IL LIBRO. Gregorio Corigliano ''Nero di Seppia. Dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare''
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Sab, Apr

IL LIBRO. Gregorio Corigliano ''Nero di Seppia. Dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare''

IL LIBRO. Gregorio Corigliano ''Nero di Seppia. Dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare''

Cronaca
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C’è un uomo che ha il mare dentro e nelle pagine cammina, osserva, guarda, pensa, scrive.

IL LIBRO. Gregorio Corigliano ''Nero di Seppia. Dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare''
IL LIBRO. Gregorio Corigliano ''Nero di Seppia. Dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare''

 

E quel mare, che è avvolgente quanto inquietante, feroce quanto rassicurante, ha una  forza espressiva totale quasi fosse umano. O, forse, divino. Il mare ha cromatismi che variano, odori che avvolgono, sprizzii che toccano, silenzi che parlano. E quell’uomo vi è immerso tutto.  Seduto in riva al mare. E quell’uomo riempie i suoi taccuini di nero di seppia e i fogli si bagnano di storie e narrazioni che sanno d’infanzia,di adolescenza e di una vita che cresce.

E sanno  di  quel  piccolomondo antico che è sedimentato  nella memoria dell’uomo che scrive e che, d’un tratto, appartengono a tanti. Forse a tutti. Ci sono fichi,clementine, uva, pescato, profumi e sapori che hanno palpiti e ticchettii d’anima. E quel nero di seppia lentamente si fa osservazione del  mondo e racconta altre storie perché quell’uomo, l’uomo del mare, diventagiornalista e le sue pagine si fanno mondo e storie  di  umanità, spesso dolorosa e dolente. Ma anche ironica, eroica, immaginifica, progressiva, scottante. Perché un giornalista dipinge nei suoi taccuini il mondo tutto con le sfaccettature più diverse e complesse. Come il mare. Dove torna e ritorna sempre.

Seduto in riva al mare. E lì, l’uomo del mare, si fa mare.

L'autore

Gregorio Corigliano
Gregorio Corigliano

Gregorio Corigliano, laureato in Economia all’Università di Messina nel 1970, è giornalista professionista. È stato Capo Ufficio stampa dell’Ente provinciale per il Turismo di Reggio Calabria. Dal 1982 in RAI, dove percorre tutta la carriera professionale fino a diventare Capo Redattore della sede regionale della Calabria. In RAI ha seguito i principaliavvenimenti di cronaca degli anni ’80-’90 e poi gli eventi politici fino al 2010. Ha curato le Tribune politiche e realizzato numerose inchieste sulla Calabria anche per le testate radiofoniche e televisive nazionali. È stato  dirigente nazionale organizzativo dell’USIGRAI, il sindacato giornalisti RAI; dal 2012 al 2015 ha ricoperto il ruolo di commissario delCO.RE.COM Calabria. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il Premio Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Premio Brutium, il Premio Crotone Pitagora, il Premio Valarioti. Ha pubblicato i volumi: Un pò di noi - Storia di un viaggio in Calabria che ancora continua. (Ed. Pentagono), I diari di mio padre (Pellegrini editore). Editorialista del Quotidiano del Sud. È stato Presidente del Circolo della Stampa Mariarosaria Sessa di Cosenza.

Prefazione di Tommaso Labate


Nota dell’anima  

   Avendone la possibilità, bisognerebbe tentare questo esperimento. Prendere questo libro e metterlo in valigia. Anzi, più precisamente, in quello che le compagnie aeree chiamano “bagaglio a mano”, in modo da poterlo tirare fuori al momento opportuno. Poi avere la fortuna di recarsi dall’altra parte del mondo o, quantomeno, avere la forza d’immaginazione di sognare di farlo.

   A questo punto, che sia reale o pura fantasia, siamo in  uno  di  quelli  che  i  sociologi  chiamano  i  “non  luoghi”. La sala d’attesa dell’aeroporto di una grande città asiatica, il centro congressi all’avanguardia di una capitale del Nord Europa, l’interno di una stazione ferroviaria del Nord America. Uno di quei luoghi, insomma, che  sei  lì  ma  potresti  essere  anche  dall’altra  parte  del  pianeta, a decine di migliaia di chilometri di distanza.

   Ecco  che  a  questo  punto  entra  in  scena  il  libro  di  Gregorio Corigliano, ordinatamente estratto dal bagaglio a mano. Basterebbe aprirlo, sfogliarne anche solo qualche pagina e, nel luogo esatto del globo in cui abbiamo scelto o immaginato di trovarci, si sentirebbe il profumo del basilico fresco, il vento che soffia sugli ulivi  secolari  della  Piana  di  Gioia  Tauro,  l’inconfondibile sensazione della salsedine di Ionio o di Tirreno, la consistenza della mano con cui nostra nonna ci accarezzava da bambini, la gioia nel cuore dei nostri genitori che ci accompagnavano a scuola, l’irrequietezza tranquilla dei bar in cui gli anziani giocavano a carte e i ragazzini al flipper, il suono di un jukebox che scambia una canzone con una moneta da cento lire, la forza tranquilla di un vino di Cirò.

   Perché  il  libro  di  Gregorio  Corigliano  non  inventa  nulla ma riscopre il tutto. Il nostro tutto migliore, quello della Calabria che c’era e che sogniamo di riscoprire, l’album dei ricordi dei nostri sogni più belli, le foto ingiallite  che  speriamo  di  rivivere  a  colori.  In  fondo,  nulla  di  così  tanto  dissimile  al  meccanismo  virtuoso  innescato  dalla  madeleine  di  Marcel  Proust,  solo  che  al posto del dolcetto questa volta ci sono le pagine di un libro.

   Qualcuno  più  bravo  di  me  ha  scritto  che  “leggere  libri equivale a vivere molte vite”, e non esiste formula migliore per descrivere quel sentimento di evasione che ci regalano le pagine di un libro. Io, di fronte al libro di Gregorio Corigliano, ho scoperto che leggere equivale anche a rivivere la propria, di vita.Ho  ripensato  alle  estati  che  duravano  quattro  mesi  (oggi, sì e no, riesci a mettere insieme due settimane), alla bottiglietta da 25 centilitri della Birra Dreher (che chiamavamo “Dregher”) e alla condensa che le si formava attorno quando nonna la toglieva dal frigorifero, all’insalata di pomodori.

   Ma  soprattutto  a  tutto  quello  che  c’era  attorno,  la  nostalgia del tempo andato, la nostra vita.

Tommaso LabaTe

 

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