Il bello, la musica ed il potere
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Gio, Mag

Il bello, la musica ed il potere

Il senso della vita
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Il bello, la musica ed il potere
Il bello, la musica ed il potere

 

Quando il caldo si manifesta in modo uniforme, nel corso dell’intera giornata e notte, siam giunti alla pienezza dell’estate. Nelle notte vissute con spensieratezza soprattutto dell’età giovanile degli studi.

I cieli stellati, i profumi narcotizzanti fanno vivere il mondo dei sensi e della sensualità. È piacevole guardare i giovani corpi come si esprimono in modo naturale e sinuoso. Alcune fanciulle ricordano i felini ed alcuni ragazzi sembrano pronti, non solo a dar sfoggio della loro spavalderia,ma anche a fare un balzo, da grande fiera, sulla giovane preda.

Chi invece, desidera un momento di sollievo, cerca rifugio nelle prime luci del nuovo giorno, quando il sole ancora non è salito sul suo arco trionfale.

In spiaggia, il mare è immobile, non par respirare. Se, si fa tremulo è per il lieve gioco di luci che si dispiega sulla sua superficie e sul fondale.

Si attende, ad un bar sulla spiaggia, che la colazione possa essere servita. Che le prime paste, possano essere sfornate. Sempre più complicate trovarle di laboratorio artigianale, sempre più spesso congelate. Paste di aria calorica, dal sapore plastificato. Si mangia per un vago ricordo di ciò che rappresenta il dolce più che cogliendo un autentico sapore. A seguire, il ristoratore, per dare brio al luogo, ha la felice o malsana idea di far ascoltare “musica” o cacofonia musicale a secondo dei pareri contrastanti. Si ascolta la musica e ci si osserva. Dopo una breve esposizione ad un ritmo dal sapore infernale, il cuore par cambiare i suoi battiti. Un vago bruciore circonda la sede cardiaca. Si alza l’adrenalina. Il corpo non sosta più in uno stato di pura quiete. Occorre distendere per poi fissare lo sguardo sereno in lontananza, concentrarsi sull’immobilità, la stasi del cielo e del mare. Si genera una sorte di equilibrio corporeo tra ciò che si ascolta e ciò che si vede. Non si dà seguito al parlare compulsivo e il desiderio smodato di consumare e muoversi in eccesso che potrebbe aver luogo da tale suono rumoroso.

È pomeriggio, si cammina lungo la battigia gremita di bagnanti. In alcune spiagge libere, ci troviamo a sorprenderci di come alcune persone poco rispettino se stesse e l’ambiente in cui riposano, oziano. Stan sdraiate e circondate dalla loro stessa plastica, carta, briciole e resti inceneriti di sigarette consumate. Non battono ciglio per loro ciò è del tutto normale… Arriva anche la famiglia che porta la cena in spiaggia. Son tutti felici di trascorrere la santa libertà agognata e portano anche una cassa dello stereo affinché tutti passivamente si nutrano della loro selezione musicale. Che distanza dal jukeboxe che suonava... La nonna anziana, su una sdraio, la fanno accomodare davanti alla cassa fibrillante. Forse, intendono dondolarla, in quel modo. E lei sorridente, resta tranquillamente seduta. Ci si chiede se senta oppure è sorda e sorda al mondo… Forse è persa in un mondo di ricordi…Ascolta le musiche interiori della sua infanzia.

In estate, uno stesso paesaggio cambia, - anche e solo - per la fauna e flora umana che lo anima.

Gli impegni - talvolta- richiamano in città.

È sera, di quelle sere bollenti e arroventate. Non alita il vento. Bisogna cercare una piazza aperta per rinvenirlo di sfuggita. Un concerto di musica classica si esegue in un cenacolo, vi si entra attraverso il chiostro dove il pozzo è al centro dello spazio esterno. Si pensa all’acqua che è presente in quel fondo impenetrabile.

