Il Bello, il brutto, il nuovo in musica
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Sab, Mag

Il Bello, il brutto, il nuovo in musica

Il senso della vita
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David Fontanesi
David Fontanesi

 

Di recente leggendo in un giornale, tra le tante notizie, quella piccola, quella apparentemente marginale, ci ha colpito più della altre: un "rapper famoso", quando si sente solo, ascolta Mozart e quello stato d’animo scompare.

Un rapper ascolta Mozart… Uno strano connubio… La solitudine svanisce con quella musica che parla alle sue corde o meglio alla corda del suo cuore! Sursum corde… Un atto di magia… Quella stessa magia che ha invogliato è ancora invoglia taluni ad andare nelle sale da concerto o di porsi attentamente all’ascolto della musica! Che può avvenire, accadere mentre all’esterno il mondo sta slittando, sta barcollando, sta vacillando?

Allarme! Allarme! Una catastrofe dietro l’altra… L’energia manca, la terra è sismica, l’atomica può esplodere.

Cari civili allerta senza fine! I popoli, le persone qualsiasi, sono ostaggio degli Stati! Ogni nazione declama i suoi dickat in nome della salvezza nazionale o sovranazionale, si annuncia, anzi si bisbiglia che sarà prossimo lo Stato mondiale… E certamente per tutelare il debole di turno. È un mondo che fa filantropia più che semplicemente amare…

La natura si ribella, l’atomica potrebbe esplodere ed ognuno di noi è quell’ostaggio, quel civile che serve per i negoziati tra stato e stato…

E intanto la musica suona ed è ascoltata. La musica non è più un sottofondo, ma ci avviluppa nei centri commerciali, sui bagni delle spiagge! Talvolta è tanto forte che preclude la possibilità di conversare e porta solo a bere…

Ma il rapper quando è solo e si sente solo ascolta Mozart.

Entrare nel mondo della musica classica è entrare in un mondo sempre più esclusivo. Lo indicano i teatri che se non hanno il "grande nome" non hanno tanto pubblico ad ascoltare ed è un pubblico, non di giovani, quando partecipano, spesso, sono persone che desiderano, a loro volta, entrare a far parte come protagonisti della scena musicale.

Lèggiamo attentamente Paul Valery che dice riguardo ad un concerto di Lamoureux nel 1893 "…Come si spiega dunque il mio sacrilegio, e di questa mia intromissione di uno scrittore e della sua parola piatta e povera nel santuario?"

Il fatto è che il debito della letteratura nei confronti di Charles Lamoureux è immenso; e ci si sdebita come si può. Osservare innanzi tutto che qualsiasi storia della letteratura della fine del XIX secolo che non parli di musica sarà una storia vana; una storia peggio che incompleta, inesatta; peggio che inesatta, inintelligibile. D’altronde, ogni storia della letteratura, in generale, che parli solo di letteratura è un’opera "mutilata", come lo sarebbe, ad esempio, una storia politica dove non fossero menzionati gli avvenimenti economici.

Ogni epoca ha le sue grandi esaltazioni, i suoi centri dominanti di interesse, e la letteratura ne è sempre toccata, anche se in modi più o meno diretti.

Bene, ora vi dico che non si può comprendere nulla del movimento poetico che si è sviluppato dal 1840 o ‘50 ai giorni nostri, se il ruolo profondo, capitale, che la musica ha giocato in questa particolare trasformazione, non viene messo in evidenza, chiarito, precisato. L’educazione musicale del pubblico francese -e in particolare di un numero crescente di scrittori francesi- ha contribuito, più di qualsiasi considerazione teorica, a orientare la poesia verso un destino più puro, e ad eliminare dalle sue opere tutto quanto la prosa può fedelmente esprimere. Come la musica, agli inizi, ha separato le impressioni dell’udito -respingendo quelle, i rumori, che hanno un certo significato, ma che si combinano male tra di loro; raccogliendo al contrario, i suoni, che da soli non significano niente ma che si possono ben riprodurre, e ben combinare- così la poesia si è sforzata, a volte molto laboriosamente, a volte pericolosamente, di distinguere (al meglio) nel linguaggio, espressioni in cui il significato, il ritmo, le sonorità della voce, il movimento si accordino e si rinforzino, tentando viceversa di bandire le espressioni in cui il significato è indipendente dalla forma musicale, da ogni valore uditivo.

