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(di Antonella Tommaselli)
Si è in una antica Chiesa all'ascolto dei canti gregoriani. I monaci intonano i vespri. Si prova a concentrarsi sulle voci, a guardare il luogo con una certa distanza da se stessi. Si osserva la chiesa e si osserva se stessi mentre si guarda. Mentre tale processo avanza la mente si sofferma sulle colonne massicce che dividono la chiesa in tre navate. Si mirano gli architravi ed il peso che sorreggono le colonne lasciando spazi al di sotto per deambulare. Queste colonne con gli architravi divengono improvvisamente arcate temporali assai ampie attraverso le quali i popoli si sono succeduti nei secoli, queste colonne divengono anche quelle singole personalità che hanno sopportato il peso per molti della vita e della storia. E vengono in mente le lettere di San Paolo, in cui al di là del nostro essere consapevoli, il disegno di Dio si compie attraverso lo scorrere del tempo, attraverso quelle figure 'prescelte'... Non sta a noi giudicare chi siano tali singolari figure... Lo dimostrerà la fine della storia...
La storia e la vita sono grandi maestri soprattutto quando si può giungere a considerare che siano mossi da ancor più grande mano. Si può vivere credendo di essere padroni del mondo e delle nostre esistenze e si può giungere a constatare che è una mera illusione.
Oggi si parlerà di storia e di Carlo I d'Asburgo. A parlarcene con dovizia di particolari sarà Elena Bianchini Braglia. Ci parlerà di quella storia sottaciuta dai più, perché non conosciuta, presa sul serio... Si soffermerà a descrivere con precisione l'operato delle società segrete ed occulte nel corso della prima guerra mondiale, degli antefatti e di dove queste società muovono le loro forze e volontà.
Il video di oggi sarà su: "Carlo I e la guerra che uccise l'Europa": la guerra mondiale come tappa della rivoluzione, i tentativi di pace destinati al fallimento, la morte in odore di santità dell'ultimo imperatore. Sarà la storia di un imperatore cristiano che ha tentato la pace, di operare per la pace, è stato un operatore di pace! Ma anche essere imperatori non vuol dire poter governare sul mondo anzi nel suo caso ha voluto dire esattamente l'opposto.
Elena Bianchini Braglia ci aiuterà a scoprire lati ancora oscuri di una storia passata di recente. Una storia di orrori, di sangue. Il mondo intero, per la prima volta, si è trovato in guerra. In un solo secolo per ben due volte...
La nostra relatrice di soffermerà sulla figura assai particolare di Carlo I d'Asburgo dichiarato Beato dalla Chiesa. Di recente, da pochissimo la Chiesa di San Lorenzo a Firrenze ospita la reliquia del Beato. La Reliquia è stata donata alla delegazione Toscana del Beato ed è tenuta in custodia presso San Lorenzo.
Mentre nel video Elena Bianchini Braglia si soffermerà a parlare in modo mirabile di tale epoca noi ci dedicheremo a parlare di Ernest Jünger che delle due guerre ne fu un Senofonte, uno storiografo. Se il Beato nasce con un destino già assegnato, contrassegnato, Jünger, come la maggior parte di noi, è un viandante, un essere in fieri, un uomo in avvicinamento verso le altezze siderurgiche...
Jünger conosce la guerra, ma è l'esperienza della guerra che lo trasforma radicalmente. Il suo motto infatti è: maturato nelle tempeste.
Vede da vicino il trasformarsi della tecnica della guerra, conosce il potere, ha una mente lucida ed un grande autocontrollo, è abile ed acuto nelle descrizioni. La sua vita è una vita in cui è lui stesso storiografo, ma è un profondo conoscitore della storia, della storia della mitologia, delle religioni, del mondo naturale. Ciò gli consente pertanto una analisi accurata su quattro piani: il metafico, il presente, il passato della terra come pianeta, sostanza universale e come storia di avvenimenti. Come filosofo, come amante del ben e buon vivere è sempre teso a risolvere come sia possibile vivere e bene dentro se stessi, con gli altri, in relazione ai piani più elevati e alla Stato. È un cercare di vivere pertanto non in maniera inconsapevole, ma con consapevolezza esistenziale... Questo lo porta, nel corso della propria esistenza, a modificare le proprie vedute, a ripuntate il timone per meglio circumnavigare la propria vita.
Jünger non parla e si rivolge mai alla massa, ma sempre descrive le sue constatazioni e semmai si rivolge al singolo, a colui che è disposto a lasciare indietro il suo vecchio se', la sua vecchia vita per vivere nella pienezza. È la sua una filosofia di colui che ha vinto la paura della morte che ha avuto affianco come amica, alleata.
Tramite la prima guerra mondiale conosce l''imponderabile' e con questa conoscenza si aprono i mondi.
Prenderemo in esame: "Nelle tempeste di acciaio" Giorgio Zampa dice nell'introduzione di tale testo:
"Le tempeste appartengono al genere epico per disposizione naturale: l'autore si pone di fronte alla realtà è la restituisce, conferendole un'autonomia di cui solo l'epico è capace...
La guerra di posizione, la 'lotta di materiali', le offesive e le controffensive che impiegano centinaia di migliaia di uomini in operazioni mai svolte in passato, possibili soltanto in società evolute, hanno un descrittore che nel secolo è rimasto ineguagliato."
Così si apprende sempre dai risvolti di copertina del testo:
"Ernst Jünger partecipò alla Prima guerra mondiale con i gradi di sottotenente della Wehrmacht. Il suo comportamento in prima linea lo rese leggendario: ferito quattordici volte, ricevette numerosi riconoscimenti al valore, compreso il più alto, l'Ordre pour le mérite. Portava sempre in tasca un taccuino su cui fissava con precisione gli avvenimenti. Da quelle note, in seguito all'insistenza del padre, si persuase a trarre un libro che avrebbe dovuto intitolarsi "Il rosso e il grigio", in omaggio all'amato Stendhal e ai colori mesti e uggiosi della guerra in trincea; Jünger preferì alla fine l'immagine tratta da un poema medievale islandese.
Oggetto di ambigui entusiasmi negli anni Venti e Trenta, le "Tempeste" ci appaiono oggi la più agghiacciante testimonianza sulla Grande Guerra e l'espressione già perfetta della sovrumana capacità di osservazione di Jünger e della fredda prosa e cristallina che egli ha forgiato.
Come scrive Giorgio Zampa nell'introduzione, "l'opera è omogenea: la sua cifra stilistica è unica, la sua coesione non viene mai meno... La tensione che traversa resoconti e cronache è costante, grazie ad uno stile di tale perfezione che annulla se stesso. In Stahlgewitten va veduto come un unicum nella letteratura del secolo: per essere senza antecedenti ne' seguito chiede di essere considerato al di fuori degli schemi della letteratura di guerra, di riferimenti solo ideologici e politici".