La notte trasforma e rende pura forma geometrica l’architettura della chiesa antistante. Ci par di essere in continuità con il passato. Nella sala del cenacolo è caldo. I corpi dei presenti aumentano il calore. Si cercano posti distanziati per sfuggire alla morsa di caldo. Il programma di sala diviene un ventaglio per uomini e donne. Si boccheggia. Comincia il concerto e quattro tromboni suonano. Dove prendono l’aria per far risuonare gli ottoni? Il pubblico è rigido sulle sedie. Guarda in direzione della porta chiusa. Par desiderarla aperta affinché possa scorrere dell’aria. L’ossigeno è scarso. Cambiano i musicisti e la musica. Improvvisamente, in un movimento di Ravel, il corpo non soffre più, non appartiene più alla persona. Vi è un distacco, una scissione. Una parte viva, ascolta e par farsi felice ed elevarsi. Le raffigurazioni pittoriche acquistano rilievo e paion animate. Cosa è stato? Non si fa in tempo a realizzare l’evento che il corpo e l’anima si riuniscono. Rivivono insieme ed il corpo ha nuova vita e sente caldo. Per un breve movimento musicale, le note, hanno trasformato la vita, l’hanno ridestata. Tutto era animato, in movimento e fremeva. Anche la pittura aveva colori più brillanti e poteva sembrare reale, si stava compiendo la scena ritratta nell'affresco. Un breve viaggio, ma trasformante e che perfora la persona, le offre consapevolezza di essere molto più di un corpo anzi il corpo potrebbe essere domato. È solo la carrozza dell’essere…

Nasce spontaneo il desiderio di poter prolungare tali stati per accostarsi ad una visione ed ascolto del mondo di ordine superiore. Irrompe nel frattempo un ricordo di un recente ascolto di alcune pagine di Debussy al solo pianoforte. L’esecuzione, avviene in un salone antico, con ampie vetrate sul lungarno e sulle belle dimore del centro storico mentre il tramonto discende dal cielo. La musica, o meglio suono assoluto, puro, non consentono di trattenere lo sguardo aperto sul mondo. Gli occhi devono chiudersi. La colonna vertebrale ed il collo allinearsi, le spalle dilatarsi. I palmi delle mani poggiare aperti sul primo tratto delle gambe. Il suono richiede attenzione. Ci si sente allungati ed allungare. La mente diventa chiara, aperta. Il suono sembra farsi adamantino. Quale è il suono originario, primordiale? Quello da cui tutto fa seguito? L’impressione che si vive è differente dall’ascolto del canto Gregoriano o dell’OM dove uno si sente vibrare ed in vibrazione.

Quante esperienze possono essere fatte solo ascoltando differenti tipi di musiche. La sapevano lunga gli sciamani con i tamburi… Il famoso tamburo sciamanico. Riprendiamo alcuni passi da Mircea Eliade “Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi”: “Ci si ricorderà che in molti sogni iniziatici dei futuri sciamani figura un viaggio mistico al ‘Centro del Mondo’alla sede dell’Albero Cosmico e del Signore Universale. È da uno dei rami di quell’albero, lasciato cadere dal Signore a tal fine, che lo sciamano, come già detto, forma la cassa del suo tamburo. Ci sembra che il significato di un tale simbolismo risulti abbastanza chiaramente dal complesso di cui fa parte, quello del comunicare di Cielo e Terra grazie all’Albero del Mondo, cioè all’Asse che sta al “Centro del Mondo”. Per essere la cassa del suo tamburo, fatta di legno stesso dell’Albero Cosmico, lo sciamano, battendo il tamburo, vien proiettato magicamente presso tale Albero: vien proiettato nel “Centro del Mondo” e per ciò stesso può anche ascendere nei Cieli.

