La tassa per il soggiorno terreno
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02
Gio, Mag

La tassa per il soggiorno terreno

Il senso della vita
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La tassa per il soggiorno terreno
La tassa per il soggiorno terreno

 

“SONO ARRIVATI I BARBARI”

“Sono arrivati i barbari, Imperatore! dice un messaggero
che è giunto da luoghi lontani - sono già
alle porte della città!”.
“Sono arrivati i barbari!”, gridano i cittadini nell’agorà.
“Sono arrivati, hanno lunghe barbe e spade acuminate
e sono moltitudini”, dicono preoccupati i cittadini del Foro.
“Nessuno lì potrà fermare, né il timore degli dèi
né l’orgoglio del dio dei cristiani, che del resto
essi conoscono…”.

E che farà adesso l’imperatore che i barbari sono alle porte?
Che farà il sacerdote di Osiride?
Che faranno i senatori che discutono in Senato
con la bianca tunica e le dande di porpora?
Che cosa chiedono i cittadini di Costantinopoli?
Chiedono salvezza?
Lo imploreranno di stipulare patti con i barbari?
“Quanto oro c’è nelle casse?”
chiede l’Imperatore al funzionario dell’erario “E qual è la richiesta dei barbari?”.
“Quanto grano c’è nelle giare?”
chiede l’Imperatore al funzionario annonario
“E qual è la richiesta dei barbari?”.

“Ma i barbari non avanzano richieste, non formulano pretese”
risponde l’araldo con le insegne inastate.
“E cosa vogliono da noi questi barbari?”,
si chiedono meravigliati i senatori.
“Chiedono che si aprano le porte della città
senza opporre resistenza”
risponde l’araldo con le insegne inastate.
“Davvero, tutto qui? - si chiedono stupiti i senatori-
e non ci sarà spargimento di sangue? Rispetteranno le nostre leggi?
Che vengano allora questi barbari, che vengano…
Forse è questa la soluzione che attendevamo.
Forse è questa”.

*
Io conosco la lingua del paradiso,
comprendo il tranquillo volo degli angeli
quando dal chiostro risalgono in cielo
e il riso poggia sulle loro giacche
candidi gigli… io comprendo la loro lingua
del riso, così dissimile dalla nostra
inchiostrata di lugubri macchie nere.

"Stige"

Tutte le poesie (1990-2002)

Maria Rosaria Madonna ed. progetto cultura. Dal retro di copertina:

“Stige” (1992) è l’opera che rivelò il talento di questa straordinaria poetessa. Il libro appare estraneo al clima culturale dei primi anni Novanta, si presenta come un susseguirsi di fotogrammi in una lingua inventata (“inventata et invetriata”). C’è un personaggio femminile che parla un idioma inventato che oscilla tra il sacro e l’osceno; il personaggio è recluso “nel monasterio” di un lontanissimo medioevo che parla un latino ingobbito, una “neolingua”, lo definisce Amelia Rosselli; sembra quasi di intravedere il futuro nuovo volgare, sembra un presente che si volge al futuro ed invece è il futuro che si volge al passato. La reclusa parla come in trance parole anfibologiche e sordide. C’è un codice segreto in questi scorbutici frasari in tardo latino di Madonna dove si celebra la disperata vitalità linguistica di una condizione umana in un reclusorio monasteriale. Ci troviamo davanti a geroglifici linguistici in onore di un ostensorio erotico pagano, squarci di altre vite vissute in epoche precedenti. Un personaggio femminile parla in una “neolingua”, un misto di tardo latino e di italiano antichizzato, lacerti temporali e immaginifici di un altro tempo, di una anti vita e di un anti mondo, sequenze disconesse in geroglifici linguistici dal poderoso passo del latino medievale. Stige è un’opera che va collocata si in un concetto di poesia finzionale ma nel filone di “irrealismo onirico e post sperimentale” a cui fa riferimento la stessa Amelia Rosselli che firma la prefazione del volume 1992.

Maria Rosaria Madonna nasce a Palermo nel 1942 e muore a Parigi nel 1992 dà alle stampe il suo unico libro di poesia, “Stige”, con prefazione di Amelia Rosselli. Collaborerà saltuariamente con il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” (1993-2005), diretto da Giorgio Linguaglossa. Nel 1995 firma insieme ai poeti della rivista, il “Manifesto della nuova poesia Metafisica”…

Nel video pubblicato con Marie Laurie Colasson, Letizia Leone e Giorgio Linguaglossa, troviamo un link per accedere ad una poesia di Maria Rosaria Madonna, sospesa tra Pneuma et Imago. La poesia si intitola: “Poco prima dell’approdo all’isola dei morti” La tassa per il soggiorno terreno con a seguire un commento di Giorgio Linguaglossa. Per tale poesia, raccomandiamo vivamente di leggere insieme di Ernst Jünger da: “Il cuore avventuroso”, “Alla stazione di dogana”…

Da “Al muro del tempo" di Ernst Jünger:

“L’Occidente ha a sua disposizione numerose scienze ed è altresì in grado di conferire dignità scientifica al più piccolo elemento, gli manca però la scienza della felicità.

