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La fabula Aristaei virgiliana (Georgiche IV, vv. 315-558) una proposta di interpretazione alla luce delle dottrine orfiche
(di Antonella Tommaselli)
Riflessione di Eumeswil Dopo un autunno ed un inizio inverno umido, grigio, dai colori velati, dai tronchi degli alberi bianchi, si inizia a nutrire il desiderio della luce solare che ravviva le giornate, l’anima,consente alla natura di germogliare! Ai tempi del liceo si era soliti immergerci nella natura virgiliana. Rifarlo da adulti è altra cosa… Si scoprono le poetiche, le celebrazioni del verde e quanta conoscenza vi sia in quella parola aromatica. Virgilio profondo conoscitore del rapporto esistente tra natura e cultura. Una relazione che vediamo sempre più vacillante nei presenti scenari… Anche il bosco, fonte di relazione tra ecologia ed ermeneutica, viene abbattuto senza timore.
Ernst Jünger ci parla de: “Le api di vetro”. Sappiamo oramai che vi sono realmente api finte e non solo! Già Titiro che riposa sotto le fronde del faggio è oramai una immagine antica, poetica. Costellazioni di satelliti vengono chiamati in causa per monitorare il verde rimanente, sempre di meno… Per osservare le varie specie fin negli steli e radici. I dati raccolti dovrebbero poi essere analizzati da eserciti di ingegneri della terra e attraverso i droni e le più evolute macchine si dovrebbe provvedere alla terra e al raccolto. Sembra fantascienza in realtà è già un progetto avanzato… Un mondo che può cambiare radicalmente la sua immagine… Alla madre terra non si offrono più sacrifici e cure, tendiamo a sfruttarla. Al contempo vi sono nuovi metodi naturali di sostenibilità del suolo, dell’agricoltura, basti pensare a uno dei suoi pilastri: Masanobu Fukuoka. Il suo operato e le sue ricerche hanno permesso di rendere coltivabili anche zone aride e difficili da raggiungere attraverso un processo naturale di economia circolare e sostenibilità. “L’obiettivo dell’agricoltura non è quello di far crescere i raccolti, ma è la coltivazione e il perfezionamento degli esseri umani”, espone Fukuoka. Coltivare è come meditare e riconnettere l’uomo con la natura. Per il mondo di Eumeswil cultura significa appunto coltivazione di se’.
Nel mondo occidentale possiamo ricordare come nel giardino dell’Eden l’uomo avesse il compito di curarlo… Una volta espulso dal giardino che, ci rende umani, con l’agricoltura ha inizio la tecnica… Giuseppe decifra il sogno, tanto tempo dopo, al faraone e prevede la carestia… Le sette vacche e le sette spighe magre che ingurgitano le grosse, ma rimangono tali e quali… Giuseppe riempirà i granai e venderà i prodotti in cambio di soldi, poi degli animali, in fine della terra. Darà i semi per nuovi raccolti, ma la terra non è più propria… Oggi abbiamo già le banche del seme. Tanti prodotti sono oramai sprovvisti… La venuta del Cristo porta un vento nuovo, al figlio di Dio non mancherà il cibo, ma attenzione a far mambassa non sappiamo mai l’ora della nostra morte. Queste sono meditazioni sulla visione della natura e della cura dell’essere, del pianeta anche rispetto all’universo…
Nel video di oggi vi è una nuova lettura de: “La fabula Aristaei virgiliana (Georgiche IV, vv. 315-558) una proposta di interpretazione alla luce delle dottrine orfiche”:
Nessuna delle fonti in nostro possesso ha mai collegato prima di Virgilio le vicende di Aristeo con quelle di Orfeo. Attraverso alcuni riscontri con le fonti greche e un interessante confronto con il repertorio linguistico mediterraneo, si può affermare che le api perdute da Aristeo e la ninfa pianta da Orfeo rappresentano due aspetti di una medesima creatura, per cui di fatto i due personaggi subiscono una perdita che li accomuna. Per effetto di ciò Aristeo, nel suo cammino di redenzione, si sottopone ad una serie di prove ed esegue dei rituali riconducibili all’ambiente orfico-misterico: il significato finale del poema virgiliano è quindi più ricco di quanto si è pensato in precedenza. Una nuova interpretazione della fabula di Aristeo, assai significativa, interessante che ci porta ancor più addentro all’opera del poeta…
Il nostro testo prenderà in prestito tre parole chiave dal Prof. Bocchi per procedere invece nella presente scrittura… Allontanandosi da Virgilio, ma non dai nessi… Giuseppe Bocchi, il nostro ospite, andrà spiegando con sagacia, chiarezza, vivacità la Sua interpretazione della Fabula…
Noi ci avviamo per la nostra strada…
Ernst Jünger oltre ad essere stato un letterato é pure stato un valente entomologo, profondo conoscitore della natura insieme al fratello uno dei primi Verdi degli anni ‘30 del secolo scorso. Vi proponiamo un passaggio di una intervista tra il Maestro di Wilflingen e Julien Hervier. Questa opera viene data alle stampe nel 1986. Ne è passata di acqua sotto i ponti…
J.H. – E ora che si constata la scomparsa di numerose specie animali. Non è un pericolo particolarmente minaccioso per l’avvenire del mondo?