Da tal punto di vista il tamburo può essere assimilato all’albero a pioli multipli, l’arrampicarsi sul quale è per lo sciamano simbolo del salire al Cielo. Scalando la betulla o suonando il tamburo lo sciamano si avvicina all’Albero del Mondo e poi sale effettivamente su di esso […] L’iconografia dei tamburi è dominata dal simbolismo del viaggio estatico, cioè di esperienze che implicano una rottura di livello e che per punto di partenza hanno un “Centro del Mondo”. […] La danza riproduce il viaggio estatico dello sciamano in cielo. Ciò vuol dire che la musica magica, come il simbolismo del tamburo e del costume sciamanico, come la stessa danza dello sciamano, sono altrettanti mezzi per intraprendere il viaggio estatico o per assicurarsi la buona riuscita di esso. […] Alcuni simbolismi sono sopravvissuti in seno alle religioni più evolute. L’uso dei tamburi e di altri strumenti di musica magica non è però limitato esclusivamente alle sedute. Molti sciamani battono il tamburo e cantano anche per il loro solo piacere, senza che tuttavia vi sia differenza quanto a ciò che a tali azioni si lega: salire in Cielo o discendere agli Inferi per visitarvi i morti. Questa “autonomia” che finisce con l’investire gli strumenti della musica stessa magico - religiosa conduce alla formazione di una musica che, pur non essendo ancora “profana”, è però più libera e più imaginata. Lo stesso fenomeno si verifica nei riguardi dei canti sciamanici che descrivono i viaggi estateci in Cielo e le perigliose discese agli Inferni. Dopo un certo tempo questo genere di avventure passa nel folklore dei corrispondenti popoli e va ad arricchire la letteratura popolare di nuovi temi e di nuovi personaggi”.

Il mondo dello sciamenesimo è oramai finito. La maggior parte degli antropologi è concorde al riguardo. Il mondo civilizzato o meglio iper civilizzato ha posto fine a tale forma di cultura e comunità.

Non si può, però, dimenticare che a dar vita alla musica sono le “Muse” le figlie del dio “Apollo” che presiedono alla arti e ciascuna di loro ha un compito ben prestabilito. L’Ellade ci ricorda Orfeo e la sua lira. Il cantore solitario capace di comunicare con gli animali della terra e dell'oltretomba. Da lui si genera l’orfismo mentre il fanciullo Pan si diverte col suo flauto…

Il medioevo soprattutto ci rende, invece, memori che le divinità alate suonano e cantano a Dio perpetuamente e ognuno di noi è infuso da sempre di musica. La porta nel suo stesso cuore. Il cuore pulsa, vibra e fa musica. Può rallentare e accelerare il suo battito e può avvenire anche in modo cosciente e consapevole, se uno lo desidera.

Il sommo poeta, con la Sua Divina Commedia, compose anche un’opera monumentale musicale in endecasillabo, ma non solo:

Boccaccio, Vita di Dante, XX

L’interesse di Dante per la musica trova la sua più compiuta espressione nella Commedia, a partire dalla stessa struttura del poema, in cui è sistematicamente applicato, dalla singola terzina al rapporto tra le cantiche, quel principio di proporzione e relazione tra le parti proprio dell’ars musica medievale. L’opera è capillarmente intrisa di riferimenti musicali che illustrano i gusti personali di Dante, e ben testimoniano la sua confidenza con la teoria, la pratica e la storia della musica.

Ogni cantica è caratterizzata in particolare da ben distinti universi sonori e musicali.

Come ci mette in evidenza uno studio di Gaia Prignano: “L'Inferno è il regno dell’antimusica, dominato dal rumore e dal grido, dalla cacofonia dissonante e dalla parodia del canto liturgico, dalla danza senza requie dei dannati e dalla concretezza sgraziata di strumenti rozzi o guerreschi (corni, trombe, tamburi…).

La musica del Purgatorio ha carattere ben diverso e decisamente terreno. Il mutato clima musicale traspare dalla presenza di strumenti dalle sonorità morbide e piene o squillanti e dall’uso frequente di termini musicali, sia in senso letterale che figurato, che evocano ordine ed elevazione morale: “allelujare”, “armonizzare”, “consonare”… Anche la danza ha perso il marchio della dannazione per farsi persino “angelico caribo” e danza di Ninfe.

