Perche' in Italia dilaga la corruzione
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Gio, Mag

Perche' in Italia dilaga la corruzione

Il senso della vita
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Perche in Italia dilaga la corruzione
Perche in Italia dilaga la corruzione

 

Questo scritto è particolarmente lungo, ma ci auguriamo che coltiverete nelle festività natalizie lunghi momenti di ozio che come ebbe a dire F. G Jünger: l’“ozio non è semplicemente far nulla, una condizione, che può essere connotata negativamente; l'ozio presuppone una vita oziosa, musicale, spirituale, grazie alla quale diviene fecondo e acquista senso e dignità. L’ozio secondo il suo vero significato è illimitato e indivisibile, e origine di ogni lavoro sensato. L’ozio è il presupposto di ogni pensiero libero, di ogni attività libera.”

Alla guida, è sera, buio, freddo all’esterno. I finestrini dell’auto sono chiusi, il tepore dell’aria calda si effonde nell’abitacolo.

Serenamente si entra in uno stretto parcheggio ad imbuto quando, improvvisamente, a tutta birra, si nota un’auto farsi sempre più vicina e rapidamente! Si rallenta totalmente, arrestandosi, le pupille si spalancano, gli occhi escono dalle orbite ed il corpo si accosta, spinge verso il volante guardando davanti, oltre il vetro, come chiedendosi sogno o son desto? È vero ciò che mi capita o sono allucinata? Il motore dell’auto di fronte ribolle, il clacson è deciso e forte, il guidatore giovane è rubicondo, ha il finestrino aperto! Il collo è avvolto nella sciarpa della sua squadra di calcio. I ninnoli, i pupazzi svolazzano nella sua macchina ed ha voce forte, aggressiva, alta, ordina di spostarmi e rapidamente! Indico il cartello stradale, che segnala che sono nel luogo giusto! Piovono improperi e giunge una minaccia che vengo rapinata se non mi muovo all’istante. Silenziosamente, mestamente faccio marcia indietro lo lascio passare annichilita! Pur avendo ragione, non posso avvalermi di essa, ma posso invece essere contenta del lieto esito della situazione. L'auto coore lontano da me con il suo folle guidatore.

Riprendo la guida e pochi metri dopo incontro due giovani insieme, dal viso pulito, che mi dicono: “Un pazzo furioso. Siamo rimasti qui apposta in caso ci fosse stato bisogno. Ci siamo accorti di cosa stava capitando mentre camminavamo…”. Mi salutano, augurandomi una buona serata!

Giovane l’autista psicopatico, giovani i due ragazzi pronti a venirmi in soccorso.

Il giorno seguente all’avvenimento, di buon ora, mi reco all’apertura straordinaria di un luogo d’arte. Due giovani, ben vestiti, dalle buone maniere sono volontari al ricevimento e con gentilezza mi fanno entrare all’esposizione così come una orchestra giovanile, sempre per piacere e diletto, suona musiche classiche al termine della visita d’arte.

Quante sfumature si possono cogliere nei modi di essere dei giovani così come degli adulti… Ma quanto incide una indole propria, un modo di essere personale e quanto la famiglia, l’educazione e la spiritualità nell’edificare ed elevare un animo umano fin dalla tenera età?

Ma perché tutt’ora che sappiamo che tantissimi giovani soffrono di depressione non si punta alla loro educazione per farli uscire proprio dalla povertà educativa? Vi sono famiglia indigenti, tante famiglie dove non vi è apprezzamento e tanto meno non si hanno strumenti per poter accedere ad arte, musica, teatro, biblioteche luoghi tutti dove la vita può essere trasformata all’istante, luoghi in cui ci si può nutrire di bellezza e motivazioni al vivere…

Vi sono poi i templi della natura e della spiritualità dove ritirarsi in se stessi poveri e dove ne si esce arricchiti… Perché tanti bimbi di famiglie straniere appena arrivati, senza mezzi, lingua, non vengono aiutati a gustare delle bellezza del nuovo luogo di residenza, non vengono portati a comprendere la cultura del posto in cui risiedono ed apprendono ad assimilarla? Questi bimbi devono vivere da stranieri da noi? Perché non puntare sull’offerta formativa e culturale che questi spazi offrono anziché sempre ed in modo accentuato puntare sulla digitalizzazione?