Questa sorta di rieducazione della poesia (considerata nel periodo che va dal 1880 al 1900) ebbe in Lamoureux e nei concerti di Lamoureux agenti di primaria importanza. Come Baudelaire ebbe i concerti Pasdeloup, Mallarmé e i suoi seguaci ebbero i concerti Lamoureux. Charles Lamoureux era tutto scrupolo, tutto zelo, tutto rigore e onestà nel suo mirabile mestiere, quel mestiere, veramente sacro, di direttore d’orchestra, che richiede di essere al tempo stesso critico e apostolo, intenditore e incantatore, capitano e virtuoso. Il direttore d’orchestra è uno strano solista, un esecutore complesso, composto da centoventi esecutori. Signor direttore d’orchestra, voi siete un mostro delle favole! …Lamoureux, per i suoi tratti così nobili della sua natura, per le sue esigenze, per il suo amore di perfezione e per i suoi scrupoli, apparteneva a quell’epoca, quasi religiosa nei confronti del bello, che abbiamo vissuto ai tempi della giovinezza.

Questa giovinezza vedeva nell’arte il suo approdo, la sola cultura oramai possibile dei sentimenti elevati. L’azione dell’artista, l’emozione trasmessa dalle opere gli sembravano i soli discutibili oggetti d’amore, di lavoro, di desiderio, i soli mezzi di redenzione; insomma, le sole certezze che gli risultassero immediate, sottratte ad ogni attacco critico, le sole che donassero infine la forza della fede senza esigere alcun credo.

Ebbene, la musica -e specialmente la musica d’orchestra- era tra tutte le arti, la più adatta a imporre, e anche ad esasperare, questo sentimento di certezza è di potere.

D’altronde, nelle arti, la grande musica dei maestri moderni ben rappresenta l’equivalente dei mezzi potenti, quasi eccessivi, che altri moderni hanno saputo creare nelle imprese materiali. Questa grande musica dispone, in qualche modo, di un’energia estetica smisurata. Essa suona le profondità della vita, gli eccessi della passione, imita le combinazioni del pensiero, sembra muovere la natura; agita, placa, percorre tutto il sistema nervoso e ciò si ottiene con un’azione irresistibile, in qualche istante: talvolta con una sola nota. La musica si prende gioco di noi, ci rende tristi, allegri, ebbri o pensosi, facendosi a suo piacere più ardenti, più profondi, più teneri o più forti di qualsiasi essere umano. Come le macchine compiono per noi dei lavori, ci trasmettono velocità che oltrepassano smisuratamente le nostre forze, così la grandiosa musica - estasi, furori sempre pronti a impadronirsi di noi, fittizia conoscenza senza limiti, possesso quasi totale dell’essere - ci offre, ci impone stati semimenzogneri, e tuttavia più potenti della maggior parte di quelli reali. Nessun’altra arte può aspirare a questa sovranità.

Non stupisce dunque che la musica abbia assunto carattere di culto. Essa agiva in favore dell’arte e, insieme, era un’esperienza che esplorava tutta la dimensione dell’essere affettivo e psichico - e, più ancora, era godimento supremo. Esaltazione di intensa vita interiore e, insieme, comunione. Poiché un migliaio di individui riuniti che, per gli stessi motivi, chiudono gli occhi, provano lo stesso trasporto, si sentono soli con se stessi, e tuttavia accomunati grazie alla stessa emozione intima ai loro vicini, divenuti veramente loro simili- costituiscono la condizione religiosa per eccellenza, l’ unità sensibile di una pluralità vivente.