Invitiamo lor signori a leggere i libri di guerra di Jünger per comprendere l'orrore e la carneficina della guerra, per comprendere come si è automi in guerra perché un uomo vero, reale non potrebbe volere la guerra... Vi riportiamo solo un breve passaggio di "Tempeste":
"Il 30 aprile il mio successore, appartenente al 25 reggimento che dava il cambio al nostro, prese le consegne, quindi partimmo per Flers, centro di raccolta del primo battaglione. Lasciando sulla sinistra la cava di calce "Chez-bon temps", sotto una gragnola di proiettili di grosso calibro, ce ne andammo lentamente lungo il sentiero, in un meraviglioso pomeriggio, fino a Beaumont. I nostri occhi godevano di nuovo lo splendore della terra, felici di essere sfuggiti alla insopportabile strettezza del ricovero e i polmoni si dilatavano all'aria tiepida della primavera. Col rombo dei cannoni oramai dietro le nostre spalle, potevamo cantare:
Un giorno, creato da Dio, Signore del mondo, per cose più belle del battersi."
Il testo si conclude:
..."Con tali temperature, si perde la cognizione del tempo; mentre le infermiere combattevano per la mia vita io, disteso a letto, ero in preda a quei sogni febbrili che pure, spesso, non mancano di serenità.
Proprio in uno di quei giorni, il 22 settembre 1918, ricevetti dal generale von Busse questo telegramma: "Sua Maestà l'Imperatore vi conferisce la Croce pour le mérite. A nome di tutta la divisione vi porgo le mie felicitazioni".
Nella Prima guerra mondiale vi è la volontà nascosta di porre fine agli imperi, ci dirà meglio a tal riguardo Elena Bianchini Braglia, così come ora alle nazioni, per arrivare a costituire uno Stato Mondiale.
Compito dello storico è interpretare la storia, ma non sottraendosi anche dal delineare lo spirito del tempo che incarna ogni epoca storica... e dato che Elena Bianchini Braglia si sposta in avanti nella storia vi riportiamo qualche stralcio di Jünger tratto da :
"IRRADIAZIONI" Diario 1941-1945
Parigi, 30 giugno 1943
Una bomba colpisce il duomo di Colonia. Le sue "mura annerite dal fumo devono", come leggo nella stampa, "rappresentare il faro della rappresaglia per il popolo tedesco". Significa questo che si vuole mettere in fiamme non appena possibile Westminster? "
Parigi, 3 luglio 1943
A colonia il servizio divino si celebra all'aperto, davanti alle macerie fumanti delle chiese. Questa è una cosa che non si inventa: io l'avevo già preveduta è descritta lungo tempo prima dello scoppio della guerra.
Tra le lettere che ricevo molte prendono una colorazione funesta, escatologica, simili a gridi delle più remote spire del turbine, dove si vede il fondo delle scogliere. Perpetua, il 30 giugno: "Per quello che ti riguarda, sento con sicurezza che riuscirai a superare senza danni il grande maelstrom. Non perdere la fiducia nel tuo vero destino."
Parigi, 18 luglio 1943
Di notte impossibile prendere sonno, dopo la lettura delle prime tappe del pellegrinaggio di Bunyan. L'effetto del caffè di Banine si fa ancora sentire. Dopo la mezzanotte accesa la luce di nuovo e scritto, seduto sul letto, le seguenti annotazioni. Nutro un particolare rancore verso coloro che fanno affermazioni che poi non vengono confermate e che spiegano tutta la loro abilità per convincermene. La faccia tosta o l'improntitudine, per esempio quella della propaganda, ha sempre qualcosa che in un primo momento prendo sul serio. Mi è difficile credere che non si nasconda nulla oltre la pura volontà dietro le argomentazioni.
Quando poi, spesso soltanto dopo anni, i fatti parlano, sento più violenta la puntura. Capisco che sono stato turlopinato da puri ruffiani, malfamati giovinastri da quattro soldi al servizio delle forze attualmente al potere. Questi villani prezzolati avevano imbellettato la loro prostituta che sembrasse la verità.
A questo si aggiunge che a loro manca ogni senso di vergogna spirituale: conoscono soltanto il rossore che segue agli schiaffi. Perciò tenteranno di nuovo di prostituirsi a nuovi servigi e ora, forse, per uomini e forze altamente stimati è considerati come genuini. Inoltre desta una particolare amarezza il sentire siffatti esseri spregevoli lodare il vero per puro opportunismo.
Mi sembra col mio amore per la verità di essere quanto più vicino all'assoluto. Io posso trasgredire le leggi morali, posso anche non corrispondere alla fiducia del prossimo, e tuttavia non posso tenermi lontano da ciò che riconosco puro è vero.
La mia debolezza morale potrebbe farmi intravedere completamente desiderabile un tale distacco, potrei con la volontà acconsentire a questo tradimento, ma mi sarebbe impossibile portarlo ad effetto. Ammetto che il mio carattere non sarebbe capace di resistere alle seduzioni di false potenze; potrei mettermi al loro servizio, ma tutto il mio essere oppone resistenza. Da questo punto di vista sono simile ad un giovane che acconsentirebbe anche a sposare una ricca vecchia, ma che tuttavia, durante la notte delle nozze, sarebbe incapace di consumare il matrimonio nonostante tutti gli eccitanti. I muscoli involontari del mio spirito si rifiutano a questo servizio. Particolarmente il linguaggio è a mia disposizione solo dove sono convinto sino alle fondamenta del diritto, della logica delle mie frasi. Questo notano subito alle prime parole i falsi profeti quando parlano con me, e perciò evito di incontrarmi con loro. Così mi sono comportato con Kniebolo; e Grandgoschier che ho visto alcune volte, mi giudicò subito un eccentrico, cioè un qualcuno che non faceva per lui e per i suoi affari. Così mi si potrebbe offrire un patrimonio per elogiare una situazione o una persona, dei cui rapporti con l'assoluto non sono convinto, forse desidererei la ricompensa, ma la mia penna non si presterebbe. La verità, il rapporto verso ciò che è puro e vero, sono simili per me ad una donna, la cui conoscenza mi condanna di fronte a tutte le altre all'impotenza.