Chi si prenderà cura un domani del patrimonio storico, artistico, spirituale di un luogo? L’unico che veramente crea e modula un vivere pieno? Perché non si punta sulla spiritualità l’unica realtà che consente di rafforzarsi interiormente e di muoversi in modo gratuito verso il prossimo? Perché in questo modo sarebbe troppo semplice? Nel medio evo e in realtà fino agli anni '50 in pochi sapevano leggere, ma spesso le menti erano più acute, oggi quasi tutti sanno leggere e scrivere, ma sono pochi in grado di comprendere ciò che leggono e sanno scrivere con bellezza e contenuti. Cosa è capitato? Nel medioevo le opere nelle Chiese erano gli scritti dell’epoca e quando le si guardavano si era in grado di comprendere pure le simbologie. Oggi giorno il contemporaneo guarda una opera come se fosse piatta! Ma non sa comprendere neppure la difficoltà artistica in quanto ogni opera manuale è del quasi tutta preclusa al contemporaneo… Mancano le botteghe di artigiani dove andar ad apprendere, quelle botteghe che davano vita ai rioni e caratterizzavano i luoghi, i posti con le loro produzioni di qualsiasi tipo anziché le produzioni seriali, in fabbrica… Gli oggetti di qualsivoglia di una volta erano fatti col cuore, unicità e per durare nel tempo, erano opere in sé. Vi erano le scuole capitanate dai più bravi tra quelli che erano deputati artisti dei propri lavori… Vi era la possibilità di aggiustare, riparare ogni cosa e ci si doveva ingegnare per trovare il modo… Ma oramai dobbiamo sostituire, cambiare e creare così un accumolo di discariche… In più ci si annoia a tener le mani in tasca e la mente in stand by… E ci si lamenta dei giovani e delle nuove generazioni deboli… L’unico modo per rafforzarsi è in palestra ed i muscoli sono costruiti artificialmente… Una bella martellata su un unghia porterebbe pure a ridestare l’attenzione… altro che guardare eternamente il cellulare…

Ma ci muoviamo ora sul senso differente che si può avere al vivere a seconda di dove un’anima si muove, si nutre… I passi che vi riportiamo sono di Ernst Jünger da: “Sulle scogliere di marmo”. Un capolavoro assoluto della letteratura mondiale del ‘900. Un libro lirico che si libra tra il bene ed il male e poeticamente ci delinea le differenze… Un libro di sublime ed assoluta bellezza e ricchezza!

“I fuochi che illuminavano Koppels-Bleek davano ancora riflessi e bagliori, ma similmente a una coppa argentea che sia coperta da uno strato di bianca cenere. Il riflesso ne cadeva sulla capanna dello scaricatore e per la porta spalancata, colorando di rossa luce il teschio che ghignava, fissato all’architrave. Da varie tracce, evidenti sul terreno attorno alle zone arse e nell’interno della capanna, e di cui non voglio dire, si poteva indovinare che i lemuri avevano colaà tenuta una spaventosa festa, e i resti ne giacevano ancora sul luogo. Noi uomini guardiamo simili stregonerie orrende trattenendo il respiro e come a un mondo inconcepibile.

Sia sufficiente il dire che il mio occhio scoprì tra i teschi da lungo tempo scarnificati ancora altre sue teste nuove, erette in cima a lunghe pertiche: quella del principe e di Braquemart. Dalle punte di ferro, al cui uncino erano infilate, esse fissavano i bracieri, che andavano ingrigendo nello spegnersi. Al giovane principe i capelli erano divenuti bianchi, ma i tratti del suo viso erano più nobili ancora di quella suprema bellezza che solamente il dolore educa e forma.