Piuttosto è lecito affermare che ovunque l’Occidente penetri con i suoi metodi e strumenti, affluiscono si energie, ma scompare la felicità. Gli uomini diventano più potenti e più ricchi, ma non più felici. In proporzione alla crescita dei loro mezzi vien meno la contentezza. È probabile che questa diminuzione e questa crescita poggino l’una sull’altra: bisogna consumare felicità.

L’uomo che non ha tempo - e questo è uno dei nostri tratti distintivi- è difficile che abbia felicità. Inevitabilmente gli si precludono grandi fonti e forze, come l’ozio, la fede, la bellezza dell’arte e della natura. Gli sfugge così quel che del lavoro è il coronamento, la benedizione, ossia il non - lavoro, e del sapere il completamento, il senso, ossia il non - sapere. Questo risulta di immediata evidenza nel lento declinare di ciò che chiamiamo cultura.

Si potrebbe temere che la diminuzione rasenti un punto in cui non è più avvertita come tale, un punto in cui il comfort sostituisce la felicità, il desiderio artistico viene appagato dalle macchine e la bellezza può essere misurata. Ma se non rimangono altri spazi, rimangono pur sempre altri tempi a far da termine di paragone, ad esempio i tempi di cui ci dà testimonianza la musica di Mozart. Che venga percepita una carenza lo rivela altresì la straordinaria meraviglia da cui sono colte le masse allorché un saggio compare al loro orizzonte.

Ma non solo altri spazi e altri tempi, non solo le eccezioni stanno ad indicare all’uomo questa diminuzione. Egli lo avverte nel proprio cuore. La avverte come carenza e cerca vie di uscita dall’ordine rigoroso prescritto dalla metodica conquista del mondo. Se ne sente circondato come dalle nude pareti di una cella sulle quali tastoni va cercando una fessura o il contorno di una finestra che venne murata.

Quanto alle sue esigenze razionali, è possibile tenere l’uomo a livello minimo, saziarli con la spesa più economica. Se lo rinchiude in una buia torre, egli saggerà tentoni le pareti, e lo si potrà convincere che si sta muovendo a ridosso dell’infinito. Ma di essere felice non si lascerà persuadere. In lui vivrà sempre, indistruttibile fino all’ultimo respiro, il sentimento che vi sia qualcosa d’altro, di infinitamente grande, una cascata di luce che lo redime, lo rappacifica, anche se non ha mai visto il sole, mai ne ha appreso il nome.”

Se la raccolta di poesie di cui abbiamo accennato si chiama “Stige”, uno dei cinque fiumi dell’oltretomba, torbido, di cui si allude anche in Dante nell’Inferno de "La Divina Commedia", sappiamo che il viaggio dantesco attraversa il mondo degli inferi per approdare al Paradiso. Una sorta di passaggio dal bruco alla farfalla…

Vi è un piccolo gioiello di Paul Valery dal titolo: “L’anima e la danza”. In una gabbia quantitativa (120 mila), Valery animando un dialogo socratico, in cui la parola diviene spazio, tempo, respiro, immagine ci trascina in un’altra dimensione.

È un dialogo che andrebbe letto nella sua completezza per compiere un viaggio non solo interiore, ma verso un totale altrove per trovarsi trasformati e “vivi”, ampliati, se non felici, sereni. Non possiamo purtroppo riportarvi il dialogo per esteso e quindi rimaranno in sospeso le sottigliezze attraverso le quali dentro di noi avviene una catarsi… Vi riportiamo in ordine cronologico, ma privo di connessione alcune parti del dialogo…

Socrate

Per gli Déi, che ballerine illuminate, preambolo vivo e pieno di grazia per i più perfetti pensieri! Le loro mani parlano, e i loro piedi sembrano scrivere: quanta precisione in creature che studiano d’usare si felicemente delle loro morbide energie. Ogni difficoltà m’abbandona, non c’è problema che al momento m’impegni, tanta è la gioia con cui obbedisco ai movimenti di quei corpi. Qui è la certezza è un gioco: si direbbe che la conoscenza sia giunta ad attuarsi e che l’intelletto ceda il passo d’improvviso alle grazie spontanee. Guardate quella, la più esile e la più assorta nella giustezza pura: chi è mai? Deliziosamente rigida e inesprimibilmente flessuosa, lei sa cedere e porgere e ridare si esattamente la cadenza che a chiudere gli occhi la vedo esattamente con l’udito: la seguo, la ritrovo e non la posso perdere mai e se la guardo anche tappandomi le orecchie, tanto essa è ritmo e musica, m’è impossibile non intendere le cetre.