Così avviene anche che il mio modo di arrivare alla teologia passi attraverso la conoscenza. Io devo convincermi di Dio prima di credere in lui. Cioè devo ripercorrere la medesima strada, nel ritorno, che ho percorso quando l'ho abbandonata. Prima che io, con tutta la persona e senza limitazione alcuna, mi avventuri verso altre rive attraverso la corrente del tempo, devo essere preceduto da ponti basati su una forte e raffinata spiritualità, da una laboriosa attività di pionieri. Più bella, certo, sarebbe la grazia, pure essa non corrisponderebbe ne' alla posizione ne' allo stato in cui mi trovo. Anche questo ha il suo significato: sento proprio mediante il mio lavoro, mediante i miei archi, ognuno dei quali rafforza nelle sue basi, restituendolo praticabile, il contrappeso del dubbio, sento che proprio mediante questo lavoro posso guidare più di uno alla riva. Un altro sa forse volare o conduce coloro che gli si affidano a piedi attraverso le acque tenendoli per mano, però sembra che tali uomini non nascano nella nostra era.
Per quello che riguarda la nostra teologia, essa deve improntarsi del tutto alla modestia e adattarsi alla misura di una stirpe umana indebolita nella sua forza elementare. Da molto tempo la nostra fede, per ognuno che possa vedere le forze, vive più profondamente nella biologia, nella chimica, nella fisica, nella paleontologia, nell'astronomia, che nelle chiese; e altrettanto si può dire che anche la filosofia si è suddivisa nelle scienze singole. Naturalmente, tutte queste sono strade sbagliate: le discipline devono di nuovo essere purificate sia dagli influssi teologici sia da quelli filosofici, e questo proprio per loro stesse, affinché una pura Weltanschauung possa ricondurre alla scienza. Gli elementi teologici e filosofici ne devono risultare puri come l'oro e l'argento; la teologia come oro da' poi alle scienze valuta e corso. E pone anche dei freni, poiché vi vede dove può condurre la conoscenza scatenata. Simile al carro di Fetonte appicca fuoco alla terra e fa di noi e delle nostre images mori, neri e cannibali.
[...] Quando C.S. ebbe letto il mio Arbiter, mi chiese:
"Qualificate come lavoro anche la danza degli angeli del firmamento?" e questa obiezione mi è stata più importante di tutte le lodi. Una critica che penetri nell'argomento non tocca la persona; è simile alla preghiera che sento accanto a me, quando sono davanti all'altare. Infatti non ha importanza che "io" abbia ragione.
In quest'ultima frase si nasconde anche il motivo per il quale non sono divenuto matematico, similmente al mio fratello physikus. Nella pienezza della logica applicata non si trova la soddisfazione estrema. Il giusto, il corretto nel significato più alto, non deve essere dimostrabile, ma deve prestarsi alla discussione. Deve essere ricercato in forme alle quali noi mortali possiamo avvicinarci, senza raggiungerle in modo assoluto. Questo porta a campi nei quali non l'afferrare misurabile, ma quello imponderabile onora il maestro e guida anche al regno delle Muse. E qui è soprattutto il servizio che mi affascina della parola quello sforzo più raffinato che la porta sempre più vicina ai limiti che la dividono dall'inesprimibile. Anche in questo vi è la nostalgia della giusta misura secondo la quale è stato creato l'universo e che il lettore deve intuire attraverso la parola come attraverso una finestra.
St. Die', 28 agosto 1944
La vita è simile a una canna di bambù: distribuisce ritmicamente i suoi nodi e rafforza con ciò la sua solidità. Così tornano sempre i tempi in cui si rivela il progresso puramente cronologico, l'invecchiare come disposizione di molteplici elementi verso punti di unità significativa. Questi sono compleanni in un più alto senso, "maturazioni" di fronte al semplice invecchiare. Nel morire tutto il complesso della vita si annoda, ancora una volta, prima della germinazione dell'Eternita'.
Di sera dal presidente: mi ha confermato che Kniebolo aveva dato ordine di ridurre Parigi ad un cumulo di macerie: cosa che del resto corrisponde totalmente al suo spirito totalmente distruttivo. Egli è senza dubbio l'uomo che ha decretato il più gran numero di uccisioni e di distruzioni conosciute nella storia. Certo a tutto questo doveva procedere una svalutazione dell'uomo è una minorazione della sostanza sacra. Siffatti spiriti di volpi e di iene si fanno avanti soltanto dove c'è odor di cadavere.
St. Die', 29 agosto 1944
Un gruppo di soldati si accampa in una fattoria. Se vengono rubate galline, sequestrata dalla paglia senza regolare quietanza e se accadono altri soprusi, avverrà che l'uno o l'altro di loro, trovando la cosa ingiusta, tenterà di impedirla. Nei quadri superiori, vicino al comandante in capo, ho visto, quando è giunto l'ordine di prendere ostaggi, che membri dello stato maggiore ne sono stati profondamente colpiti e ne hanno sofferto come di una azione che sconvolgeva la loro coscienza. L'uomo primitivo, invece, segue la massima: "Quello che fa la collettività è giusto". E purtroppo sembra che questa tendenza primitiva aumenti ininterrottamente e con essa il carattere zoologico della politica. Che cosa si può raccomandare all'uomo e soprattutto all'uomo semplice, per sottrarli alla pressione cui collabora ininterrottamente anche la tecnica? "Soltanto la preghiera". Così anche la più insignificante creatura può entrare in rapporto con il tutto e non appartenere soltanto a una parte del meccanismo. Di qui fluisce enorme vantaggio ed anche sovranità. In situazioni di fronte alle quali i più saggi abdicano e i più coraggiosi pensano a una scappatoia, si vede talora consigliare ciò che è giusto, fare ciò che è bene. Si può essere sicuri che costui è uno che prega. Di conseguenza si può soltanto consigliare a ognuno di procurarsi questo sostegno, in qualsiasi condizione si trovi."
Il Beato, si può trovare nelle note che colorano e dipingono la Sua esistenza, passò a miglio vita con i movimenti labiali che ricamavano il nome di nostro Signore..." Jünger ancor prima del termine della seconda guerra mondiale scrisse il testo la pace che passò ciclostilato tra gli uomini dell'esercito. La pace potrà divenire duratura solo allorquando uomini di retto pensiero cammineranno fianco a fianco...
Ma ora facciamo un salto nel tempo ed andiamo al romanzo Eumeswil che si svolge al termine dello Stato Mondiale. Jünger è certo che dovrà verificarsi e lascerà un mondo di macerie che possiamo già notare intorno a noi! E noi possiamo vederci come i nuovi barbari... Incapaci di comprendere la cultura di appartenenza e come mossi da un atto di fede avanziamo verso il nuovo... che ci tiene lontani dai reali problemi e soluzioni esistenziali...
In questo romanzo Eumeswil Jünger si dimostra ancora una volta un attento conoscitore della storia, un abile Senofonte, ma anche suo interprete... In questo romanzo e al suo termine il protagonista del romanzo dovrà partire per una spedizione, una caccia grossa nella foresta... È un finale assai allusivo, allegorico e simbolico come l'intera opera.