Le lagrime mi scesero per il viso a quello spettacolo, quelle lagrime nelle quali meravigliosamente con il dolore si confonde in moto di entusiasmo. Su di quella pallida maschera, donde la pelle pendeva a brandelli e che elevava sul palo del martirio di là considerata, a terra, il fuoco, vi era l’ombra di un sorriso di suprema dolcezza e serenità; e indovinai che in quel giorno, a ogni nuovo passo, ogni debolezza era caduta da quel nobile respiro come gli stracci da un re, che vada travestito da mendicante. Allora un brivido mi percorse: intesi come costui fosse degno dei suoi lontani antenati vincitori dei mostri; egli aveva vinto, nel proprio petto, il drago che ha nome spavento. Ora finalmente fui libero da ogni dubbio: vi erano ancora tra di noi uomini nobili, e nel loro cuore viveva sempre la coscienza dell’ordine e dei valori di cui la nobiltà ci era conferma. E poiché gli alti esempi ci muovono a imitazione, io giurai, di fronte a quel capo mozzo, che in futuro, in qualsiasi istante, avrei preferito morire in solitudine tra uomini liberi piuttosto che trionfante in mezzo ad un branco di servi." […] "Le vecchie faccende parevano assurde tra quelle rovine e come ricordi di una maligna ebbrezza. Niente più se non la sventura restava, e i combattenti avevano deposto bandiere ed insegne. Vedemmo ancora nei vicoli la gentaglia occupata al saccheggio, ma le milizie ora si aggiravano bene armate e in forza; al Bastio incontrammo Biedenhorn, che ordinava le truppe e le avviava ai posti di guardia e si dava grandi arie. Egli portava la corazza dorata, ma era senz’elmo e si gloriava di aver già dato lavoro ai falegnami per le casse da morto; aveva cioè fatto imprigionare alcuna gente a caso e li aveva fatti impiccare agli olmi dei bastioni. Secondo la sua abitudine marziale, egli si era tenuto ben nascosto durante il tumulto, e ora che la intera città era in cocci, se ne veniva fuori a recitare la parte del taumaturgo. Del resto era ben informato, poiché al rotondo torrione del Bastio già sventolava lo stendardo del Forestaro, la rossa testa di cinghiale.

Biedenhorn aveva abbondantemente bevuto, e noi lo trovammo di quel ghignante buon umore che lo faceva caro ai suoi soldati: era evidentemente soddisfatto che le cose andassero male agli scrittori, ai facitatori di versi e ai filosofi della Marina. A lui era così odiosa l’aura di una tradizione culturale come il vino e la spiritualità delle terre coltivate e dei vigneti; e amava invece le pesanti birre, che si preparano in Britannia e in Olanda e spregiava il popolo della Marina come mangiatore di lumache; era un selvaggio attaccabrighe e beone ed era fermamente sicuro che ogni dubbio su questa terra si potesse risolvere mediante una buona stoccata. Non era così molto dissimile da Braquemart nel rifiutarsi al dubbio, ma di questi assai più sano, poiché dispregiava la teoria, lo apprezzavamo per la sua spensieratezza e il suo buon appetito, e benché alla Marina non fosse al suo posto, non si può tuttavia far rimprovero al lupo se altri lo nomina guardiano”…

Certo controllare con telecamere, tenere le persone prive di conoscenza, non farle crescere interiormente nell’anima è più semplice e più comodo che farle crescere edificarle interiormente e culturalmente e si incorre in meno rischi … Nessuno o quasi sarà in grado di essere un pensatore autonomo, in grado di strutturare valori assoluti di etica di “Bene”… Solo un buon Padre di famiglia ci tiene ad avere i propri figli autonomi e saggi ed una buona madre di famiglia coopera… Accordo che dovrebbe essere stipulato è sancito pure tra Stato e Chiesa… Altrimenti non è da stupirsi se dilaga la corruzione perché quella esterna non è figlia della corruzione dell’anima?

Di nuovo Jünger sempre da: “Sulle scogliere di marmo”:

“Nel salto ero caduto sul terreno molle dell’aiuola di gigli e con stupore vidi che il giardino era mirabilmente illuminato. I fiori e i cespugli splendevano di un alone azzurro, come se fossero di porcellana dipinta e resi vivi da un motto magico.

