Alla rispettabile età di ottantadue campionati, è salito in curva Paradiso anche Giorgio Bubba, con quel cognome masticabile che associavi a Genova quasi più di Colombo e De André.
Ha raggiunto Luigi Necco, enfatico cantore della maradonità offesa, il quale era solito raccontare le partite circondato da una guardia pretoriana di tifosi osannanti, che immancabilmente gli mettevano al collo una sciarpa del Napoli. Prima di Bubba e Necco avevano già lasciato il terreno di gioco Marcello Giannini da Firenze e Tonino Carino da Ascoli. Erano le maschere a chilometro zero del vecchio «Novantesimo Minuto», il programma della domenica pomeriggio che ci portava per primo i gol in salotto, ma soltanto dopo esserci sorbiti il pistolotto del giornalista locale, improntato alla più schietta partigianeria. Nella prosa dei Bubba e dei Necco la squadra di casa era sempre protagonista. Di un’impresa epica, quando vinceva. E di un’ingiustizia inaccettabile, quando perdeva. Eppure non ricordo di avere mai letto o sentito una cattiveria nei loro confronti. Magari qualche critica sull’uso ardito di certe metafore. Di sicuro qualche sfottò, però sempre bonario, come bonaria era la loro faziosità da strapaese. Non esisteva ancora lo sfogatoio dei social per insultarli. Ma c’era qualcosa nel loro atteggiamento di parte che strozzava sul nascere qualsiasi rancore. L’assenza di odio per gli avversari. Se ne sente tanto la mancanza, e mica solo nello sport.