Lasciamo all'abilità del lettore la decodificazione del messaggio, la sua interpretazione...:
"Presi congedo anche dalla mia fortezza-rifugio, al corso superiore del Sus. Trovai l'ingresso già ricoperto di vegetazione, presto ne sarà completamente avvolto e ostruito. Mi ero recato la' per conservarvi gli appunti, da me raccolti nel bar: saranno decifrabili al massimo per Bruno. I lavori scientifici li lascio all'Istituto: si tratta, in gran parte, di frammenti.
Per quanto riguarda queste annotazioni, sono stato in dubbio se dovessi bruciarle; non da ultimo mi affligge la loro incompiutezza. La coscienza di non aver assolto il mio compito getta un'ombra sulla mia esistenza, sia storica che personale. Nondimeno, la distruzione di un manoscritto è una sorta di suicidio spirituale - il che non significa che io condanni il suicidio. Ma un'esperienza riguardante appunto tale ombra, me ne ha preservato.
In questi giorni, per prepararmi alla foresta, ho lavorato intensamente davanti allo specchio. Sono così riuscito a raggiungere ciò che ho sempre sognato: il completo distacco dell'esistenza fisica. Mi scorgevo allo specchio come aspirante alla conoscenza sovrasensibile _ me stesso, in confronto, come suo fugace riflesso. Tra noi due ardeva, come sempre, una candela; mi chinai su di essa finché la fiamma mi ha bruciato la fronte: vidi la ferita, ma non avvertii il dolore.
Quando arrivo' Kung per recarmi la colazione, mi trovò lungo disteso, nudo, sul pavimento. I cinesi sono maestri nell'uccidere come nel rianimare: mi richiamò alla coscienza con panni bollenti e forti essenze. Mi ha giurato il silenzio. Se non fosse rimasta la stimmate sulla mia fronte, crederei di avere sognato.
EPILOGO
Mio fratello, Martin Venator, scomparso da anni insieme al tiranno e il suo seguito, è stato adesso dichiarato morto ufficialmente. A ragione nostro padre lo aveva messo energicamente in guardia contro quell'impresa. Fin da quel tempo noi la ritenemmo l'ultima via di scampo di un potente, conscio di aver perduto la partita.
Nel frattempo, molte cose sono cambiate nella città e, posso ben dirlo, in meglio. La casbah è devastata è deserta; I caprai pascolano la loro mandria tra le mura della rocca. Gli esiliati sono ritornati dall'estero e i prigionieri dalle isole; gli sbirri della tirannide hanno preso il loro posto.
In quanto erede di mio fratello, m'incombe l'amministrazione del suo lascito. Ne fanno parte gli studi ch'egli ha depositato all'Istituto, di cui io sono divenuto il direttore. Li ha qualificati, forse con troppa modestia frammenti: li sto facendo elaborare.
Una sorpresa rappresentano le carte che, solo qualche tempo fa, vennero scoperte in mezzo a forre selvagge nella regione superiore del Sus. Dei cacciatori che inseguivano un bufalo le hanno trovate dentro un bunker, insieme con armi e provviste. Se, fra loro, non vi fosse stato uno scienziato, avrebbero indubbiamente bruciato quei manoscritti. Così, invece, sono pervenuti nelle mie mani.
Noi abbiamo deplorato sempre, e visto di mal'occhio, i servizi subalterni ch'egli prestava nella casbah. Che avesse impiantato con grandi fatiche quel nascondiglio, fa fede del suo scetticismo e della sua resistenza morale. L'avrebbe sicuramente dimostrato anche coi fatti. Meglio sarebbe stato se si fosse confidato con noi e con i nostri amici.
La parte principale delle sue carte è costruita da una gran quantità di foglietti datati e non datati: conteggi e appunti della sua attività notturna, inframmezzati da brani in stile geroglifico. Bruno, cui egli accenna, è emigrato. Sembra occupi un posto eminente nelle catacombe.
E infine, queste annotazioni, per le quali redigo l'epilogo. Sono più leggibili, quantunque la grafia sia spesso imprecisa. Ma a me riesce familiare quasi quanto la mia. Esistono reciproci punti di contatto ch'è impossibile negare.
Questa lettura mi ha posto dinanzi ad un conflitto di coscienza --- cioè a quello tra la persona privata e lo storico. Mio fratello non amava la sua famiglia. Il che faceva parte della singolarità della sua natura. Noi però, gli abbiamo voluto bene. La sua esposizione è intrisa di giudizi e - a mio avviso - di errori di giudizio che, in quanto a persona privata, mi darebbero il diritto a distruggerla; vi ho riflettuto. Ogni eredità porta con se' dei roghi --- sia che s'intenda purificare il ricordo dello scomparso, sia anche per riguardi familiari.
Io però, sono uno storico e discendo da una famiglia di storici. Il mio caro fratello --- fra i titoli che amava vi è quello di "storico di razza".
Esiste una coscienza archiviaria, cui occorre sacrificare se stessi. Io mi sottometto ad essa, sigillo questi fogli e li deposito all'Istituto."
Vogliamo concludere l'appuntamento odierno con Voi con una considerazione di Jacob Burckhardt:
"Meditazione sulla storia universale"
Arrivati a questo punto, bisogna fermarsi. Senza accorgercene, siamo arrivati dal problema della felicità o della fortuna e dell'infelicità o della sciagura a quello della sopravvivenza della mente umana, che alla fine ci si presenta come vita di un solo uomo. È la vita dell'uomo individuale, come acquista coscienza nella storia MEDIANTE la storia, deve necessariamente avvincere a poco a poco lo sguardo di chi pensa, e l'approfondimento e l'analisi onnilaterale deve necessariamente chiedere tutto il suo impegno, in modo che tali concetti di felicità o fortuna e infelicità o sventura perderanno sempre più il loro significato. "Essere maturi è tutto".
La meta delle persone di qualche capacità, nolentes volentes, non sarà più la felicità, ma la conoscenza. E non per indifferenza verso il dolore che ci può ben coinvolgere - e questo fatto ci è di salvaguardia contro ogni posa fredda oggettività -: ma perché comprendiamo la cecità dei nostri desideri vedendo il variare dei desideri dei popoli e degli individui e il contraddirsi ed eliminarsi a vicenda.
Se potessimo completamente rinunciare alla nostra individualità e considerare la storia dell'età che sta per venire con la stessa tranquillità e la stessa inquietudine che proviamo nel contemplare uno spettacolo della natura, per esempio una tempesta in mare stando in terraferma, forse parteciperemmo con qualche consapevolezza alla vita di uno dei più grandi capitoli della storia dello spirito.
