La grazia è nello sfiorare appena, nel riconoscere l'altro parte propria ma emanazione di un altro sé. L'individuo è un microcosmo a sé stante. È un mistero di luci e ombre che travalica il cuore di una madre. Il Vangelo c'insegna che un figlio non è la proprietà di una madre, né la sua estensione.
È emanazione di una logica superiore che si concretizza tramite il ventre di una donna e trova collocazione nella realtà materiale. La grazia di una donna risiede nel ricevere questo dono a seguito del riconoscimento della propria umiltà.
Maria si rende Madre di Dio, tramite prezioso per accogliere il Crestore sulla terra che per mezzo di lei si rende creatura. È questo un concetto ben espresso da Dante che sottolinea il valore della creatura che tramite Gesù non rimane separata dal mistero divino, nonché la sacralità della vita sulla terra che si manifesta attraverso la materia nelle dinamiche di consolidazione delle variabili spazio temporali.
Dio attraverso il Figlio completa se stesso e questa completezza si ritrova nel simbolo della croce con il cerchio al centro. Con la morte e la Resurrezione Gesù ritrova il Padre mentre Dio acquisisce la sua perfezione a seguito dell'assorbimento in sé delle esperienze terrene che ne giustificano il carattere immanente. Se il rapporto Padre e Figlio si spiega sul piano teologico, ancora più complesso è il rapporto Madre Figlio che implica una lettura anche in chiave psicologica del legame affettivo tra i due. Maria ha dal principio la consapevolezza che quel Figlio non sarà mai proprio ed è questa una consapevolezza che dal piano della Verità a quello della realtà segna la cultura cavalleresca che contraddistingue il Medioevo fino al Seicento.
Secondo la cultura cavalleresca il figlio è l'erede, il re o comunque il nobile a cui sono affidate le sorti del Regno. In alcune dinastie monarchiche come per gli Asburgo, questo concetto non verrà mai messo in discussione e contraddistinguerà la dinastia fino all'età moderna. Il dovere verrà al primo posto anche rispetto all'amore filiale. Le madri sono educate da giovanissime a questo distacco della dimensione privata da quella pubblica che motiva il loro prestigio.
Nell'Alto Medioevo le madri stringevano un rapporto assoluto con il loro figlio già prima che nascesse, rivolgendogli nenie e canti d'amore. Se il parto dimostrava che la creatura era un figlio l'affetto declinava in riserbo. Le cure rimanevano, le attenzioni e le premure, precedute però dalla consapevolezza che quel figlio era chiamato a compiti importanti ed era stato predestinato da Dio. La madre diventava così la donna che lo cresceva ma con distacco e questo distacco in realtà era attenzione espressa in grazia e riconoscenza per quel grande dono. Il figlio pertanto veniva sfiorato con delicatezza e attenzioni e non solo per l'influenza della tradizione mariana e cristiana. Semmai era la cultura cavalleresca a trasferire nell'immaginario sacro della Natività quei principi che le erano propri. Le maniere garbate, il cor gentile dello Stilnovismo hanno accentuato i toni dei principi cavallereschi, fino a farli consolidare in una sorta di manierismo cortese che è proseguito tra alti e bassi fino al Seicento e oltre negli alti ambienti monarchici.
Il feudalesimo, il Rinascimento con le signorie hanno riflesso sulla tradizione iconografica sacra quello che era il proprio universo culturale. Le madonne sono donne nobili che con la grazia di un premuroso distacco vegliano sul proprio bambino. La sacralità diventa giustificazione di quel senso di riverenza imposto dalla tradizione cortese. Gli obblighi vanno ben oltre i sentimenti profondi di un rapporto madre figlio.
Oggi i figli sono considerati proprietà e spesso terreno di scontro tra genitori separati e divorziati. Le madri li considerano territorio di conquista per la realizzazione di un sentimento affettivo a loro mancato o rimasto disatteso. È un limite che sta duramente influenzando anche l'iconografia sacra della Maternità. Le opere moderne evidenziano un attaccamento quasi morboso tra Maria e Gesù, facendo crollare il sipario del sacro. Esiste un confine tra il sacro e il profano che non andrebbe mai lacerato o oltrepassato. Il rischio è la profanizzazione di tutto il comparto dei sentimenti e della realtà stessa, nonché la volgarizzazione a cui già assistiamo di una intimità che dovrebbe mantenersi come attenta distanza da una vita che è nuova ed è di Dio innanzitutto.