(di Antonella Tommaselli)
I cancelli sono fatti per aprirsi innanzi a noi o richiudersi alle nostre spalle! Si apre un cancello, un varco, nel pieno dell’arsura estiva per ritemprarsi, trovar ristoro in un giardino ordinato. Ci si siede con un libro in mano e si lascia vagare lo sguardo tra gli alberi, le piante che ci circondano. Un mondo armonioso si para innanzi al nostro sguardo. Tante fogge di foglie dissimili l’una dall’altra, quanti sono gli alberi ed arbusti presenti. I tipi di fiori sono numerosi… Vi è quello rampicante della bounganvillea, più o meno violaceo, quello dell’ibiscus, giallo, rosso, rosato, qualche rosa già aperta quasi sfumata, il fiore di qualche varietà di solanacea, dei gerani… Ognuno è assai diverso dall’altro per la corolla, i pistilli, i profumi.
Nel giardino non mancano nugoli di insetti che compongono un vortice leggero, se visto contro sole, le api danzano posandosi sui fiori, il cicaleggio regna nell’aria, le lucertole si adagiano sui muriccioli e frettolosamente si spostano, si arrestano improvvisamente guardando a destra, a sinistra e poi riprendono la loro corsa furtiva. Non si bruciano il pancino e le zampette come farebbe un cagnolino nonostante il terreno bollente.
Si apre il libro, rialzando lievemente i piedi sopra un masso, per star più comodi, biancica la mente, il pensiero è in panne, immobile, statico nonostante le righe lette.
Si poggia il libro aperto sulla pancia e si guarda nuovamente in giro evitando la luce negli occhi, nascondendoci nell’ombra, a riparo grazie alle folte chiome di una vetusta querce. Gli occhi si chiudono spontaneamente. Il corpo si rilassa. Struscia ancora la lucertola fugace tra le foglie, una formica si poggia sul piede… Ogni sensazione del mondo circostante si attenua. Si aprono nuovamente gli occhi, si sa di essere stati distanti dalla realtà del giardino, ma non si sa dove abbiamo albergato, dove siamo stati.
Cambiamo postazione e ci sediamo a leggere su una panca in legno dinnanzi ad un tavolo, sotto un pergolato. Apriamo il libro, ma alziamo gli occhi. I frutti d’uva sono assai piccoli e verdi. Come sarebbe gradevole assaporare già qualche chicco d’uva, ma è ancora troppo presto…
Il tempo passa e usciamo dal cancello del luogo che ci ha reso facile e amabile trascorrere del tempo nelle ore più torride di una assolata giornata estiva.
Trascorrono i giorni, quasi una trentina, rientriamo nel giardino delle delizie, il sole è meno potente. Il verde è cresciuto a dismisura. Manca l’ordine lasciato. I rami degli alberi sono fuori sagoma. Le foglie cospargono abbondante il selciato. Sono secche ed arricciolate, piene di terra, polvere. L’erba del trifoglio è cresciuta alta. Ricopre le piante basse, pare soffocarle. Altri tipi di erba volgare crescono, elevando gli steli al di sopra della pavimentazione presente. Sono erbe infestanti.
Vi è un che di abbandonato nel luogo, di incuria. Ci rechiamo al pergolato: l’uva è matura. Qualche chicco è già fin troppo passato. I moscerini vi ronzano attorno. Qualche merlo fa cadere dei chicchi per terra. Ma dov’è il giardiniere? Cosa ha fatto nel frattempo? Qui potrebbe diventare tutto una foresta, un groviglio di piante. Le grandi foreste, le giungle che inghiottiscono ogni cosa umana!