In questa nostra epoca, la pace illusoria di quei trenta anni quali siamo cresciuti è da tempo completamente scomparsa, e sembra che sia in marcia una nuova serie di guerre; i grandi popoli colti vedono vacillare o cambiare le loro forme politiche; crescono e si diffondono visibilmente e rapidamente, con la diffusione dell'istruzione e del commercio, la coscienza di soffrire e l'impazienza. Le istituzioni delle società sono soggette a continue scosse di terremoto che le tengono inquiete. E in un'epoca come questa sarebbe spettacolo meraviglioso - ma non per esseri contemporanei e terreni - seguire e conoscere lo spirito dell'umanità che si costruisce una nuova casa, aleggiando al di sopra di tutti questi fenomeni e tuttavia intrecciato con lui. Chi avesse solo una pallida idea di questo dimenticherebbe completamente felicità e fortuna, infelicità e sventura, e passerebbe la sua vita desiderando soltanto di raggiungere tale conoscenza.
Elena Bianchini Braglia: è direttrice della rivista Il Ducato e presidente del Centro Studi sul Risorgimento e sugli Stati Preunitari. Ha pubblicato vari saggi oltre a contributi in atti e miscellanee.
VIDEO. Carlo I e la guerra che uccise l'Europa. Con Elena Bianchini Braglia
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(di Antonella Tommaselli)
Conoscevo la danza cadenzata delle ore, ma, per caso, in questi giorni, mi sono trovata a ballare la danza cadenzata delle foglie. Un lieve vento le smuove e felici cadono a terra. Paion vestite da sera. Il loro abito è di organza, seta e chiffon e la luce le attraversa. È tanta la gioia, guardandole, che mi sento smossa all'interno e danzo con loro. Mentre loro si adagiano delicatamente nei prati, io mi sento portata nei cieli...
Un altro momento di gioia è in cucina... Sarà capitato alla maggior parte di Voi, di aver visto montare a neve gli albumi d'uovo! Tanta bella neve! Una cupola, una montagna. Sembra facile, semplice eppure basta poco che il bianco inizia a squagliarsi, a tornare liquido a non rimanere solido. Un dolce, un flan, può così perdere la sua unità, compattezza, morbidezza. Se, osserviamo l'umano, noi stessi, gli altri possiamo, vederci come albumi montati a neve che si sciolgono quando dentro di noi siamo mossi solamente dal nostro ego! Basta un niente perché si crolli e riveliamo la nostra enorme fragilità. Talvolta possiamo ricordare palloncini in aria, ma basta una osservazione che non ci piace e ci sgonfiamo arrabbiati come punti da un ago... Possiamo mentire a noi stessi, non riconoscerlo, possiamo non voler tradire il nostro ego, ma, un attento, un profondo osservatore, non mancherà di scoprire che dentro di noi non vive e non cerca di crescere una forza di altra natura! Una forza Celeste che sostiene e rende vivo il nostro essere... Per chi sente la sua origine stellare, se pur brancola nel buio, avverte la deficienza nel dover sempre primeggiare...
Un Maestro Sufi, Shaykh Nazim an-Naqshabandi in un testo intitolato: "Il Giardino della Conoscenza. La via del Cuore nel Sufismo" si apre al lettore con tale invito:
"Il mio consiglio è quello di lasciare la popolarità a coloro che la cercano. Se sei un aspirante Sufi ricerca il tuo Signore, non il successo. Guarda cosa disse la più famosa Santa donna della storia, la Vergine Maria una volta mentre pregava: "Oh, se fossi solo una cosa dimenticata e senza nome" (C.19:23) Ha insegnato a tutta l'umanità a ricercare solo l'oscurità nella vista del mondo ed a non desiderare riconoscimenti. Il desiderio del potere e della celebrità è il più pesante fardello che uno possa portare. Non consiglio nessuno di perseguire il successo: cercate solo di essere dimenticati nell'Oceano dell'Unità Divina".
In un altro testo il Maestro così scrive: "C'è qualcuno che pensa che l'oceano sia solo ciò che appare sulla sua superficie? Osservando le sue gradazioni di colore ed i suoi movimenti, un occhio acuto può percepire indicazioni sulle insondabili profondità di quell'oceano. La misericordia e la pietà Divina sono un oceano senza limiti che fornisce una infinita varietà di vedute a chi naviga sulla sua superficie, ma il più grande stupore ed appagamento è serbato per quelle "creature del mare" per le quali la misericordia Divina è divenuta il proprio elemento. Il Signore ci chiama all'amore Divino con una attrazione che è innata nei nostri cuori, ad un amore che può essere compreso e riconosciuto come Divino da alcuni, mentre per altri è sentito indirettamente come amore per le Sue creature o per il creato. Ad ogni modo le redini del nostro cuore ci dirigono verso quegli Oceani di Misericordia, così come il nostro corpo fisico è attratto dal mare quando è gentile e calmo".
Nel video di oggi, grazie alla presenza di Jamaluddin Ballabio, rappresentante in Italia della Tariqua Naqshbandiyya Haqqaniyya, si andrà a sondare nei dettagli il tema: "Majnun e Majdub: l'irresistibile attrazione dell'Essere".
È impossibile comprendere in profondità, ciò che non si pratica, in questo caso il Sufismo. Precisiamo, però, che il nostro gradito ospite ci ha spiegato, nel corso della ripresa, le figure del "Folle, del santo, del mago, del vate", come sono viste ed interpretate nel Sacro Corano.
Il nostro relatore abilmente, con anedotti, parabole ci ha pure fatto entrare nel mondo del sufismo. La follia del Sufi è infinita... E' il desiderio dell'impossibile: perdere se stessi, diventare niente per essere abitati da Dio. Il niente non è il vuoto del nichilismo, ma è il riconoscere che non si è niente di fronte a Dio, perdere se stessi per essere da Lui abitati. Vedere tramite di Lui, parlare tramite di Lui... Non essere più noi, ma Lui...
Viene messo in rilievo, nel corso delle immagini, come siano importanti le vie per arrivare alla grande Via. Le vie devono rimanere fedeli a se stesse, animate dalla tradizione, dal tramandare, dalla presenza del Maestro in terra. Il Maestro spirituale ha la chiave per aprire il nostro cuore.
I cammini, le vie, non possono accavallarsi perché il rischio è troppo grande, si potrebbe non riuscire mai ad arrivare alla cima. In una spedizione, in alta montagna, non possiamo continuamente andare a zig zag, da un sentiero all'altro, sprechiamo troppa energia col rischio di perdere la strada.
Il nostro ospite aiuta a comprendere che sulla via della crescita interiore dobbiamo partire dai piccoli passi, dalle piccole domande. Ci spiegherà meglio dei pericoli mossi dalla massoneria... E non mancherà di fare una precisazione riguardo a Guenon...