La musica produce artificialmente ciò che producono le grandi gioie o i grandi dolori generali, come vediamo nei giorni solenni in cui gli uomini per la strada si parlano senza conoscersi e, quasi, si abbraccerebbero... Ebbene, questo culto, questa funzione sacra, questo ufficio si celebrava, ai tempi della mia giovinezza, a Cirque d’Été. Dalla fine dell’autunno alla fine della primavera, il concerto Lamoureux era l’evento settimanale che santificava i fedeli dell’arte e in modo particolare i poeti. Immaginate questo circo scomparso, saturo di quanto vi era a Parigi di più elegante, profondo, capace di entusiasmo. Da questa mescolanza emanava un calore soffocante, molto propizio.

Lamoureux appariva; sempre dignitoso; mai sorridente, nemmeno sotto i "bravo". Saliva sul podio. Si sarebbe detto salisse sull’altare, che assumesse il potere supremo; e in effetti lo assumeva, si accingeva a promulgare le leggi degli dei della musica. Alzava le braccia… Era come tenere in sospeso seicento anime, col quel gesto. Immediatamente si faceva all’unisono dei respiri e dei cuori. Il raccoglimento, la disposizione a fremere si stabilivano. Nessuno, nemmeno con il pensiero, osava accennare il benché minimo movimento, poiché, in quella rotonda del Cirque, vi erano due presenze di una totale e quasi brutale intolleranza: una era Lamoureux, l’altra eravamo noi, giovani pigiati nelle gallerie da due franchi - fanatici, e come tutti i puri, pronti al massacro degli indegni la cui sedia cigola o il cui raffreddore palesa la loro presenza.

Ma su una panchetta del loggione, seduto all’ombra e al riparo di una barriera di uomini in piedi, un ascoltatore particolare, che per insigne favore aveva l’accesso al Cirque, Stéphane Mallarmé - subiva estasiato, ma con quell’angelico dolore che nasce da conflitti superiori, l’incantesimo di Beethoven o di Wagner. Egli, mentalmente, protestava gli dei del puro suono enunciato e proferivano a loro modo. MALLARME’ usciva dai concerti colmo di sublime gelosia. Cercava disperatamente di trovare i mezzi per riconquistare la nostra arte ciò che la potentissima musica le aveva sottratto in meraviglie ed importanza.

I poeti, con lui, lasciavano il Cirque affascinati e mortificati. Ma noi siamo buoni suonatori. Non mi costa affatto cantare le lodi della musica, che implicano quelle per il suo mirabile servitore, Charles Lamoureux. Non dimentichiamo che la gloria di tutte le arti ha come agente indispensabile lo scrittore. Non tutte le trombe sono dalla vostra parte, signor direttore d’orchestra! "…Cosa sarebbe del nome di Lamoureux se qualche penna non lo scrivesse a margine della storia della letteratura e della musica francese?”

Ma ad un compositore ed anche scrittore, saggista, colto ed abile sia nel far musica, sia nello scrivere di quelli che si direbbero che san far uso di intelligenza fina, limpida, abbiamo chiesto cosa sia successo alla musica del '900… Perché raramente andar per teatri ed ascoltar musica suscita quel parapiglia interiore che tutti coloro che sono desiderosi di formarsi un’anima, di trovarla o di sentirla viva anelerebbero. Si, tutti coloro che vorrebbero spiccare il volo in alto e non sentirsi le ali tarpate dalla quotidianità, tutti coloro che conoscono il valore della bellezza e si sentono ammaliati. Cosa è successo alla musica? Il nostro referente è esser raro, ha quel coraggio e quella cognizione di causa e quel rigor e libertà intellettuale che consente di dire ciò che normalmente vien taciuto e semmai bisbigliato negli ambienti della musica, forse neppure bisbigliato, forse dobbiamo osservare un movimento zigomatico, un sopracciglio lievemente inarcato, la bocca leggermente torta…

Sicuramente il nostro relatore, seppur va per i campi con la falce a rasar le graminacee, riconosce e cura le erbe aromatiche, i fiori spontanee ed i profumati e su di loro posa gentile lo sguardo che par accarezzi le piante varie e pone freno alla falce anzi la ripone nel suo fodero.

