In 'Come eravamo' Bruno Tucci racconta la rivoluzione copernicana del giornalismo
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Ven, Mag

In 'Come eravamo' Bruno Tucci racconta la rivoluzione copernicana del giornalismo

Cultura
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Una vera rivoluzione copernicana quella che ha subito il giornalismo negli ultimi 60 anni, che Bruno Tucci racconta in 'Come eravamo', volume edito da All Around con la prefazione di Carlo Verdelli. Come è cambiato il mestiere del giornalista negli ultimi 60 anni?

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Come hanno influito sulla professione le tecnologie, i telefoni cellulari e soprattutto i social network? Era meglio 60 anni fa o adesso? Sono queste le domande che l'87enne giornalista Bruno Tucci, calabrese di nascita ma romano di adozione, si pone, lasciando la risposta al lettore senza darne una sua, anzi, come scrive Verdelli nella prefazione, soltanto sussurrandola "per non influenzare il parere dell’unico giudice riconosciuto e riverito, il Lettore appunto, il padrone vero di chi sente il giornalismo come una vocazione con tanto di chiamata, come succede per preti e suore".

E Tucci la vocazione l'ha 'sentita' alla fine degli anni '50, quando appena arrivato nella redazione del 'Messaggero', ti trovò alle prese con le prime paure del mestiere: “La paura di mettersi alla macchina da scrivere e vedere che il foglio infilato nella magica Olivetti 22 rimane bianco. È una vita bellissima quella che ho vissuto nonostante le vicissitudini e la stanchezza che, in alcuni momenti, diventa depressione”, racconta il giornalista nel libro. Il giornalista ricorda lo storico quotidiano romano dove incontrò il capo della cronaca, all'epoca Guglielmo Ceroni, che "dopo un attimo di riflessione, mi disse: 'Non ti muovere. Aspettami qui'. Se in quei momenti mi fossi misurato la pressione, qualsiasi cardiologo mi avrebbe consigliato di correre a un pronto soccorso", ricorda Tucci. Ceroni lo presentò al direttore, Sandro Perrone, che era anche uno dei proprietari del giornale: "'Ok - iniziò Perrone - oggi è giovedì. Domani non si comincia mai di venerdì. Si presenti lunedì al collega Ceroni. Arrivederci'. Fine del discorso". Così iniziò l'avventura di Tucci al Messaggero.

In quegli anni era tutto diverso, dall'abbigliamento regolarmente in giacca e cravatta per tutti i redattori, ai quotidiani che vendevano copie su copie. L'arrivo di Tucci al 'Corriere della Sera' avviene grazie a un incontro con il direttore Piero Ottone: "Bene, forse lei entrerà al Corriere come inviato, la gioielleria del nostro giornale. Nel qual caso, le raccomando principalmente la scrittura. Deve essere semplice, comprensiva, ma efficace. Soggetto, predicato e complemento. Se vorrà mettere un aggettivo la prego di telefonarmi". Ma l'ingresso al quotidiano di via Solferino avverrà qualche tempo dopo, quando sarà Franco Di Bella a richiamarlo come inviato.

Cosa è cambiato in questi anni? In realtà molte cose, a cominciare dalle vendite dei giornali: nel 2000 si vendevano 6 milioni di quotidiani al giorno, nel giugno 2021 si è scesi a 1 milione 200mila copie e continueranno a diminuire. Oggi il giornalismo si combatte anche a colpi di tweet, con i politici o i ministri che diffondono direttamente il loro pensiero sui social senza più la mediazione di un giornalista che, armato soltanto di taccuino e profonda conoscenza del tema affrontato, pone le domande e interviene a tono sulle dichiarazioni.

"Il mio proposito - scrive Tucci - è quello di dimostrare (spero) come, attraverso i fatti di una lunga carriera, sia cambiata la nostra professione. I cellulari, la tecnologia, internet: quindi la possibilità di informarsi nello spazio di pochi minuti. In meglio? In peggio? Non lo so. Ecco perché ritengo giusto che si faccia un paragone del 'come eravamo e come siamo'".

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Author: Red AdnkronosWebsite: http://ilcentrotirreno.it/Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.