In un mondo che tende a fare di tutta un'erba un fascio, che tende a vedere tutte le religioni, le filosofie come la medesima cosa, ci pare opportuno invece evidenziare le peculiarità, le caratteristiche, le visioni di ciascuna. Ci pare che poi sia compito dei teologi, dei Maestri veri, e non dei cercatori di potere, accompagnare, indirizzare le anime alla ricerca della propria via...
Questo mondo è assai pieno di contraddizioni. Notiamo tanta follia. La follia può essere anche figlia e frutto dell'assenza, dell'incapacità, dell'insoddisfazione, della mancanza dell'Assoluto. È nostra speranza che ognuno possa trovare, abbracciare la sua strada per giungere alla grande strada. Siamo fermamente convinti che gli psicologi, gli psichiatri siano di aiuto al malato e alla persona nei momenti di fragilità conclamata, ma spesso soffriamo di assenza di Luce e abbiamo bisogno del 'dottore' dell'anima.
Dato che il nostro relatore si sofferma sull'irresistibile attrazione dell'essere completiamo il nostro scritto con un passaggio di Jeanne de Salzmann.
Comprendiamo bene che per alcuni accostarsi a tale pensieri e a tali scritture può apparire come "arabo", ma dato che il mondo è bello perché è vario è utile sapere che vi sono persone insoddisfatte della vita normale, ordinaria e sono alla ricerca del miracoloso. Ciò non vuol dire essere e credersi capaci di far miracoli, sarebbe da toccatelli, ma sentire, avvertire che, attraverso lo scorrere della vita, non è più solo un paesaggio che soddisfa completamente il nostro essere, una composizione, un uomo, una donna, una città, ma sempre più la sfera impalpabile, invisibile che circonda il mondo. Si può arrivare ad avere una irresistibile attrazione... Si può giungere persino a credere che nell'invisibile vi è la realtà e nel visibile illusione... A quel punto e spesso ancor prima si intraprende una ricerca spirituale e si comunica ad altri i frutti del proprio trovare nei modi più congeniali...
Per taluni tali opere divengono assai belle, così foriere di sapienza maturata nel cuore, perché ci indirizzano verso quella Verità di cui sentiamo tanto il bisogno specialmente di questi tempi dove non siamo più in grado di cogliere cosa sia vero, cosa sia falso ed il perché di azioni tanto insensate!
Abul - Hassǎn Sumnȗn cosi scrisse:
Tu sei inseparabile dal cuore.
Le mie palpebre mai si chiudono
senza che Tu sia tra loro ed i miei occhi.
Il Tuo amore è parte di me
come lo è il discorso interiore dell'anima.
Non posso respirare senza che Tu sia nel mio respiro
e Ti trovo scorrendo lungo ciascuno dei miei sensi
"CONOSCERE SIGNIFICA ESSERE" di Jeanne de Salzmann
Conoscere se stessi non significa guardarsi dall'esterno ma cogliere se stessi in un momento di contatto, di pienezza, dove non c'è più 'io' e 'me', o 'io' e una Presenza in me: nessuna separazione, nessun dualismo. Conoscere significa essere. Non c'è spazio per nient'altro. Quando raggiungo l'unità sperimento un'energia, una forza proveniente da un'altra sfera che mi permette di nascere al mio essere come parte del gran tutto. Posso essere a servizio. Servire questa forza, prima con un nuovo atteggiamento verso di essa in tutte le parti di me, e poi con una visione, sempre rinnovata, di ciò che sono, del senso che ha la mia vita nella vita del tutto. Questa visione include la comprensione della relazione tra l'ego e l'essere. Mi apre alla strada alla manifestazione libera, e dunque a una vita più vera nel mondo. Mi conduce a un desiderio di cambiare il mio modo di essere ordinario, di prendermi la responsabilità di esprimere verità nel mio atteggiamento e nella mia vita.
Ricevo sempre più l'impressione di una forza misteriosa in me, e al tempo stesso ricevo le impressioni del mondo circostante, a cui le mie funzioni reagiscono. C'è dunque una vita, e accanto all'altra? Oppure si tratta di un'unica vita, di un'unica forza vitale? Per stabilire una relazione tra mondi di materia più grossolana è più sottile deve esserci una corrente di intensità intermedia, una corrente emotiva di sentimento più puro. La purificazione del sentimento, la creazione al proprio interno dell'essere 'divino', avviene tramite la vigilanza. Non ci può essere purezza senza vigilanza, una vigilanza straordinaria in cui non ci sono più alto e basso, lotte, paure. C'è solo la coscienza, la gioia. Per questo devo essere in ogni circostanza testimone di me stesso, ritirarmi dal funzionamento mentale che dà la vita alle reazioni e quietare ogni ambizione, ogni avidità. Posso vedermi allora interagire con la vita mentre in me c'è qualcosa di immobile che non interagisce. Insieme a questa vigilanza sorge un nuovo modo di valutare. Vengo toccato da un desiderio, una volontà che è l'essenza stessa del sentimento dell'io in tutta la sua purezza. È una volontà di essere ciò che sono, di risvegliarmi alla mia vera natura: 'io sono' e 'io Sono'. Con questa coscienza nasce l'amore. Ma è un amore impersonale, come un sole che irradia energia. Illumina, crea, ama. Non è attaccato a nulla e tuttavia attira tutto intorno a se'. L'espansione non viene dal 'fare' qualcosa, dall'ego, ma dall'amore. Significa essere e diventare, con un'attenzione sempre più libera. È questa la liberazione di cui parla Gurdjieff. È lo scopo di tutte le scuole, di tutte le religioni. Con la coscienza vedo ciò che è, e nell'esperienza 'io Sono' mi apro al divino, all'infinito al di là dello spazio e del tempo; alla forza superiore che le religioni chiamano Dio. Essere uno, intero di fronte alla vita, è tutto ciò che conta.
Finché rimango cosciente di ciò, sento in me una vita e una pace che niente altro può darmi. La vita che mi circonda è dentro di me. Sento questa vita universale, la forza dell'universo. E sento di esistere come parte del mondo che mi circonda. Tutto mi è di aiuto, persino il cuscino su cui siedo. Sono presente, risvegliato a quel che sono. E capisco che la cosa più importante è essere. Lo so, adesso, e perché lo so mi sento collegato con tutto ciò che mi circonda. Non c'è prima e un dopo, solo la vita in se'.
Ho l'impressione di emergere da un sogno. Tutto è reale. Mi sento libero, in pace. In questo stato non cerco, non desidero, non mi aspetto nulla. Esiste solo ciò che 'io sono' in questo. Ora so e perché sono qui.