Abbiamo invitato ed il video che vi presentiamo quest’oggi è appunto con Lui: David Fontanesi a parlar de: Il bello, il brutto, il nuovo in musica.

Il Fontanesi non ha fatto quasi in tempo a dare il la e a far risuonare le prime battute del suo discorso che finalmente il pubblico presente all’incontro, sentitosi riconosciuto, sentito che si parlava a lui, mettendosi il Fontanesi dalla sua parte, ha iniziato a parlare, a domandare, a intervenire, a sbottare. Il nostro ospite ha avuto modo di offrire solo qualche lieve accenno al tema proposto.

Abbiamo lasciato il video integrale per dimostrare che l’ascoltatore ha voglia di sapere e far chiarezza sulla musica dal '900 ad ora.

Ciò che il Fontanesi espone è stato recepito dai presenti che hanno subito dimostrato la loro concordanza a quanto veniva esposto, musica dovrebbe essere suono godibile…

Noi invitiamo a chi desidera fare approfondimenti veri di leggere i libri di Fontanesi molto chiari, scritti in una forma piacevolissima e ben articolata oltre che documentata.

E anche, se oramai siamo portati sempre a pensare al peggio, ci uniamo a quanto diceva Schopenhauer quantunque questo mondo terminasse all’istante, la musica continuerebbe. E noi aggiungiamo che forse la musica bella non è altro che eco della musica delle divinità alate, nei cieli celesti che sempre c’è stata e mai finirà!

David Fontanesi: laureato in Storia della Filosofia Medioevale presso l'Università di Padova, ha studiato composizione con Azio Corghi all'Accademia Musicale Chigiana di Siena e all'Accademia Romanini di Brescia. Le sue opere, di genere cameristico e sinfonico, sono pubblicate dalla Casa Musicale Sonzogno di Milano e dalla Da Vinci Publishing di Osaka.

Ha inoltre curato l'edizione critica di tre Quartetti per flauto e archi di Saverio Mercadante (Edizione Zimmermann, Francoforte s/M 1998; CD Bongiovanni, Bologna 1999) e del Quartetto n° 7 per flauto e archi di Franco Margola (CD Bongiovanni, Bologna 1996).

Nel 2014, nel 2015 e nel 2017 ha pubblicato, per la casa discografica Bongiovanni, tre CD monografici dal titolo Chamber Music with Flute, Intimate Chamber Works e Orchestral Works. Per la Da Vinci Classics, sono uscite, nel 2019, nel 2020 e nel 2022, altre tre incisioni monografiche dal titolo The Third Way (Chamber Music & Sonatas for Winds), Four Concertos e Four Brass Concertos. Nel 2018, nel 2020 e nel 2022 la Zecchini Editore di Varese ha pubblicato tre suoi saggi intitolati rispettivamente Preludi ad una metafisica della musica contemporanea, Studi e intermezzi sulla musica del '900 e Note sigillate.

(VIDEO) IL BELLO, IL BRUTTO, IL NUOVO IN MUSICA - con David Fontanesi

 

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 L'ASSOCIAZIONE #EUMESWIL​ è un’associazione culturale non-profit, sorta a Firenze e Vienna con lo scopo di studiare e diffondere l’opera, il pensiero e lo stile esistenziale di #ErnstJünger​.

L’Associazione si fonda su tre pilastri:

CULTURA - Intesa come coltivazione di sé.

TRADIZIONE - Come l'eredità spirituale dei nostri antenati.

RETTITUDINE - Come modo di essere e non di apparire.

Visita il Sito: Associazione Eumeswil

 

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