Il potere della musica sull’animo umano è elemento focale del celebre incontro, nel canto II, con l’amico Casella che, per consolare Dante, intona "Amor che ne la mente mi ragiona", seconda canzone morale tratta dal Convivio.

Infine il Paradiso: qui la beatitudine dell’ambiente è resa mediante un uso ancor più pervasivo di termini musicali evocanti armonia e concordanza (accordarsi, armonia, risonare, tempra…). L’inaudibile e perfetta armonia delle sfere rotanti è un tutt’uno con la luce divina e si intreccia in assoluto accordo col dolce canto dei beati e degli angeli…

Qualunque melodia più dolce suona/
qua giù e più a sé l’anima tira,/
parrebbe nube che squarciata tona,

comparata al sonar di quella lira/
onde si coronava il bel zaffiro/ del
quale il ciel più chiaro s’inzaffira.

«Io sono amore angelico, che gio/
l’alta letizia che spira del ventre/che
fu albergo del nostro disiro;

e girerommi, donna del ciel, mentre/
che seguirai tuo figlio, e farai dia/
più la spera supprema perché lì
entre».

Così la circulata melodia/ si
sigillava, e tutti li altri lumi/ facean
sonare il nome di Maria.
Par., XXIII, 97-111

Questa musica celestiale è inaccessibile all’uomo; Dante quindi si impegna a darne al lettore una “traduzione” in termini terreni attraverso riferimenti a canti liturgici, intonati da cori e singoli cantori, e a un gran numero di strumenti: l’arpa, la cetra, i flailli (ossia flauti), la giga (piccolo strumento ad arco), l’antica lira, l’organo, la zampogna e le lunghe tube degli angeli.

Possiamo mirarne in immagine attraverso Giotto, Polittico Baroncelli, 1334 (osservare in dettaglio il concerto angelico)".

Forse per questa estrema impossibilità, per questo scacco matto della ragione umana, risulta fondamentalmente giusta la celebre boutade di Rudolf Carnap sui filosofi metafisici, che sarebbero dei musicisti senza talento musicale. Perché laddove il linguaggio non può essere utile vi è soltanto la musica, la pura musica senza parole. Una musica interiore, che genera uno stato di felicità indicibile. Chi oserebbe esprimerlo, se non con le lacrime? In omaggio a Carnap, e per l’utilità di chi legge, potrebbero essere indicati alcuni musicisti di talento, il cui apparato psichico è riuscito a captare abbastanza fedelmente, a modesto avviso di chi scrive, le vibrazioni dell’armonia planetaria. A parlarci Gianni Vannoni: Il tentativo totalizzante di Holst, “I pianeti”, merita comunque di essere, citato, anche se troppo ambizioso per riuscire pienamente soddisfacente; ciascun musicista, infatti è sintonizzato per natura su una determinata radiazione. Se per la musica lunare occorre ascoltare “I notturni” di Chopin, l’accento venusiano risuona soavemente nella sinfonia n. 9 di Mahler, mentre l’agilità e la furbizia mercuriali animano la “suite” della “Carmen” di Bizet. Dal magico alambicco degli “Studi trascendentali” di Lizt si sprigiona l’atmosfera rarefatta del genio saturnino, con le sue cupe dissolvenze e la sua brillante disciplina. “La Quinta” di Beethoven trasmette l’energia martellante del pianeta rosso; l’ampia e sfarzosa strumentazione dei “Concerti grossi” di Corelli, l’influenza olimpica di Giove. Ascoltando la musica del balletto "Dafni e Cloe" di Ravel, si può espedire un pallido riflesso della vertigine metafisica, indotta dalla sublime trasparenza della radiazione solare.

Le impressioni che si ricevono dall’ascolto della musica planetaria possono essere visivamente rafforzate attraverso la meditazione per rapportarsi coi piani più elevati esistenziali e salire la “scala”…

Come vediamo la musica ci accompagna e fa parte della nostra vita. Anzi la può rendere un inferno o un paradiso. Ci può portare in questi luoghi che rappresentano anche spazi della nostra esistenza sul pianeta Terra.