VIDEO. Majnun e Majdub: l’irresistibile attrazione dell’Essere. Con Jamaluddin Ballabio
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(di Antonella Tommaselli)
Chi, adesso, si leva presto al mattino, nota l'assenza del sole e del calore a rischiarare la propria giornata specialmente nel momento in cui gli occhi si aprono al nuovo giorno. Una lieve bruma vela l'occhio, l'anima e le membra sono fredde. Con lentezza, pigrizia i piedi discendono dal letto alla ricerca non più del pavimento, della terra, ma di un filtro: la pantofola. Tra la veglia ed il sonno, quasi intontiti, ci si incammina al balcone per guardare, andare a trovare le proprie piante! Un incontro tra nature: l'umana e la vegetale. Nel frattempo pure il cane si è svegliato e viene incontro scodinzolando. Si esce fuori sul balcone e ci si trova coinvolti improvvisamente in un abbraccio caldo!
Oggi, per la prima volta, mi accorgo pienamente che, le foglie degli alberi di fronte a me, sono cariche di giallo, di un giallo intenso. Paiono emanare tutta l'energia rappresa in loro attraverso lo scorrere dell'estate ormai finita. Sembrano volermi rendere il calore del sole con la tonalità del loro colore caldo, avvolgente. Non sfuggo all'abbraccio. È così intenso che per la prima volta non temo l'inverno. Le foglie, seppur cadranno, nasceranno nuovamente per restituirmi la bellezza della speranza e di una nuova vita con la primavera tinta di verde. L'inverno non è altro che attesa, riposo, gestazione della nuova e immensa vita... Le foglie cadono, muoiono, si trasformano così come tutto nella vita. Siamo immersi, così come siamo in un respiro, ma anche nel traseunte... Vi può essere trasformazione reale solo se ricolma di consapevolezza dell'essere oppure solo dispersione quando l'essere è ignaro ed è così totalmente e solo assoggettato alla natura... Vanità, vanità...
L'uomo si agita per la sua vanità. Quando vuol cambiare si precipita dal parrucchiere, a comprare un abito, una nuovo cibo, dal dietologo, viaggia, cambia auto, casa, luogo di lavoro, cerca una nuova fiamma, ma raramente pensa alla trasformazione interiore! Legge frasi che lo innalzano! Donano un cambiamento di umore, ma non lo modificano nell'essere.
Vanità, vanità! Tutto è vanità! Anche un Santo, nel Suo profondo, teme talvolta che le sue azioni siano frutto della propria vanità...
Nell'Antico Testamento vi sono pagine magnifiche attribute a Salomone, re di Gerusalemme, figlio di Davide su tale tema! Sono poesia, sono Verità! Lasceremo tutto! Non porteremo via niente!
Troveremo, in questo scritto: il Qoèlet, una profondità che sconvolge l'animo umano quando letto con presenza, attenzione, gustando, percependo intensamente ogni parola, frase, meditandola, soppesandola! Se, la parola ci attraversa, se non rimbalza sulla nostra scorza, coglieremo l'insensatezza del nostro vivere, agire, correre. La follia che riempie le nostre giornate. Se intuiamo il messaggio e riesce a far breccia dentro il nostro essere velocemente svanirà. Basterà una parola esterna, un pensiero diverso per dimenticare, per non pensarci più... Non desideriamo soffermare la mente in tali spazi... Eppure in queste pagine che ci stordiscono e risvegliano al contempo, ci riportano al senso del vivere. Si coglie che alla fine solo Dio è tutto! Il Dio della legge. Sono pagine sempre attuali, sempre autentiche, sempre zampillanti, sempre ricolme di poesia!
Oggi, col video, che vi proponiamo, in modo limpido, cristallino, semplice, essenziale, sobrio, il Rev. don Curzio Nitoglia ci porterà nel regno de: "Vanità delle vanità, dice Qoèlet,vanità delle vanità: tutto è vanità"...
Eppure queste pagine, sembrano anche già un presentimento, un preannunciare, un aprire il varco alla scrittura dei quattro evangelisti che ci descrivono la persona,il manifestarsi e la via di Gesù! Il Cristo è un Maestro per chi ascolta e osserva da discepolo, studente ciò che compie.
Certo, per il lettore odierno, delle Sacre Scritture, sarebbe opportuno conoscere l'aramaico, il greco, il latino per meglio accostarsi alla parola, per non confondersi con le numerose traduzioni, volgate che ci possono allontanare da una conoscenza che può farsi sempre più sommaria...
Nei Vangeli, si tramanda, vi siano sette sigilli, solo in base al cammino interiore di ciascuno, questi sigilli possono essere rimossi per il singolo... ma, solo a quell'uno, in base al grado del cammino interiore compiuto... Il Cristo indica una via, un cammino sotto il segno della carità parola troppo vetustà oggi. Per i nostri tempi è amore. Il messaggio, l'opportunità data, basta guardarsi intorno, non è stato ancora realizzata... E neppure compresa! La via della carità è ancora assai poco battuta...
L'insegnamento del Cristo viene fatto proprio da Paolo di Tarso, lui che aveva combattuto con ferocia, a spada tratta i primi cristiani. Viene prescelto, portato al terzo cielo, e lì in visione, comprende la Verità e ci mostra, indica come mette in pratica l'insegnamento che lo trasforma radicalmente. Paolo ci mette in condizione di comprendere che l'uomo di Cristo non è più sotto la Legge ma, con la purezza ed intelligenza del cuore, della mano, dell'intelletto, del ventre, illuminato dalla coscienza e consapevolezza esistenziale, grazie all'infinita misericordia e grazia di Dio, ha il potenziale per divenire un "uomo nuovo" ! Il messaggio di Paolo è di questo uomo nuovo che per divenire operante ed operativo deve schiudersi all'amore! All'amore, non proprio, ma di Dio che fa perdere se stessi, l'ego, e in quel vuoto, in quella apparentemente assenza di tutto, in quel concedersi totalmente all'ignoto irrompere l'Amore! E a parlarci di questo è Giovanni della Croce! Il poeta e mistico! Ed è con questi versi, frutto di una esperienza estatica che possiamo cercare di aprici al messaggio e alla trasformazione presente nel cristianesimo. In questo cammino dell'uomo, in questa possibilità sempre più latente di trasformare la nostra stessa realtà, vita, di renderla plasmata dal fuoco vivo dell'amore, una piccola fiamma che si fa incendio ardente:
In amoroso furore
e non scevro di speranza
volai così in alto
che raggiunsi la preda.
Perché giungere potessi
a questo divino furore
tanto volar mi convenne
che mi perdetti alla vista;
tuttavia, nel punto estremo,
il mio volo restò manco;
ma l'amor fu così alto
che raggiunsi la preda.
Più salivo in alto
più il mio sguardo s'offuscava,
e la più aspra conquista
fu un'opera di buio;
ma nella fuga amorosa
ciecamente m'avventai
così in alto, così in alto
che raggiunsi la preda.
Quanto più sfioravo il sommo
di questo esaltato furore,
tanto più mi sentivo
basso, arreso, domato.