Certo le forme misurate, equilibrate sono poco appariscenti. L’occhio e la mente alla ricerca ardente, assetata di un ordine interiore e superiore può trovarne grande beneficio e conforto. Sono conformazioni che non fanno parlare di loro, non destano scalpore, solo tranquillità e quiete d’animo. Sono strutture che non arrecano adrenalina all’osservatore. È l’adrenalina che viene ricercata oramai dai più per sentirsi vivi, quando è assente la vita, l’attività luminosa…
La ricerca desiderosa spirituale può essere causa di una sofferenza tanto maggiore, in quanto è contro lo spirito del nostro tempo. Trovare conforto nell’equilibrio, nella regolarità è quel tipo di grandezza che segna e sancisce il legame tra l’uomo ed il divino. Purtroppo si vive tali esperienze non di rado allo stesso modo che nelle grandi foreste del Bengala, dove si vedono, con un senso di paura, le forme di vita che rimangono soffocate dalla loro esuberanza. Diremo, anche, che l’abbondanza di tali sintomi ci separa dalla persona con smanie convulse di adrenalina come un’impenetrabile boscaglia: sappiamo troppo poco della buona salute, e troppo della malattia.
Un ricordo emerge! Angkor in Cambogia! Che luogo spettacolare! Arrivare all’ingresso del sito archeologico in motorino, in bicicletta dopo essersi mossi fra alberi secolari nella foresta e vedere la venerabile, mitica, superba Angkor. Sorprendente per la sua storia passata, per la grandiosità, per la grandezza! E pensare che un luogo così vasto era stato sepolto dalla giungla! Pare quasi impossibile! Ma così è stato.
Angkor Wat divenne popolare in Occidente solo alla metà del XIX secolo grazie al naturalista ed esploratore francese Henri Mouhot che, dopo averlo visitato, pubblicò le sue note di viaggio, in cui scrisse:
“Uno di questi templi (un rivale per quello di Salomone, ed eretto da qualche antico Michelangelo) potrebbe avere un posto d'onore accanto ai nostri edifici più belli. È più grandioso di qualsiasi cosa ci abbiano lasciato i greci o i romani, e contrasta tristemente con la situazione selvaggia in cui versa ora la nazione.”E se anche noi si seguissero le orme di Angkor? Già! La tecnologia avanza… Ma la cultura mondiale non pare già una foresta? Il sommo Dante si perse in una selva oscura…
È noi non siamo smarriti di fronte a questa vastità di sapere? Abbiamo la bussola per riconoscere quella vera e sola cultura che serve a migliorarci, a renderci sereni, a rendere ogni giorno speciale, a vivere con sapienza? Abbiamo coltivato in noi quella cultura della cura del nostro essere, del rapporto col mondo superiore che rende possibile custodire questo mondo e tessere rapporti, relazioni che apportano buoni frutti? Siamo capaci di prestare soccorso agli altri per migliorare le loro vite e ancor prima le nostre?
Talvolta si ha l’impressione di essere in un mondo dell’apparente sovrabbondanza dove vi è penuria di reale linfa vitale, soffio vitale, parola salvifica, vero sollievo, alimento per lo spirito…
Si guarda meglio il pergolato dove siamo sotto seduti. Il grappolo d’uva sano è gonfio! Sappiamo già che può nutrirci e dissetarci, donarci ridente e amorosa ebbrezza! Pensiamo che grazie all’Agricoltore abbiamo la vite, i tralci d’uva che donano i frutti! La vite va potata per continuare a vivere e fruttificare. Va lasciato il tralcio antico insieme ai nuovi sani e forti. La vite deve continuare a crescere. Il ‘nuovo’è un dono, una grazia dello Spirito Santo…
Riecheggia la stessa domanda di sempre mentale può un essere finito creare un qualche cosa che sopravviva a lui senza ricongiungersi all’Eterno? Sappiamo che il mondo si nutre e vive di illusioni! Sappiamo quante illusioni sono già tramontate e quante ne tramonteranno e quante sempre più velocemente lo faranno se non conteranno granelli di verità…
Può un essere umano che non coltiva se stesso, che non estirpa le erbe amare che lo allontanano dalla spiritualità, far poesia, musica, architettura, scultura, danza, vivere pienamente?