Pertanto sta a noi apprendere a destreggiarsi abilmente, consapevolmente. La musica, può, inoltre, essere considerata una vera e propria macchina del tempo. Ci può portare in luoghi remoti nel tempo, nel presente, e fuori dal mondo, ma anche, istantaneamente cambiare radicalmente il nostro stato d’animo.

Questo lungo, lunghissimo scritto è per presentare il video con Antonello Cresti del suo recentissimo libro scritto -in forma di dialogo- con Roberto Michelangelo Giordi, Edizioni Mariù “IL BELLO, LA MUSICA E IL POTERE”.
"Il mondo globalizzato ha davvero perduto la percezione del bello? Quale è il rapporto tra la bellezza e il potere e in che modo l’Occidente vive oggi il suo rapporto con le Arti e con la Musica in primo luogo? Questo dialogo si snoda attraverso l’analisi storica dell’esperienza estetica occidentale per arrivare a toccare problematiche della realtà sociale in cui viviamo. Il disinteresse verso la bellezza è infatti allo stesso tempo causa ed effetto della crisi di valori della nostra società e solo recuperando e valorizzando le nostre vituperate identità profonde potremo traghettarci fuori dal non senso, verso la luce di una nuova,antica umanità.”

Aggiungiamo noi, di questi tempi, par si sia molto spesso, se non troppo spesso, perso il divino impulso di “coscienza morale oggettiva” è soltanto per fini egoistici, hanno fatto, in molti, vuota la parola “arte”. Rimane un vago retaggio del significato originale del termine e siamo sommersi da “vane parole” e “note” del tutto prive del loro significato originario. Vengono infatti “elucubrate” in nuove note, non si sa neppure quali diavolerie e corbellerie. Abbiamo pertanto musiche di una “futilità assoluta” che non fanno il bene di nessuno - forse - neppure dell’industria musicale…

Se pensiamo ad un artista delle origini era un “orfista”. Da intendersi questo vocabolo con due significati distinte da tradursi in “giusto” ed “essenziale” cioè uno che “sentiva l’essenza in modo giusto”, ma ora l’artista è molto spesso colui che cerca “mezzogiorno alle tre” essendosi spento il significato delle origini delle cose e della ricerca interiore… Essendosi perso “Orfeo”, oggi giorno, è stato coniato un nuovo nome “vocazione”. All’espressione “orfista” si sostituisce la parola “artista”, colui che si occupa di arte. Oggi giorno spesso si va a teatro per vedere “pavoneggiarsi” gli artisti e spesso una parte di quel pubblico che è chiamato anche lui a far/dar spettacolo e si sono totalmente perse le nozioni di musica sacra, danze sacre ed iniziatiche in cui, in passato, il pubblico si riuniva per apprendere il funzionamento del mondo …

Di questi tempi, spesso lo spettacolo è destar meraviglia, scalpore e “far moda” se non “gettar moda” e sicuramente non stile che dura nei secoli… Praticamente si cambia repentinamente il "velo della nostra nullità" facendo di uno spettacolo un evento dove non vi è niente di profondo da poter carpire, ma solo, trascorrere del tempo, con glamour… Talvolta infatti vengono immortalate più le “eleganti acconciature "oppure le" provocanti scollature” sui bei tappeti rossi … Importante è essere all’ultimo grido e ammirare le “creazioni alla moda” e guardare uno spettacolo che non è neppure fatto per durare nel tempo, ma per creare un happening e spesso neppure “happy”.

L’importante è che, chi assiste faccia anche lui spettacolo, abbia, con non chalance, la “puzzetta sotto il naso” ancor meglio se il parlare è accompagnato da un po’ di tossetta caratteristica e da un gesticolare ampio, disinvolto.