Fedro

Ma da parte mia, Socrate, la contemplazione della ballerina quante cose mi rende concepibili, e quanti legami di cose che sul momento si mutano nel mio proprio pensiero e in qualche modo pensano in luogo di Fedro. Sorprendo in me bagliori che non avrei per nulla ottenuto dall’unica e sola presenza della mia anima.
Poco fà, ad esempio, mi pareva che Athiktè, impersonasse l’amore. Quale amore? Non questo né quello, e non qualche miserabile avventura. Di certo, non imitava affatto una donna amorosa. Non teneva della mina, o del teatro; o nessuna finzione. A che scopo fingere, se si dispone del moto e del ritmo, che sono la parte più vera del reale? Era pertanto l’essenza stessa dell’amore. Ma quale, e di che fatto? Non so definirlo né dipingerlo. Si sa che l’anima dell’amore è insuperabile differenza degli innamorati, mentre sottile materia sua è identicità delle loro brame. La danza, allora, bisogna che ingeneri con linee delicate, divini slanci e gracile fermezza di punte, la creatura universale che non abbia corpo né volto, ma doni giorni e destini, ma una vita e una morte, e che addirittura altro non sia che vita e morte, se il desiderio, una volta nato, ignora poi il sonno e ogni tregua.

Per questo,la ballerina soltanto può renderlo visibile coi suoi vaghi gesti. O Socrate, lei era tutta interamente l’amore. Era gioco e lacrime e inutili frode, e gli incanti, gli abbandoni, le offerte, le sorprese, i consensi, i dinieghi e i passì tristemente perduti. Celebrava ogni mistero dell’assenza e della presenza, sembrando talvolta sfiorare ineffabili catastrofi. Ma ora guardatela, per rendere grazie all’Afrodite: d’improvviso, non sembra un vero flutto marino? Una volta più leggera del suo corpo, un’altra volta più greve, si slancia come dopo l’urto allo scoglio e mollemente ricade: è l’onda! “

Il domandare socratico e le risposte proseguono mentre la danza e la musica continuano.

La consapevolezza e la conoscenza innondano tutti coloro che prendono parte alla lettura… I passaggi per giungere alla sapienza si susseguono vorticosi…

Socrate

E non sembra a te, Eressimaco, caro amico Fedro, della creatura che laggiù vibra e adorabilmente s’agita nei nostri sguardi, di quell’ardente Athikte’ che si divide, si raccoglie, s’alza e s’abbassa, s’apre e si richiude si prontamente, e pare appartenga a costellazioni diverse dalle nostre, che abbia l’aria di vivere, e affatto a suo bell’agio, in un elemento paragonabile al fuoco, in una sottilissima essenza di musica e di moto da cui respiri un’energia inesauribile mentre con l’intero suo essere partecipa alla pura e immediata violenza della beatitudine estrema? Che se paragonato la condizione nostra, seria e pesante, a quello stato di splendida salamandra, non vi pare che i nostri gesti ordinari, generati successivamente dai bisogni, e che i nostri atti e movimenti accidentali si presentino come una materia grezza, un’impura materia di durata; mentre invece quell’esaltazione e vibrazione della vita, mentre invece quella supremazia della tensione, quel rapimento nella prestezza massima che si possa ottenere da se stessi, possiedono le virtù e i poteri della fiamma, e le offese, le noie, le cose volgari vi consumano e fanno brillare agli occhi nostri quanto di divino sussiste in una mortale?

Fedro

Ammirevole Socrate, affrettati e vedi sino a qual punto dici il vero. Guarda la palpitante: si crederebbe che dal suo corpo la danza emani come una fiamma

Socrate

O fiamma!…
O fiamma, tuttavia: cosa viva e divina!
Ma che cosa è una fiamma, amici miei, se non il momento stesso, e quanto di sfrenato, d’allegro, di formidabile vi è in un atto? Fiamma è il modo d’essere di tale attimo teso tra il cielo e la terra. Amici miei, ogni cosa che passa dallo stato greve allo stato sottile passa per il momento del fuoco e della luce. E fiamma non è anche la forma inafferrabile e fiera d’una distruzione nobilissima? Quello che non accadrà mai, deve accadere il più splendidamente possibile. Come la voce perdutamente canta, e come la fiamma sfrenatamente canta tra la materia è l’etere, e dalla materia all’etere romba e infuriata precipita, la bella danza, o amici miei, non è questa liberazione del nostro corpo intero posseduto dal genio della menzogna e della musica, menzogna anch’essa, ed ebbro di negare l’irrilevante vero? Guardatelo quel corpo che si slanciava secondo che la fiamma succeda alla fiamma, guardatelo come preme e calpesta ogni cosa reale, come con ira allegra distrugge il luogo stesso dove si trova, e come s’inebbria dell’eccesso dei suoi mutamenti.