E.J. – Certamente, è molto spiacevole, ed è diventato quasi impossibile aprire un giornale senza imbattersi in qualche protesta su questo argomento. Quando sono arrivato qui, a Wilflingen, mi ero specializzato in particolar modo nello studio dei coleotteri; ce n’era un gran numero di specie che non trovo più. Dico spesso che la mia collezione ha oramai acquistato una sorta di valore paleontologico. Ho raccontato nelle “Cacce sottili [SubtileJagden]” di avere abitato in Egitto, in Nubia, in un albergo circondato da un bellissimo giardino traboccante di fiori. Speravo di farvi una buona caccia, ma quando ho esaminato la mia rete per le farfalle non ho trovato praticamente nulla, è il motivo è apparso molto alla svelta. C’era un nubiano tutto vestito di rosso, armato di un enorme polverizzatore contro le erbacce e i parassiti: o almeno quelli che si chiamano parassiti stando a quel che dice la gente, perché l’entomologo dà giudizi di valore completamente diversi. Insomma, quest’uomo polverizzava dappertutto del DDT o un qualche altro veleno, e non restava più nulla. Arriva allora un’americana che mi vede con il mio boccetto destinato alla raccolta degli insetti e mi chiede cosa sto facendo. Le rispondo che sto cacciando coleotteri: “Oh, ma allora – esclama – non posso certo stringerle la mano”. Poi continua per la sua strada, incontra quel bravo giardiniere con il suo polverizzatore, e a lui stringe la mano. Questo lo considero un esempio molto tipico. All’uomo che uccide milioni di esseri viventi, gli si dà la mano; a quello che vuole giungere ad una visione esatta di alcune specie, gliela si rifiuta. È un po’ come se si desse la mano all’uomo che lavora alla bomba atomica; e quello che lavora col suo fucile in mano, come ho dovuto fare io in un certo periodo, lo si trova sospetto.
J.H. – Il suo orientamento ecologico deve ispirarle una certa simpatia per i “Verdi”.
E.J. – È innegabile. Sono portato a pensare che siano sulla strada giusta : forse al modo del Famulus di Faust che vorrebbe sapere tutto ma non ha ancora ordinato per bene le proprie conoscenze. Questo potrebbe di certo accadere se delle personalità di primo piano emergessero da quegli ambienti. Ad ogni modo c’è una cosa che avrà potuto constatare e sulla quale insisto nella mia opera “L’ operaio”: vale a dire che la pura economia non è sufficiente. Dunque ci troviamo rimandati dall’economia alla ecologia. È già un primo passo, ma naturalmente non è l’ultimo. Tuttavia tengo a dire che è un passo nella direzione giusta.
Ogni civiltà è destinata a morire quando le acque la sommergono; A ricordarcelo lo storico e filosofo Gianni Vannoni:
“Il diluvio della barbarie ripete in senso antropologico lo scatenamento degli elementi, che segna le grandi cesure dei cicli di civiltà. Ma ogni volta il filo d’oro della tradizione viene messo in salvo da una scuola esoterica e rinasce una nuova civiltà, un nuovo modo di essere nel mondo, che è rappresentato da un eroe culturale.