Non si assiste al risveglio della propria anima, ma spesso si passa dalla stato di veglia a quello di sonno di essa, perché durante lo spettacolo,raramente l’artista ha pensato ed è stato in grado di ridestare l’anima. Forse si è pure dimenticato della sua stessa… preso a fare del funnambulismo per poter venire e stare alla ribalta. Ed in tale ambiente vi è una regola generale che vige per tutti! Non dire assolutamente mai la verità. Sono tutti assai delicati ed ipersensibili. L’artista stando in contatto con la “propria arte” e non con l’arte “ORFICA” si sente sempre punto e il risentimento compare immediatamente nel suo essere. Ma d’altronde spesso è scevro dal sapere che l’arte in passato avevi scopi ben diversi e assai elevati…Ignoriamo il passato di ogni cosa... Per cosa è stato donato...

Ma apprendiamo a rinvenire la musica ovunque perché è parte della nostra stessa vita da sempre e iniziamo già qui a viver in Paradiso!

Ernst Jünger:

IL CANTO DELLE MACCHINE
Berlino

Ieri, durante una passeggiata notturna per le vie del quartiere orientale in cui abito, quelle più fuori mano, vidi un’immagine buia e solitaria. Attraverso l’inferriata del finestrino di uno scantinato, lo sguardo penetrava in un locale di macchine, nel quale, senza che alcun uomo lo maneggiasse, un gigantesco volano fischiava ruotando intorno al proprio asse. Mentre una calda e oleosa caligine usciva dall’interno all’esterno filtrando attraverso la finestra, l’orecchio era affascinato dal moto imponente di un’energia azionata e comandata con sicurezza; con passi leggeri, felpati come quelli di una pantera, quel moto s’impadroniva dei sensi e li catturava, accompagnato da un sottile e scoppiettante fruscio come quello che si sprigiona dal pelo nero dei gatti, e dal fischiante brusio dell’acciaio in attrito con l’aria - tutto ciò dava un suono un po’ sonnolento e insieme molto eccitante. E allora provai di nuovo quel che si prova dinanzi ai congegni dell’aeroplano, quando il pugno spinge in avanti la leva del gas e s’innalza il tremendo ruggito della forza che vuole sottrarsi alla terra; o quando di notte ci si lancia attraverso paesaggi di ciclopi, mentre le colonne fiammeggianti che escono dagli altoforni squarciano il buio e in mezzo all’infuriare del movimento si ha l’intima convinzione che non possa più esistere alcun atomo il quale non sia al lavoro. In alto, sopra le nubi, o giù nel profondo, nelle chiglie delle navi e nelle caldaie sprizzanti scintille, quando l’energia pervade le ali argentee del velivolo e la ferrea armatura dello scafo, ci afferra un sentimento fiero e doloroso - il sentimento di chi si trova in uno stato d’emergenza, e non fa differenza se stiamo viaggiando in una cabina di lusso come in un guscio di madreperla o se il nostro occhio inquadra l’avversario nel reticolo di collimazione del mirino.

L’immagine di questa emergenza è difficile a cogliersi, poiché la solitudine è una delle sue condizioni, e ancor più impenetrabilmente tale immagine è occultata dal carattere collettivo del nostro tempo. Eppure oggi ciascuno possiede, lui solo, il proprio posto sans phrase, stia egli ritto in piedi dietro i fochi di una sala delle caldaie oppure penetri in modo incisivo nella zona responsabile del pensiero. Il grande processo si attua poiché l’uomo non pensa a schivarlo, e il suo tempo lo trova pronto. Tuttavia, quel che gli si fa incontro nel momento in cui egli si dispone al confronto è difficile a descriversi. Forse, come nei misteri di culti segreti, si tratta di una sensazione generale, come l’accorgersi che l’aria si fa a poco a poco sempre più sfavillante. Quando Nietzsche si meraviglia che l’operaio non emigri, egli cade in errore in quanto considera la soluzione più debole come la più forte. Uno dei connotati dell’emergenza è che in essa non esiste via di scampo. Forse all’emergenza potrebbe condurre la volontà stessa, ma poi avvengono cose che si compiono sotto l’impulso di una costrizione, come nei casi della nascita e della morte. Perciò la nostra realtà si sottrae anche a quel linguaggio con cui il miles gloriosus cerca di padroneggiarla. In un evento come la battaglia della Somme, l’assalto era un momento rilassante, un atto gradevole.

