista Lionello, che visione ha lei del Cinema odierno?

“Oggi è tutto molto complicato. Mancano progetti creativi e mancano i soldi. Esiste il Cinema Indipendente capace anche di lavori buoni, ma indipendente si fa per dire, dal momento che è dipendente dai soldi. Degli attori solo pochi riescono a rendersi indipendenti col loro lavoro. Ci sono quelli straricchi che scelgono di allinearsi ai gusti del pubblico e così abbassano la qualità. Il Cinema comico sta vivendo un momento tragico perché per esprimersi al meglio avrebbe bisogno di tempo, riflessione e ingegno. Gli attori che io salvo nell'attuale genere comico sono Albanese e Checco Zalone per l'originalità.”

Lei non ama allinearsi ai cliché, alle cosiddette mode. Oggi fa tendenza il Cinema sociale e di denuncia. Tanti premi e tanti corti che vi concorrono. Eppure il tema della violenza sulla donna lei l’ha affrontato, risultando apripista nel genere.

“Ho vinto, moralmente, un'edizione del Festival di Sanremo col brano “Colpo di fulmine" di Gianna Nannini cantato da Lola Ponce e Giò Di Tonno. Dieci anni fa collaborai con Gianna Nannini e Pia Pera all’Opera “Pia de’ Tolomei” e lavorandoci chiesi a Gianna di inserire un brano che doveva rappresentare il “Colpo di fulmine” tra i due protagonisti… nacque così una grande canzone d’amore, ascoltata fuori dal suo iniziale contesto, ma che diventa il prologo al tema della violenza sulle donne nell’opera di Gianna. Ho scritto e portato in scena lavori importanti, realizzato la regia televisiva di “Notre Dame de Paris” in diretta dall’Arena di Verona su Rai1; Tosca Amore Disperato di Lucio Dalla su Rai2; la co-regia con Alfredo Arias di Dracula della PFM, il palco era talmente grande che all'Arena di Verona fummo costretti a rimpicciolirlo. Dell’opera della Nannini realizzammo con David Zard, mio indimenticabile mentore, “Pia come la canto io” e fu un altro grande successo, un tour per l’Italia con Gianna che cantava molti brani dell’opera supportata da alcuni giovani cantanti, ricordo che sempre all'Arena di Verona, ci trovammo sotto un forte acquazzone che sembrava il Diluvio Universale, eppure la gente rimase, riparandosi alla meno peggio sotto gli ombrelli e non corse via. Scherzando e ridendo mi accorgo solo ora di essere diventato di casa nella prestigiosa Arena.”

Progetti per il futuro?

“Ho cinque sceneggiature, tutte caratterizzate da tematiche differenti. Pronte a far la fortuna di qualche illuminato produttore. Cinque perché la fortuna va sempre condivisa.”

Complimenti. Lavorare con lei per un attore dev'essere un'esperienza straordinaria, formativa su tanti fronti, perché lei si dedica in tutto e per tutto a questa attività.

“Io non ho la predilezione per gli attori troppo impostati. Parlo chiaramente dei giovani, preferisco chi è a digiuno di scuole e accademie, perché senza troppe sovrastrutture. In un mondo che cerca l'artefatto e si batte per la spettacolarizzazione fine a se stessa io cerco l'ossatura, il nudo. È vero che, come sostiene Eleonora Manara, l'attore è la matita nella mano del regista, ma per quanto mi riguarda, ciò non è da intendersi come un voler applicare la propria determinazione al fine di plagiare l'attore, bensì, significa lavorare sull'attore affinché venga fuori la sua personalità, la sua natura. Operazione resa difficile e complicata se l'attore ha ricevuto l'imprinting della tecnica che lo ha distolto da se stesso.”

Comprendo perfettamente e condivido il suo discorso. Oggi c'è troppo e non c'è nulla. Ci si sforza per ottenere risultati che poi non arrivano perché si tende a eccedere, quando basterebbe ricondursi alla naturalità delle cose e della vita stessa.

Concordo su quanto sostiene il regista Lionello secondo cui il Teatro di chi lo fa e il Teatro di chi lo narra non possono coincidere e in questo ritrovo la sua capacità di sapersi sdoppiare, e come critico e come regista impegnato in prima persona sul campo. Questa intervista ci ha fornito tanti spunti di riflessione che ci hanno portano a riconsiderare la natura dell'uomo e la strada che questi ha intrapreso all'interno dell'odierna società, così come l'impegno nell'arte e nello spettacolo, non da intendersi in chiave politica sessantottina, ma semmai aristotelica, in quanto l'individuo solo acquisendo una posizione all'interno della società, può completare la missione e fornire il valido apporto all'umanità di cui è parte, agendo controcorrente rispetto a chi tende a demolire attraverso anche l'omologazione passata col falso nome di normalità.

Ringrazio pertanto il regista Fabio Luigi Lionello per la sua magnifica disponibilità verso tutti noi. A lui il mio augurio sincero a nome di tutta la Redazione affinché possa continuare a stupirci con i meravigliosi lavori sull'uomo e per l'uomo in un'epoca che avrebbe tanto bisogno di rifondarsi, smantellando tutto ciò che di sciocco e superfluo è stato inventato, al fine di abbracciare ciascuno la propria nudità, e con gli altri ritrovarsi.

 

Ippolita Sicoli
Ippolita Sicoli