Coronavirus, webcam e tablet per proteggere medici da contagio
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16
Mar, Apr

Coronavirus, webcam e tablet per proteggere medici da contagio

Coronavirus, webcam e tablet per proteggere medici da contagio

Cronaca
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Una webcam nelle stanze dove sono ricoverati i pazienti con Covid-19, che comunica con l'esterno attraverso un tablet.

Coronavirus, webcam e tablet per proteggere medici da contagio
Coronavirus, webcam e tablet per proteggere medici da contagio

 

Anche la tecnologia può contribuire a proteggere i camici bianchi e il personale dal contagio, quando l'ospedale sull'onda dell'emergenza coronavirus viene "riconvertito fino all'80-85% dei posti letto, prima dedicati ad altre specialità, per accogliere malati positivi al Sars-CoV-2". Succede all'Istituto clinico Città Studi di Milano. 

Come il virus abbia temporaneamente stravolto la vita ospedaliera e ridefinito i confini lo racconta all'AdnKronos Salute Pasquale Ferrante, direttore sanitario dell'Istituto. "Abbiamo fatto un training ai nostri medici, infermieri e operatori sociosanitari perché imparassero a usare gli strumenti di protezione individuale - dai camici ai copricapelli, dalle visiere agli occhiali, le mascherine, i guanti, i sovrascarpe - e dopo una fase iniziale di veloce consumo siamo riusciti ad approvvigionarci abbastanza bene e non abbiamo avuto più problemi da quel punto di vista. E c'è stata - assicura - un'incredibile mobilitazione di tutto personale. Non hanno avuto nessuna remora a smettere le abituali attività e a occuparsi di questi pazienti". 

"Ci siamo organizzati - prosegue - creando gruppi di circa 3-4 medici per ogni step di 10-15-20 pazienti, a seconda del livello di gravità. Ogni gruppo ha un capo e un vice. Sono loro che entrano direttamente in stanza e visitano i pazienti. Le webcam collegate a un tablet esterno permettono di dialogare con i colleghi fuori, e chi sta dentro trasmette direttamente tutte le informazioni da mettere in cartella clinica e le indicazioni raccolte. Questo per far sì che l'esposizione sia ridotta al minimo e anche che non si dia costantemente fastidio ai pazienti. E' un sistema che ha funzionato e il nostro personale è diventato esperto".  

Anche l'Istituto ha dovuto piangere un morto fra gli operatori in prima linea, e ha pagato un prezzo in termini di contagiati. "Abbiamo perso Miguel Angel, nostro storico operatore sociosanitario a cui tutti erano affezionati. Era un gran lavoratore - lo ricorda Ferrante - sempre disponibile e la sua scomparsa ci ha colpito molto. Abbiamo registrato un certo numero di positivi fra Oss, infermieri e medici. Oggi molti si sono negativizzati. Il peso di questo problema è importante, ma credo che in buona parte si sia creato nelle fasi iniziali quando non era ancora scattato l'allarme. Ora ci sappiamo muovere e confido in una discesa dei casi". 

L'unico limite rimasto ora, dice Ferrante, è il numero di posti letto: "I pazienti di questo tipo infatti restano ricoverati per periodi abbastanza lunghi" e i letti si liberano con un ritmo molto più lento. "In più, quando un paziente arriva in pronto soccorso (autopresentato o portato da Areu) noi possiamo sospettare subito una Covid dalle immagini radiologiche, ma prima di classificarlo come tale dobbiamo aspettare l'esito del tampone e può accadere che arrivi anche il giorno dopo. Quindi occupiamo una stanza per il singolo paziente in attesa di sapere come va. Purtroppo sono quasi tutti positivi".  

L'Istituto si è stabilizzato come numeri: "Abbiamo - dice Ferrante - da 160 a 180 pazienti Covid e abbiamo cominciato anche a dimettere". Per fronteggiare l'emergenza "è stato triplicato il potenziale dei letti di terapia intensiva: eravamo accreditati per 4 e oggi ne usiamo tra 10 e 12. Abbiamo risolto un iniziale problema con l'ossigeno" necessario per supportare i malati Covid "con l'acquisto di un serbatoio accessorio che ci ha aumentato la capacità del 50%, ed è allocato vicino al serbatoio principale. Altrimenti non avremmo dormito sonni tranquilli". 

Come da prassi, la dimissioni avvengono al domicilio "se le condizioni del paziente e il setting abitativo, cioè la disponibilità di una stanza e un bagno indipendenti, lo permettono". Ci sono poi diverse strutture destinate all'accoglienza dei pazienti dimissibili che rimangono positivi al virus. "Questi pazienti - spiega il direttore sanitario - vengono inseriti in un sistema tramite il programma messo a punto dalla Regione e vengono smistati nelle strutture in base alle caratteristiche. Chi sta bene va in strutture con capacità assistenziale più ridotta, chi ha bisogno di assistenza maggiore va in strutture con cure intermedie. Anche noi abbiamo avuto pazienti che sono deceduti purtroppo, e abbiamo vissuto come tutti anche l'impatto sulle camere mortuarie, ma abbiamo anche tanti dimessi. Al momento - conclude - ne sono stati messi 25-30 in lista nel sistema in attesa di uscire". 

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Author: Red AdnkronosWebsite: http://ilcentrotirreno.it/Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.