L’eroe culturale della civiltà nordica è Odino e la scuola che attua la trasmissione è quella sciamanica. Durante il declino della civiltà nordica, sommersa dalla barbarie, la scuola dionisiaca trasmette il suo insegnamento alla civiltà egea, il cui eroe culturale è Minosse. Il fenomeno si ripete con la civiltà ellenica, il cui eroe culturale è Eracle, grazie alla trasmissione della scuola apolinnea; e con la civiltà romana, il cui eroe culturale è Enea, per il tramite della scuola stoica. L’esaurimento della scuola romana è seguito da una lunga pausa, intervallo, e la civiltà occidentale rinasce soltanto intorno all’anno mille grazie all’apporto esterno del cristianesimo. Una scuola di origine orientale, la cui straordinaria potenza sovrannaturale riesce a risollevare il mondo occidentale dalla tragica barbarie in cui è caduto. Invece della temuta della fine del mondo si assiste al fiorire della civiltà cristiana, dove la scuola esoterica ha preso la forma della cavalleria e il nuovo eroe culturale è Parsifal. Dopo di che succede la civiltà moderna, assai più debole, il cui eroe culturale è Faust. Nella trasmissione del filo d’oro dalla civiltà cristiana alla civiltà moderna è visibile la mano della cavalleria”…In realtà il discorso è l’analisi prosegue ancor più nel dettaglio, in un’analisi storica puntuale e precisa dal ‘700 ai giorno d’oggi, che arreca il nostro declino in corso… Noi siamo costretti ad abbreviare dicendo che per il 900 e il momento odierno è ancora da individuarsi l’eroe culturale… se vi è…
A questo punto allora è assai interessante tirare fuori dalla biblioteca un testo che vede Ernst Jünger traduttore dal francese e curatore del testo poco commentato anzi quasi dimenticato da tutti o dalla maggior parte: “RIVAROL. Massime di un conservatore”. Un libro da gustare con calma, su una comoda poltrona, dedicando tempo ed attenzione alle sottigliezze della lingua e della parola. Un saggio dove l’acume, la sagacia, la saggezza, la brillantezza del pensiro e dello spirito vibrano e irradiano il lettore di nuove visioni e concezioni. Un testo adatto per chi come noi, più avanti ancora del Maestro, nella storia annota che è stata fatta “tabula rasa” della nostra cultura e civiltà. Ernst Jünger ci indica cosa poter fare…una via d’uscita per poter, forse, risalire la scala…
Dal retro di copertina del testo così si apprende:
“Nato nel 1753, fuggiasco da Parigi nel 1792 (“Dov’è il grand’uomo?” chiesero gli uomini del Terrore bussando alla sua porta “lo vogliamo accorciare un pò“), esule in Belgio fino al 1794, poi in Germania dove morì nel1801 ( consumato “tanto dall’ incessante attività spirituale quanto dai piaceri”, Antoine de Rivarol appartiene a pieno diritto alla folta e scintillante schiera dei moralisti francesi. Su Jünger, che lo ha tradotto in tedesco e ha curato questa scelta di massime, egli ha esercitato una forte attrazione, indicata dalla ricchezza e dall’originalità della sua personalità. Per Jünger, Rivarol è lo scrittore che in nome dei valori formali ha rischiato la frammentarietà, l’incompletezza, che ha costantemente perseguito la perfezione stilista, toccando la spesso nella concezione delle sue massime, delle sue definizioni. È il dandy, capace però di scelte assolute, mai riducibili a una religione dell’apparenza. È, soprattutto, il “pensatore della conservazione “in un’epoca rivoluzionaria. Nel lungo saggio che precede le “Massime”, Jünger si chiede che significato possa avere oggi “un autore morto da centocinquant’anni, che cercò di affrontare come singolo la Rivoluzione allo stato nascente, per il nostro tempo, cioè un tempo in cui questa rivoluzione si è consolidata”. A tale quesito, lo scrittore risponde che l’attualità di Rivarol è nella struttura del suo pensiero. “Tra i pensatori della rivoluzione Rivarol si distingue per la sua obiettività razionale. Per questo motivo la sua opera, non per le soluzioni ma per l’impianto del suo pensiero, offre stimoli a chiunque riflette come vada formato un nuovo humus e creato qualcosa di permanente in una situazione di tabula rasa”. E aggiunge: “Egli resterà esemplare per l’intrepido e tuttavia ponderato atteggiamento con cui il singolo si contrappone alla corrente del tempo, che minaccia di tutto divorare e di cui solo pochi cuori e poche menti sono all’altezza“. L’ intransigenza morale, la chiarezza intrepida dello sguardo, lo spirito autenticamente conservatore, il senso profondo dello Stato, e insieme lo stile smagliante. la grazia suprema, la forza concentrata nell’espressione, la qualità inventiva, illuminante di una battuta: in queste massime, che si offrono all’intelligenza e al piacere del lettore di oggi, si rivela il “metallo puro” di uno scrittore.