Il ferreo serpente della conoscenza ha accumulato spire su spire e squame su squame, e nelle mani dell’uomo il suo lavoro ha preso vita con irresistibile potenza. Ora il serpente si allunga, come drago lampeggiante, su terre e su mari; qui, anche un bimbo può quasi imbrogliarlo agevolmente, mentre là il suo alito arroventato brucia popolose città riducendole in cenare. Eppure esistono attimi in cui il canto delle macchine, il sottile ronzio della corrente elettrica, il tremito delle turbine mosse dalle cascate, la ritmica esplosione dei motori, ci afferrano empiendoci di un segreto orgoglio: l’orgoglio del vincitore.

IL PICCHIO VERDE
Überlingen

Nelle mie prime passeggiate avevo l’impressione che un’insolita vita dimorasse nel paesaggio. Credo che ciò dipenda dal concerto intonato dagli innumerevoli uccelli che popolano il lago, la sua superficie e le sue rive. Quanto piu simili percezioni sono indeterminate e sottilmente distribuite, tanto più in profondità esse penetrano nell’animo: la serenità ha anche una sostanza eterea.

Che le rive siamo così ricche di viventi piumati anche nell’ampio cerchio delle sue colline coperte di giardini e di vigneti, deriva senza dubbio dall’accurata disposizione degli alberi da frutta che ricoprono, quasi alla maniera di un parco, tutta la regione con la loro morbida e tenera distesa. Qui, nella lucente boscaglia, i caratteri della foresta si fondono con quelli della pianura; gli ospiti alati vi trovano un ambiente propizio e abbondanti occasioni di libero volo, ma anche opportuni nascondigli.

Spesso le immagini più leggiadre si offrono alla vista: alberi rivestiti di zigoli come da tessuto giallo acceso, o vecchi tronchi di peri su cui si affaccendano insieme il grazioso rampichino alpestre, il picchio muratore aggressivo come un topo e molte cinciallegre variopinte. Nel fitto svolazzare entrano persino gli uccelli rapaci, e perciò si vedono talora presso le fattorie botti da vino fuori uso in cui sono intagliate piccole aperture per consentire ai pulcini di entrarvi rapidamente e di mettersi in salvo.

Anche i picchi verdi volano numerosi qua e là; vicino e lontano si ode il riso beffardo di questo uccello. Benché in vita mia l’abbia osservato spesso, soltanto ora mi si illumina la sua propria essenza, e forse di conseguenza, quella del picchio in generale. Si tratta di un animale che nell’atto della creazione dev'essersi trovato in uno strano luogo, e cioè là dove la linea di distinzione tra ritmo e melodia fu tracciata nel modo più netto. Secondo questo criterio, con lui fu creato un essere ritmico di prim’ordine; la sua ritmicità ebbe subito così eccelse doti da non lasciare spazio all’armoniosa musicalità.

Perciò la guardia forestale, quali che siano le sue momentanee faccende, non può non prestare attenzione a quell’improvviso suono cadenzato e scandito in rigorosa successione di accenti. Già quando il picchio verde si avvicina volando lo si riconosce dalle ampie e accentuate evoluzioni con cui s’innalza e cala in picchiata; nessun uccello, come lui, descrive traiettorie di volo cosi perfettamente ondulate. A ciò corrispondono i balzi elastici con cui esso, appollaiato sui tronchi d’albero, va da un punto all’altro del fusto, e le spirali con cui gira intorno ai tronchi, come pure il moto del capo con cui batte il tempo. Si aggiunga il suo richiamo niente affatto melodico, un fischio prolungato che è quasi un nitrito, frammentato da numerose pause regolari. Infine, domina su tutto il noto bussare e martellare con cui esso riempie i boschi; nel grande concerto degli uccelli, ha scelto la parte del tamburo.