La forma perfetta è racchiusa nel tre! Rassomiglia vagamente al grappolo d’uva. Un triangolo equilatero iscritto in un cerchio o ancor meglio in una spirale mobile, dinamica: l’esistenza. Questo triangolo invisibile investito di forze: positiva, negativa, neutralizzante! Quando in qualsiasi cosa non si rinvengono questi tre principi nulla può sussistere…, ma soltanto svanire come un sogno di una giornata di mezza estate!
Il titano costruisce orgoglioso, fiero, mondi di giganti, giocattoli meccanici che lo intrattengono facendolo credere re nel suo mondo ricolmo di molteplici schermi con immagini ipnotiche irreali, che seducono, affascinano l’uomo che non comprende la tecnica e la utilizza passivamente come un robot su cui si carica un file. Un uomo derubato del proprio tempo libero, intrappolato nella intelligenza tecnologica che non solo lo fagocita, ma che non è nemmeno in grado di far propria, di padroneggiarla visto che progredisce e si trasforma di continuo.
La persona stessa si rende pian piano invisibile, fantasma e spettro di se stessa, per se stesso e l’altro. Le città sono sempre più deserte come cade la notte. Di giorno i negozi vivono solo la dove vi è necessità di un’attività in presenza: il parrucchiere ad esempio, l’estetista, il barista, l’idraulico…
Intanto nel bosco, di una notte di mezza estate, vi è il nano, lascia il titano giocare coi suoi giochi, a far guerra ai suoi rivali, e vive nel sottobosco con i nani suoi compagni e Biancaneve oppure con gli hobbit, cantando va a lavorare, incontrando le fate, gli elfi, gli gnomi, di tanto in tanto un angelo compare e lo allieta con qualche buona novella. Talvolta capita pure che un vento leggero colga il nano e lo porti a volteggiar nel cielo, in cima ad un crinale di un monte dove intorno a se vede librarsi in aria, senza fatica, l’aquila reale. I due si guardano negli occhi e paiono farsi l’occhiolino, intendersi…
Capita poi che il nano venga poggiato nuovamente nel sotto bosco e si risveglia lì e allora crede di aver sognato di volare seppur quel mondo pare tanto più vero, autentico, bello e apparentemente più semplice, essenziale del nostro…
Ribadiamo qualche passaggio di uno scritto di Ernst Jünger, ma non nomiamo testi, stavolta, desideriamo apprendere a leggere dal grande libro della vita, per leggerlo bene occorre una facoltà di riflessione di stampo superiore, la sola esperienza non è sufficiente, rimane in un ambito troppo grezzo.
Essere qui e ora deve essere sotto la guida della comprensione suprema.
Ecco Jünger ora il suo scritto lo ripetiamo a noi stessi per imprimerlo nelle nostre molli teste e farlo nostro:
“Oggi può vivere soltanto chi non crede più in un “happy ending”, chi vi abbia rinunciato scientemente. Non esiste nessun secolo felice, ma esiste l’istante di felicità, ed esiste la felicità nell’istante (…) L’istante si congiunge con l’eternità. (…) Che si sia spenta la cattiva stella, lo potrà supporre soltanto chi non conosce la forza del destino. Non possiamo evadere dai nostri limiti, dal nostro intimo. Perciò non mutiamo nemmeno. Certo, ci evolviamo, però sempre entro i nostri limiti, nel cerchio segnato…
I nostri punti di vista sono imperfetti, perché l’opposizione è inclusa in ogni edificio storico. E che cosa sarebbe la storia, senza la sofferenza?
La più piccola effimera, la più piccola di quelle conchiglie chiamate cuori è di una struttura più armoniosa, più fatta per durare della grande Babilonia. In esse il Creatore parla senza intermediario. Una qualsiasi pagina di un sunto risponde meglio al nostro bisogno di logica dello studio, fosse pure quello dell’età dell’oro o di una dinastia di re buoni, per non parlare dei torbidi e della guerra dei cento anni. Ogni grande quadro, ogni buon poema ha più equilibrio, è più vicino alla perfezione della confusa tappezzeria tessuta dagli avvenimenti di un secolo.