Il nostro e’ un invito che si fa insistente sia di ascoltare il video di Giuseppe Bocchi sia di leggere il testo su Rivarol di Ernst Jünger e le sue massime scelte tradotte. Siamo invitati a riflessioni di grande caratura dove tradizione significa prettamente ricollegarsi alla patria celeste da cui tutti proveniamo. Non dobbiamo pertanto sconvolgerci se cambiamenti planetari forse non vogliono altro che portarci a realizzare in terra ciò che già siamo in Cielo. Non vi è alcun problema se riusciamo a rintracciare e a far vivere il fil rouge della tradizione anche se ci inquietiamo di fronte a tanti cambiamenti e scombussolamenti. L’importante è che a brillare sia l’oro del Cielo.
E così Ernst Jünger congeda il lettore dalla Sua introduzione a Rivarol:
“La perdita di una tradizione viene giudicata diversamente a seconda del punto di osservazione e della misura in cui si ritengono necessari il movimento e e la mobilità nelle epoche che stanno davanti a noi. Se l’influenza dei classici affievolisce o diventa museale, ciò non significa ancora che la gioventù è diventata inaccessibile alla parola e al suo potere. Anche la parola non può immergersi due volte nella stessa corrente. Solo nell’inespresso, là dove è lo spirito, essa ha consistenza. In questo senso, la lingua è salda cittadella, il nucleo vivo della riflessione e non è un caso che Rivarol le rivolgesse la sua maggiore attenzione. Non mancano i tentativi di sminuire la lingua e di abbassarla a una specie di mezzo di trasporto. Ma essa è sopravvissuta a tempi ancora peggiori. Lo straordinario è che il tesoro che riposa in essa può essere dissotterrato dai singoli, e in maniera sostanziale. Quando il grande storico dà vita alla storia, egli ricava dal passato un’immagine significativa. Ma laddove il poeta rinnova la lingua, egli fornisce un’immagine significativa e allo stesso tempo originaria, percuote la roccia col bastone, dallo spirito produce la vita. Dove la lingua irrigidita nel corso dei secoli diventa chiara e fluida come lava, sgorga anche la fonte in cui passato e presente sono trasparenti e indivisi.”
Un esempio di massima: “Un libro che viene sostenuto è un libro che cade”. Con ciò si sostiene, riprendendo dal discorso sorretto da Ernst Jünger che, la tirannide sostiene soltanto libri che cadono, ovvero una cultura di propaganda…
Giuseppe Bocchi (Brescia, 30-12-1976) è assistente di Letteratura latina e Grammatica latina e docente di Lingua latina e Filologia classica presso la sede bresciana dell’Università Cattolica. La sua tesi di dottorato dedicata allo studio dei rapporti tra il pensiero filosofico senecano e le dottrine mediche stoiche è stata successivamente rielaborata e pubblicata dalla casa editrice Vita e Pensiero col titolo Philosophia medica e medicina rhetorica in Seneca (Milano 2011). Oltre alla tragedia di Seneca, altri filoni di indagine riguardano Virgilio, con un tentativo di rilettura della Fabula Aristaei alla luce di alcune nuove teorie glottologiche e delle dottrine orfiche (2016). Per quanto riguarda Lucano, Giuseppe Bocchi ha formulato una proposta di rilettura del concetto di anti-virgilianismo che caratterizzerebbe la Pharsalia (2014) e ha elaborato un’analisi delle scene di disfacimento somatico nella battaglia di Marsiglia narrata nel III libro del poema (2020). Per la rivista polacca di fascia A ‘Eos’ ha curato la recensione in inglese al ricco volume di studi miscellanei Sappho at Rome (Oxford 2019)”.
A.T. del mondo di Eumeswil
VIDEO. La fabula Aristaei virgiliana (Georgiche IV, vv. 315-558) una proposta di interpretazione alla luce delle dottrine orfiche. Con Giuseppe Bocchi
L'ASSOCIAZIONE #EUMESWIL è un’associazione culturale non-profit, sorta a Firenze e Vienna con lo scopo di studiare e diffondere l’opera, il pensiero e lo stile esistenziale di #ErnstJünger.
L’Associazione si fonda su tre pilastri:
CULTURA - Intesa come coltivazione di sé.
TRADIZIONE - Come l'eredità spirituale dei nostri antenati.
RETTITUDINE - Come modo di essere e non di apparire.