Per chi conosce le relazioni esistenti tra il ritmo e le membra umane, le mani in particolare, è rivelatrice la struttura delle dita dei piedi, il cui movimento ritmico si armonizza con quello degli arti superiori. Per motivi analoghi è degno di nota il modo in cui è fatta la lingua. Nei moti dei volatili, il ritmo ha simile bellezza, e proprio per questo i forti contrasti che spiccano nei colori dei pennuti sottolineano, all’inverso, la mancanza occasionale di armonia e di melodia nel loro canto.

Tutto questo si rispecchia in ogni minimo dettaglio, e simili relazioni mi illuminarono sempre meglio delle considerazioni che, fra gli altri, Darwin ricollegava al cappuccio rosso dei picchi. Tuttavia, il vero significato di simili combinazioni si trova, secondo me, in tutt’altro campo; in particolare, sono più generali, o meglio, sono di natura conclusiva, modelli in miniatura cui si conforma un’altra maniera di vedere le cose. Ho il sospetto che la nostra educazione sia fallita in alcuni lati decisivi o piuttosto non si sia neppure avvicinata ad essi, e che da allora in poi si sia ulteriormente deteriorata. Anzi, dovremmo essere grati ai naturalisti per il fatto che la loro scienza abbia confinato l’elemento teologico in una disciplina secondaria e marginale dell’ordinamento didattico; con quell’elemento, essi avevano un contatto che era pur sempre più fecondo di quello pertinente agli stessi teologi. Chi oggi voglia veramente lavorare, ossia inoltrarsi nella terra di nessuno dei pensieri, dovrebbe maneggiare quasi in tutte le facoltà universitarie e discipline di studio l’utensile necessario per potere anche soltanto cominciare. Ha ragione Nietzsche nel dire che oggi, quando si mira ad alti obbiettivi, a trent’anni si è ancora bambini, apprendisti - ma a quaranta si è ancora ragazzi.

IL VENDITORE DI PESCI
Ponte Delgada

Le Azzorre, una catena di vulcani che si eleva all’estremo margine d’Europa. Qui, fin dalla prima mattina ero già per via, nei giardini in cui l’occhio scorge i fiori di un nuovo mondo, per i campi che sono circondati da oscure muraglie di lava, e nell’alto bosco d’alloro. Solo quando il sole a picco mi sovrasta dal cielo, tornavo al porto.

Le strade riposavano in silenzio nella luce meridiana; solo in lontananza udivo un gaio e ripetuto richiamo, e mi venne il capriccio di seguirlo. Trovai presto un uomo cencioso che portava un carico di pesci già rinsecchiti su e giù per gli stretti vicoli morenti in cui era difficile trovare l’ombra di una dracena o di un’araucaria. Andai dietro quell’uomo, seguendolo da vicino senza che egli mi vedesse, e godevo del suo splendido richiamo modulato sui suoni delle vocali. Gridava una parola portoghese a me ignora - forse il nome dei pesci che portava. Ma mi parve che egli a voce molto bassa aggiungesse qualcosa, e perciò mi feci così vicino a lui da essere quasi la sua ombra.

Ora infatti udii, che egli, non appena aveva terminato il suo richiamo sonante, udito fin da lontano, mormorava ancora qualcosa, in un sussurro, guardando dinanzi a sé: forse la secca preghiera di un affamato, o una stremata imprecazione, poiché nessuno usciva dalle case e non una finestra si apriva.

Così camminammo a lungo per i caldi vicoli, offrendo pesci che nessuno a mezzogiorno desidera. E a lungo ascoltai le sue due inflessioni di voce, il richiamo risonante all’intorno, esuberante è fiducioso, e la disperata parola che egli rivolgeva a se stesso, sottovoce. Seguivo quell’uomo con la bramosia di spiarlo e di origliare, e avvertivo fin troppo bene che non era oramai più in gioco il pesce da vendere, poiché l’importante era che in quella perduta isola udivo il canto dell’uomo: “nello stesso tempo”, la melodia che a gola spiegata vantava la merce, e quella sussurrata e lamentosa.

VIDEO. Il bello, la musica ed il potere. Con Antonello Cresti

 

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