Dissi: non sarà mai di nessuno!
e tanto in basso rovinai
che mi trovai così in alto, così in alto
che raggiunsi la preda.
In una strana maniera
Il mio volo superò mille voli,
perché speranza di cielo
tanto ottiene quanto spera;
ho sperato solo nel furore
e in speranza non fui manco
se salii così in alto, così in alto
che raggiunsi la preda.
Juan De La Cruz, da Poesie
Traduzione di Giorgio Agamben
Questo che noi leggiamo è esperienza vera, di colui che intenta di camminare sulla erta via e passare attraverso la stretta porta. Un cammino compreso e intrapreso da pochi..., ma che se non fosse altro non lascia indifferenti il mondo dell'arte e degli artisti che in ogni caso concorrono almeno a far conoscere tali esperienze…
Qualche anno fa infatti si è potuto assistere ad una operazione artistico-culturale:
"Il CANTO DEL MISTICO SPAGNOLO TRADOTTO IN SARDO DA PAOLO PULINA: L'OMAGGIO DEL COMPOSITORE MARCO TUTINO ALLA SARDEGNA" e così ad esempio apprendiamo da un articolo di giornale di LUCIANO PIRAS:
«La lingua sarda ha in sé una straordinaria musicalità, basta trascriverla, la musica è già quasi suggerita. Sono rimasto affascinato dal suono che affiora da questa lingua che non conoscevo». È l'omaggio del compositore Marco Tutino alla Sardegna e alla sua cultura. Parole pronunciate dal maestro milanese al Teatro Lirico di Cagliari, lo scorso novembre, in occasione della prima assoluta della sua "In amoroso furore", per voce recitante (Simeone Latini), coro (preparato da Giovanni Andreoli) e orchestra, composizione cantata e recitata in logudorese e in italiano, con alternanza continua delle due lingue.
Il brano di Tutino, infatti, si ispira a una poesia di Juan de la Cruz, cofondatore dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, santo, poeta e mistico spagnolo del XVI secolo, per la prima volta tradotta in sardo da Paolo Pulina, classe 1948, di Ploaghe, da una vita di casa a Pavia, dove è vice presidente vicario del Circolo culturale "Logudoro".
Giornalista pubblicista dal 1982, a partire dal 1977 è stato funzionario dell'assessorato alla Cultura della Provincia di Pavia, per conto del quale ha curato numerose pubblicazioni, sia periodiche sia monografiche, nonché gli atti di numerosi convegni. Veterano del mondo dell'emigrazione, già vice presidente della Fasi, la Federazione delle associazioni sarde in Italia, è lo stesso Pulina a raccontare come è nata questa nuova sfida culturale.
«È stata l'amica giornalista lodigiana Lucrezia Semenza a chiedermi se ero disponibile a tradurre in sardo la versione italiana realizzata dal filosofo Giorgio Agamben di una nota composizione di Juan de la Cruz. Lucrezia – va avanti Pulina – sapeva che, da appassionato di sardità e sardofono, avevo scritto in sardo poesie di occasione e testi per canzoni e che avevo tradotto in logudorese le parole di "Imagine" di John Lennon e de "La canzone di Marinella" di Fabrizio De André». Quei testi, insieme a diversi altri, sono stati raccolti e pubblicati nel 2021 nel suo volumetto "Versi d'occasione e testi per canzoni 1993-2020".
«Sono contento ovviamente, a cose fatte, che il maestro Marco Tutino abbia apprezzato la mia versione in logudorese della traduzione di Agamben ("In furore amoroso") della lirica "Tras de un amoroso lance" ("Dopo un amoroso slancio") di Giovanni della Croce, Juan de la Cruz. Come hanno rilevato i Carmelitani Scalzi della Provincia veneta – sottolinea l'esponente della Fasi –, Papa Francesco, anche se non ne ha citato il titolo, quando scrisse "Si ottiene tanto quanto si spera" nel messaggio per la 53ª Giornata mondiale della pace (celebrata il 1° gennaio 2020, e che aveva per tema "La Pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica"), alludeva a questa che è considerata una delle poesie più belle di Giovanni della Croce». "Tras de un amoroso lance", appunto.
«L'ho fatta tradurre in sardo che è una lingua meravigliosa con una musicalità intrinseca veramente incredibile» ha ribadito Marco Tutino in una intervista. E ancora: «La traduzione di Pulina devo dire che è assolutamente in linea con quella di Agamben. Io ho chiesto espressamente a Pulina di tradurre l'italiano di Agamben piuttosto che la poesia originale in spagnolo perché volevo conservare questa forza che scaturisce dalla versione in italiano. E devo dire che è riuscito nell'intento e sono molto grato ad entrambi». «Purtroppo io non conosco il sardo però quello che mi ha colpito di questa lingua è la sua ritmicità. Dal punto di vista sonoro l'effetto è meraviglioso. La musica sgorga direttamente dalle parole. Chi invece conosce bene la lingua credo che senta il significato dell'opera come amplificato».
Il messaggio nel video è assai importante: non abbandonarsi alla vanità ed il mistico insegna a donarsi all'abbraccio di Dio con furosa passione e per far questo occorre farsi piccini, piccini…
VIDEO. QOÈLET. Ecclesiaste. Con Rev. Don Curzio Nitoglia
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(di Antonella Tommaselli)
Iniziamo lo scritto con cui ci uniamo a Voi, questa settimana con questa espressione latina "pro captu lectoris habent sua fata libelli" (lett. "secondo le capacità del lettore i libri hanno il loro destino") è il verso 1286 del De litteris, De syllabis, De Metris ("La fonetica, le sillabe, la metrica") di Terenziano Mauro.
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Bandai Namco Europe, attraverso una nota ufficiale, ha annunciato un aggiornamento gratuito per DRAGON BALL: Sparking! ZERO, arricchendo l'esperienza di gioco con nuove funzionalità e importanti modifiche al sistema di combattimento.
Apple ha introdotto anche in Italia una nuova funzionalità per gli AirPods Pro di seconda generazione: il test dell'udito. L'innovazione offre agli utenti la possibilità di valutare la propria capacità uditiva in modo semplice e accessibile, direttamente dalle proprie cuffie.
Abu Dhabi si posiziona come un futuro polo di riferimento nel settore del gaming con l'annuncio di un significativo investimento da parte di Beam Ventures. L'azienda ha infatti lanciato un fondo da 150 milioni di dollari con l'obiettivo di sostenere lo sviluppo di promettenti studi di gioco.
Apple ha annunciato i vincitori degli App Store Award 2024, riconoscendo il valore di 17 app e giochi che si sono distinti per la loro capacità di stimolare la creatività, aiutare gli utenti a raggiungere i propri obiettivi e favorire la condivisione di momenti significativi.