Mafia, gen. Mori: "Quando arrivai a Palermo capii che parte dello Stato non stava con i buoni"
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Mafia, gen. Mori: "Quando arrivai a Palermo capii che parte dello Stato non stava con i buoni"

Cronaca
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(Adnkronos) - Nella puntata di questa sera de “Il Colibrì”, in onda alle ore 21.00 su San Marino Rtv, canale 550 del digitale terrestre, Giovanni Terzi incontra due figure centrali nella lotta alla criminalità

organizzata: il Generale Mario Mori e il Colonnello Giuseppe De Donno, entrambi decorati ufficiali dei Carabinieri che hanno dedicato la loro vita a sconfiggere la mafia. In collegamento -sottolinea una nota- ci sarà Ambrogio Crespi regista e autore del docufilm "Generale Mori. Un'Italia a testa alta”. La trasmissione ha offerto uno spaccato inedito e a tratti 'inquietante' sulla stagione delle stragi, portando alla luce dinamiche interne alle istituzioni e giudiziarie che mettono in discussione la narrazione storica degli ultimi trent’anni. 

Il Colonnello De Donno ha, innanzitutto, delineato il clima di terrore che dominava in Sicilia. Rievocando la realtà di Palermo al tempo delle stragi, ha spiegato che "33 anni fa a Palermo la parola mafia non si pronunciava" e che a proposito del boss mafioso, "il nome Totò Riina si aveva paura a dirlo". Era un contesto in cui "la paura dominava su tutto". Il Generale Mori ha descritto come fosse difficile distinguere tra legalità e criminalità, soprattutto nella "fascia medio alta della società siciliana", dove esistevano "dei luoghi dove praticamente il bene e il male si integravano e dialogavano. Ero convinto - ha aggiunto - che a Palermo gli uomini delle istituzioni, tutte le istituzioni, politica, magistratura, carabinieri, polizia, fossero dalla stessa parte". Un convincimento che si rivelò in parte errato, portandolo a capire, "pagando anche le conseguenze", che "non era così, che anche nelle istituzioni c'era gente che non remava dalla parte giusta".  

Le dichiarazioni più forti hanno riguardato i contorni dell'omicidio di Paolo Borsellino. Il Colonnello De Donno ha ricordato la testimonianza di Agnese Piraino, vedova Borsellino, secondo cui la mattina del giorno della strage di Via D’Amelio, il giudice ricevette alle 7:00 del mattino una telefonata dal Procuratore Capo di Palermo, Pietro Giammanco, “con il quale c’era stato nei mesi precedenti uno scontro durissimo”, ha ricordato il Colonnello. Dal Procuratore Capo era, infatti, fino ad allora stato negato a Borsellino di indagare su Palermo, prendendo il posto del giudice Falcone. In quella telefonata di domenica mattina sarebbe, invece, arrivata la comunicazione del via libera. “Se consideriamo che il dottor Borsellino aveva l'ufficio con la porta accanto a quello del dottor Giammanco - ha detto De Donno - era una cosa che tranquillamente il dottor Giammanco avrebbe potuto riferire il lunedì mattina. Io penso che ormai le ultime indagini stiano dimostrando che probabilmente il dottor Giammanco voleva lasciare traccia di questa apertura e, mia considerazione, forse perché aveva una coscienza di quello che sarebbe accaduto”.  

Sullo sfondo delle tensioni tra i due giudici anche l'indagine su "Mafia appalti", che coinvolgeva "il mondo politico il mondo imprenditoriale di Cosa Nostra”. De Donno ha anche ricordato le testimonianze dei collaboratori di Borsellino a cui il magistrato avrebbe confidato, poco prima della sua morte, di stare lavorando per arrestare il procuratore Capo Giammanco. Forti anche le dichiarazioni su Marcello Dell’Utri. Il Generale Mori ha ricordato di averlo conosciuto come un uomo "di grande cultura". Il Colonnello De Donno, pur ammettendo che possa aver "commesso degli errori o fatto delle cose anche penalmente rilevanti", ha smentito l’accusa di partecipazione strutturata alla criminalità organizzata: "Non credo che si possa pensare che sia parte strutturata dell'associazione mafiosa, proprio quanto di più lontano dal suo modo di pensare, di vedere dalla sua stessa cultura".  

Si è poi evidenziato come le recenti indagini della Procura di Caltanissetta stiano portando alla luce uno "scenario ove fosse confermato sarebbe veramente inquietante", suggerendo una possibile totale revisione della narrazione trentennale sulle stragi. In chiusura, il regista Ambrogio Crespi ha evidenziato come Mori e De Donno siano “grandi uomini” e che il docufilm sulla loro vita è un modo per “raccontare la storia di questi uomini che hanno cambiato il nostro paese”. 

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