La casa è la verità che uno ha dentro. Apparteniamo tutti a qualcosa e questo qualcosa o meglio, qualcuno, ci apre alla vita. Nasciamo secondo un progetto che parte da molto lontano e che viene instillato in ciascuno di noi.
Dio ci chiama a sé inserendosi in ciascuno di noi con l'embrione di vita. Ognuno discende dall'alto tramite un filo magico di appartenenza che è confine e cerniera. E questo filo che l'arte muratoria antica utilizzava per livellare spigoli e angoli è la spada di luce che separa quanto è di Dio da quanto è tenebra.
La casa è la verità e la verità è il tempio insito in noi e che sta a noi preservare. Il cuore del tempio è il tabernacolo da "taberna" da cui "taverna: luogo di ristorazione." Il tabernacolo è il luogo di ristoro dello Spirito che ricongiunge all'Alto tramite la preghiera. Il tempio ebraico è l'edificio sacro dello spirito e in esso è collocato il Sancta Sanctorum.
Gesù fa riferimento spesso nel Nuovo Testamento alle tre V che sono Via, Verità e Vita che riassumono l'esperienza umana di ritorno alla casa del Padre. La casa come Regno di Dio non è un luogo fisico ma qui sulla terra viene rapportato al focolare domestico inteso come punto di raccolta o di incontro comunitario. Si parte dalla famiglia per poi abbracciare la collettività di cui si è parte, e così via. I luoghi che più ci appartengono si colmano di anima e sono essi stessi famiglia. Divengono pertanto pilastro di tradizione che si ritrova in determinati linguaggi del parlato dialettale. La proprietà riconduce allo spirito identitario e diviene appartenenza individuale e del gruppo. È quanto ci comunica il dialetto calabrese lasciando seguire il "ca': qua" o il là dalla particella "ne" che indica la presenza che distingue il luogo, come a volerlo circuire, delimitare con le parole. Il "ne", questa particella pronunciata quasi meccanicamente, esprime un ruolo di aderenza al territorio e a ogni sua singola parte, comunicandoci che i luoghi sono anima e per questo vanno osservati e protetti da consorterie e da invasioni piratesche tese a violentarne la sacralità. Dimentichiamo che i luoghi per quanto volgarmente intesi di passaggio, sono miniere di spirito e anima. Sono abitati da rocce e pietre, assistiti da antichi baluardi, gli alberi tesi a illuminarli con le fronde che sversano oblò di raggi dai loro mille occhi.
La pietra contiene e cattura, quindi trattiene ciò che è proprio di chi la abita, porgendoci nei cicli successivi di secoli e millenni l'impronta animica di chi ha vissuto lì e vissuto quel luogo. La roccia, la pietra sono placente stabili che accolgono e raccontano. Sono luoghi di nessuno, per questo di chiunque vi abbia lasciato l'anima. E quel chiunque è necessariamente qualcuno.
Gesù come Mitra e non solo nacque in una grotta, un luogo anonimo ma privato. È l'opposto del cielo che aleggia su tutto, indifferente, e che nella pietra trova consolidamento spirituale. Nella pietra si resta anche se si è volati altrove. Gesù nel sepolcro ha lasciato la vivida traccia di sé riportandoci alla grotta, d'ingresso alla sua esperienza terrena.
È successo a coloro che sono animati di speciale sensibilità di perdere il contatto con la terra e con la realtà e di ritrovarsi a viaggiare nel vuoto all'interno di un trullo in Puglia come anche in escursione nelle piramidi sul Nilo. La pietra ti chiude al mondo e ti nutre solo di lei. La respiri e in quel momento risali lungo una scia che ti riporta negli infiniti spazi galleggianti dell'Universo. In un vuoto che è l'antetempore da cui tutto ha avuto inizio e che la scienza vagando tra le galassie non è ancora riuscita a compenetrare.