E il corpo, quale si trova ad essere, vedilo che non si può contenere nell’estensione. Dove mettersi, dove mutare? Codesto uno vuol farla da tutto, vuol farla da anima universale, e vuole rimediare alla sua unicità col numero dei gesti. Essendo cosa, esplode in eventi, si rapisce. E come il pensiero eccitato attinge a ogni sostanza, vibra tra i tempi e gli attimi, supera qualsiasi differenza, e come nella nostra mente si formano in simmetria le ipotesi, s’ordinano e s’enumerano i possibili, quel corpo s’esercita in ogni sua parte e si combina con se stesso e si dà forma dopo forma, evadendo incessabilmente da se stesso. Eccolo oramai nello stato paragonabile alla fiamma, nel centro degli scambi più attivi. Non si può più parlare di movimento: i gesti non si distinguono dalle membra.

Quella ch’era una donna, è divorata da figure innumerevoli. Gli slanci d’energia del suo corpo mi propongono un pensiero estremo. Come noi chiediamo alla nostra anima innumerevoli cose per le quali non è nata, ed esigiamo che m’illumini e vaticini e riveli l’avvenire, persino scongiurandola di scoprire il Dio, similmente codesto corpo vuole giungere a un intero possesso di se medesimo e a un punto di gloria sovrannaturale; ma tocca a lui come all’anima nostra, per la quale Dio, la saggezza e l’abisso che le si domandano non sono e non possono essere altro che attimi, lampi, frammenti d’uno strano tempo, disperati slanci fuori dalla propria forma.

Guarda, ma guarda: laggiù danzando essa da’ agli occhi nostri le stesse cose che t’adoperi a dire. Rende visibile l’attimo, e tra quali gioielli s’inonda, lanciando chiari gesti che sfavillano! Alla natura sottrae attitudini assurde sotto l’occhio stesso del tempo, che si lascia ingannare. Traversa impunemente l’assurdo, e divina nell’instabile ne fa dono ai nostri sguardi...

Socrate
Prilla su se stessa, e le cose eternamente unite cominciano a scindersi. E prilla, prilla!

Erissimaco
Si penetra veramente in un altro mondo

Socrate
La sua prova suprema: prillando, il visibile le si stacca dall’anima, il vaso intero dell’anima s’isola finalmente nella sua purezza, uomini e cose intorno a Lei assumono l’aspetto d’un sedimentato circolare a informe.
La vedi, che prilla? Un corpo, con la sua semplice energia in atto, è tanto forte da alterare più profondamente la natura delle cose che mai l’intelletto con sogni e speculazioni vi pervenga...

Ed ecco allora che la fiamma può essere paragonata a la torcia del cavaliere che attraversa il bosco di notte, cioè dell’uomo; in senso cosmologico è anche la fiaccola dell’angelo, cioè di una forza irresistibile che dà fuoco al mondo. Perché il mondo possa essere periodicamente rinnovato, e quindi rinascere di nuovo, è necessaria la combustione della palingenesi. Lo stesso amore divino lo esige, quando la corruzione e l’abominio sono pervenuti al limite a loro concesso, e il mondo stesso è divenuto un ascesso purulento. “Sopra l’altare - il bronzo - non è concesso”… Ci si chiede chi possa innalzare alla fine la bandiera della vittoria! Ogni nascita rappresenta dunque una sfida, e la bandiera vittoriosa ha da essere costantemente innalzata di nuovo. Il manto del determinismo naturale riveste le asprezze di una vera lotta, ingaggiata nell’interiorità dell’uomo, di una psicomachia che comprende anche la possibilità della sconfitta, dell’annientamento ontologico. Senza la quale sarebbe si tolta ogni insicurezza, ma verrebbe anche a mancare all’esistenza la sua autenticità più profonda. Ed ecco che la fiamma dell’anima prilla, prilla… La domanda posta da Maria Rosaria Madonna è fondamentale ieri, come oggi, come domani ed ecco perché si teme tanto e tutti Sorella morte…

Leggi la poesia (La tassa per il soggiorno terreno) di Maria Rosaria Madonna con commento di Giorgio Linguaglossa.

 

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 L'ASSOCIAZIONE #EUMESWIL​ è un’associazione culturale non-profit, sorta a Firenze e Vienna con lo scopo di studiare e diffondere l’opera, il pensiero e lo stile esistenziale di #ErnstJünger​.

L’Associazione si fonda su tre pilastri:

CULTURA - Intesa come coltivazione di sé.

TRADIZIONE - Come l'eredità spirituale dei nostri antenati.

RETTITUDINE - Come modo di essere e non di apparire.

Visita il Sito: Associazione Eumeswil

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