Se si vuole che i Padri e gli atti loro ci appaiono in tutta la loro grandezza bisogna che l’arte, il canto, se ne impadroniscano. Infine, la morale non ha qui nulla da vedere, e i buoni sono una facile preda per la crudeltà; ma questo è un segreto di Pulcinella.
Certamente, atti di grandezza e di audacia non mancano; ma come è raro che penetrino la ottusa resistenza della massa, la critica bassa e malevola. L’arte politica non produce opere d’arte. Lavora su una materia ingrata. Creazioni imperfette di esseri imperfetti, ecco il sentimento che lascia questo gioco di nascite e di tramonti. E anche quando osserviamo, volgendoci indietro, il passato, uno dei nostri grandi scottanti dolori sta nel vedere il corso delle ruote seguire la sua strada fatale, contro ogni ragione apparente. È uno dei cerchi del Purgatorio: infatti, la sofferenza dei combattenti è breve e se ne va con la vita.
Resta l’ipotesi consolante che regni nell’al di là della storia un senso inaccessibile ai nostri metodi di calcolo. Noi non sappiamo, ne’ abbiamo il diritto di sapere, che cosa sia la storia nella sostanza, nell’assoluto, al di là del tempo. Indoviniamo, ma non conosciamo, il giudizio del Tribunale dei morti. Forse un’insperata gloria esploderà, atterrando le muraglie”.
Vi lasciamo ora con il video che vi riproponiamo oggi con Giovanni Antonucci: “In difesa di un attacco ideologico alla millenaria cultura occidentale”
Giovanni Antonucci: già docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo alla Facoltà di Magistero di Roma, è stato docente di Storia del Teatro alla Link Academy dell’Università di Malta in Roma. Relatore in decine di convegni scientifici in Italia e all’estero (Francia, Belgio, Portogallo, Norvegia, ecc.), ha svolto seminari in varie università italiane.
La sua produzione scientifica è assai vasta e si estende dal teatro greco e latino alla drammaturgia e alla scena del Novecento. Attivo da trent’anni all’Enciclopedia Italiana, ha scritto voci teatrali e televisive (ma anche cinematografiche) per l’Enciclopedia Treccani, il Dizionario Enciclopedico, l’Enciclopedia Dantesca, l’Enciclopedia Virgiliana. È autore di una dozzina di testi originali e ha tradotto e/o adattato commedie di Aristofane, Terenzio, Shakespeare, Goldoni, George Bernard Shaw, Svevo, Roussin, Sauvajon etc. Producer RAI di oltre un centinaio di programmi televisivi nel campo del teatro di prosa, oltre che della fiction e delle rubriche culturali, Giovanni Antonucci opera da molti anni nei mass-media, coniugando la teoria con la pratica.
È stato Direttore artistico del Teatro Stabile Privato Al Massimo di Palermo.
È stato membro della Commissione Consultiva per il Teatro del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali…VIDEO. Aforismi in difesa di un attacco ideologico alla millenaria cultura occidentale - Giovanni Antonucci
Leggi anche: Associazione Eumeswil
L'ASSOCIAZIONE #EUMESWIL è un’associazione culturale non-profit, sorta a Firenze e Vienna con lo scopo di studiare e diffondere l’opera, il pensiero e lo stile esistenziale di #ErnstJünger.
L’Associazione si fonda su tre pilastri:
CULTURA - Intesa come coltivazione di sé.
TRADIZIONE - Come l'eredità spirituale dei nostri antenati.
RETTITUDINE - Come modo di essere e non di apparire.
Visita il Sito: Associazione Eumeswil
Aforismi in difesa di un attacco ideologico alla millenaria cultura occidentale
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