La morte non è nella vita, è l'altro aspetto della vita che col Neoclassicismo e la cultura sepolcrale prende il sopravvento. Si ha come la sensazione che all'immagine del filo che mantiene uniti i singoli elementi della Natura, la morte in pieno Romanticismo ne sostituisca un'altra più perniciosa e ancestrale che riporta all'immaginario del mare.
La morte è una distesa nera salmastra che abbraccia tutti e non solo i diretti interessati. La morte che incombe improvvisamente è una tragedia guidata da una cattiva sorte che può essere contagiosa. Questa credenza diffusa soprattutto nelle regioni meridionali del Mediterraneo, porta a una grave forma di isolamento i parenti del caro estinto. Al di là della condizione iniziale di vicinanza, ci si sottrae piano piano dai congiunti del defunto in base alla convinzione di essere costoro trasportatori di morte. Il lutto da forma di rispetto verso il dipartito diventa una sorta di divisa di riconoscimento dal quale guardarsi bene. Non erano pochi i fidanzamenti prossimi al matrimonio a saltare per via di un lutto in una delle due famiglie interessate. L'isolamento delle famiglie colpite da più lutti spesso sviluppava forme di ossessione ancor più appesantite dai colori scuri dell'arredamento.
I racconti gotici di Età Vittoriana prendono spunto o sono incentrati sulla coesistenza nella casa tra il dipartito e i famigliari ancora vivi. Interessante è lo sviluppo che, partendo da qui, ha con la sua libera interpretazione fornito il regista del film The Others a riguardo della coesistenza nella stessa dimora di vivi e di dipartiti. È dell'Ottocento la convinzione che case e castelli fossero impregnati della presenza delle anime trapassate. Credenza o sospetto ereditato dal gusto gotico medievale.
Se da un lato si avverte la presenza del dipartito che impressiona e che si vorrebbe lasciare libero di continuare il suo cammino verso la Luce, dall'altro si fa di tutto per trattenere l'anima entro le mura domestiche. Si ravvisa in questo il rifiuto netto della morte che nel periodo Vittoriano in Inghilterra portò i parenti della salma a disporre questa in verticale e farsi scattare fotografie in sua presenza, come se nulla fosse. In realtà l'idea di fondo era che la fotografia catturasse l'anima del deceduto, convinzione questa diffusa anche alle latitudini europee più basse. A riguardo, in Calabria la fotografia del figlio o marito emigrato e messa a tavola in corrispondenza del posto riservatogli, serviva a mantenere vivo in lui il ricordo della famiglia d'origine, affinché continuasse a inviarle il mantenimento. La stessa usanza veniva applicata al deceduto. La fotografia a tavola serviva a sentirlo presente nella quotidianità e a ricordargli di proteggere la famiglia dalle avversità e dalla fame.
Il posto riservato a tavola e la stanza del defunto sempre in ordine sono altri aspetti che ricordano l'esigenza di una continuità nella normalità di tutti i giorni, come se la morte non fosse ancora intervenuta a sciogliere gli equilibri familiari.
Nei Paesi nord europei prevaleva la convinzione di origine celtica che i morti continuassero a camminare tra i vivi. In realtà i Celti attribuivano una sola notte a questa forma di incontro tra i morti e i vivi e in corrispondenza del loro Capodanno. La morte nel Nord America si festeggia come una ricorrenza bella perché il dipartito intraprende una nuova esistenza libero dalla sofferenza.
Pertanto si offrono dolci e bibite e vivande varie ad amici e parenti in visita alla salma per l'ultimo saluto.
Nell'Ottocento si moriva in casa e sempre in casa veniva esposta la salma. Nel Sud Italia e in particolare nell'entroterra silano, i funerali erano considerati una forma di addio imposta. A San Giovanni in Fiore prima delle esequie venivano coperti gli specchi con panni neri per impedire all'anima del defunto di lasciare la casa. Questa come altre credenze hanno maturato una civiltà triste e dall'impronta macabra che, nonostante i tempi siano cambiati, persiste nella regione e ammanta di superstizione i luoghi montani ancora lontani dalla modernità.