Fissare le esperienze in memorie e ricordi è quanto si prefigge il Romanticismo creando un punto di intersecazione tra il movimento espresso anche dalla luce, e l'eternità immobile. Il cambiamento nasce come esigenza di ristrutturare la realtà, in cerca di un equilibrio che viene espresso anche attraverso il teatro.
Fluidità e rigidità si raccontano tramite i drammi che trovano collocazione nel teatro serio della seconda metà dell'Ottocento, sorretto da una moda che porta i corpetti stretti in vita a conferire un'austerità forzata alle donne. La paura di invecchiare colpisce le donne dell'alta società che conducendo una vita piena di distrazioni, pensano di sfuggire al destino della natura. La malinconia pervade i momenti di silenzio che l'arte prova a colmare concentrandosi sulla luce e sulle sue evoluzioni.
Pensare al Romanticismo come a un periodo privo di colori che non fossero il bianco e il suo opposto, il nero, è un errore. Il colore è brulicante di vita e proprio sull'infinito mondo dei colori e sull'affascinante mutevolezza che lo contraddistingue si sofferma la poetica di Goethe nel suo scritto "La teoria dei colori".
Preoccupa e affascina la transitorietà del tempo. Scuote e illumina. È proprio del Romanticismo la capacità di trarre fuori da se stessi l'esperienza dell'illuminazione conseguita con l'analisi dei propri sentimenti che oscillano tra il bianco e il nero. La fantasia generata dal Romanticismo è trasferimento in un mondo a sé che viene richiamato dal mondo della Natura. Qui il poeta sta, riposa e dimora, ma è un altro il mondo in cui si trasferisce attraverso la creazione. L'ispirazione lo conduce a ritroso, ossia su altre sponde altre che gli arrivano con il sentore di una inusitata e mai vissuta nostalgia.
Il teatro diventa il mondo della fissità ricercata dalla dimensione femminile che dal diluvio del tempo ne esce stravolta. Nonostante la donna si muova sul terreno friabile dello spaziotempo, anela una stabilità che non sempre trova quella ricercata corresponsione a incominciare dai sentimenti.
La scena diventa pertanto la valle delle sue lacrime. Il terreno su cui senza paura riesce a mettersi a nudo convinta che qualcuno tra il pubblico riesca a comprenderla. È così che accanto al varietà lussurioso e giocoso del cabaret, nell'Ottocento il teatro serio offre al mondo un altro sipario che si solleva non sulla festosità della donna ma sulla sua dimensione lunare. Un trucco nero che trasborda dal contorno occhi e ricorda la maschera lacrimevole del clown pone l'accento sullo scandagliamento introspettivo della donna che ispira anche gli attori che all'opposto risultano effeminati.
Sarah Bernhardt anticipa quelle che saranno le coordinate del teatro nudo e crudo del Primo Novecento. A lei seguiranno Lina Cavaliere ed Eleonora Duse musa ispiratrice di D'Annunzio, nonché sua storica amante in un rapporto mai sereno, fino alla fine travagliato e mal corrisposto dal poeta vate. La Bernhardt interpreta il male di vivere femminile che trova riscontro nei romanzi delle cosiddette eroine malaticce tipiche di quel momento di passaggio.
Il teatro finisce col diventare il contrario della Natura a cui si era ispirato lo stesso Shakespeare. È la fissità scolpita sulla scena a impressionare, rendendo il teatro al tempo stesso nuovo, influenzato dalla fotografia e preecursore di Hollywood, e al tempo stesso antico per il ruolo della maschera che ricompare a immortalare un nuovo tipo di tragedia, quello di una forte crisi esistenziale che prepara il Decadentismo. I mimi di fine Ottocento raccontano di questa crisi nelle movenze fluide ma ben scandite, a imprimere attraverso i gesti del corpo uno stato di sofferenza interiore che con Artaud raggiungerà la massima espressione.