In cima al susseguirsi di terrazze, di cui il giardino era composto, e dal vestibolo Lampusa ed Erio contemplavano l’incendio; e vidi anche fratello Ottone, in vesti da cerimoniale, sull’altana dell’Eremo della Ruta ascoltare assorto in direzione delle gradinate delle Scogliere di Marmo, donde al modo di un torrente ora si precipitava la ciurma della foresta con i cani. Già essi s’intrudevano per la siepe, come topi, e battevano coi pungono contro le porte del giardino , quando fratello Ottone sorridendo innalzò, per prova la lampada di cristallo di rocca, ove una azzurra fiamma danzava. Egli non parve avvertire che intanto la porta si sbrecciava per i colpi degli aizzatori dei cani e che il branco oscuro irrompeva gioioso nell’aiuola dei gigli, alla sua testa Chiffon Rouge con il suo collare di risplendenti lame.

In quello smarrimento alzai la voce per chiamare fratello Ottone, che vedevo pur sempre immobile e assorto sull’altana; ma non udì, e si rivolse altrove con sereno sguardo e portando la lampada entrò nell’erbario. Al modo dell’iniziato di maggior grado, egli doveva nel momento della rovina consacrare l’opera cui avevamo dedicato la vita, e non gli era possibile il vedere in quell’attimo la mia miseria fisica.

Quindi chiamai Lampusa, che stava dinanzi all’ingresso della cucina scavata nella roccia, il viso illuminato dall’incendio; e la vidi rimanere immobile, le braccia incrociate: mentre un sorriso sardonico le scopriva il dente, ella guardava verso di noi tumultuare cani e gentaglia. Capii che non dovevo attendere da lei pietà. Sino a quando davo figli alla sua figlia e colpivo con il braccio armato di spada il nemico, ero il benvenuto; ma chiunque egli fosse, il vincitore era per lei buono ugualmente a far da genero, ed ella ugualmente disprezzava chiunque fosse debole e vinto.

Allora, e mentre Chiffon Rouge stava per balzar su di me, finalmente Erio venne in mio soccorso: il ragazzo aveva afferrata la ciotola argentea, che ancora si trovava nel vestibolo dopo la distribuzione del pasto dei serpenti. Egli batte’ contro di essa, non come di solito con il cucchiaio di legno di però, sibbene con una forchetta bronzea; e dalla ciotola ottenne un suono che somigliava una risata e che faceva rabbrividire uomini e bestie. Intesi le buche delle Scogliere di Marmo risuonare di sottili fischi, che si elevano in diversa guisa d’aria. Nello splendore azzurro del giardino di luci più chiare parvero avvivarsi, e le Lachesis lanceolate apparvero a guisa di lampeggi dai loro crepacci. Esse scivolarono lungo le aiuole come bianche lucide strisce di una frusta, è un vortice di petali di fiori s’alzò al soffio del loro passare. Quindi, formando sul terreno un aureo cerchio, si sollevarono fino ad altezza d’uomo, e di qui agitavano a cadenza il capo in un moto di pesante pendolo; le fauci e le bifide lingue rilucevano mortalmente come sonde di un ricurvo vetro. Un lieve sibilo tagliava l’aria, accompagnando la danza, come di acciaio che si raffreddasse in acqua, e un sottile battere di nacchere di danzatrici moresche saliva dalle incastonature di pietra delle aiuole.

In quel cerchio la ciurma della foresta rimase impietrita per lo spavento, e gli occhi le uscivano dalle orbite. Il serpente che chiamavamo il “grifone” era il più alto da terra; la chiara testa a forma di scudo ondulava attorno a Chiffon Rouge e tracciava linee formando figure e intrecci quasi per gioco. Il mostro seguiva col capo e con gli occhi quel moto sinuoso e danzante, tremando e con il pelo arruffato. Finalmente il grifone sembrò sfiorarlo appena all’orecchio, e il molosso precipitò a terra tra i gigli, sobbalzando ancora e mordendosi la lingua nei crampi dell’agonia.

Fu il segno per le schiere delle danzatrici, che si buttarono con auree anella sulla preda, avvolgendola in modo che uomini e cani parvero stretti nelle volute di un unico corpo a squame; e anche sembrò che uno solo fosse l’urlo di morte prorompente di tra quella rete, e che la sottile avvincente forza del veleno lo soffocasse subitamente. Di poi le lucenti spire si disciolsero, e le serpi con calme volute rientrarono nei loro nidi.

Dall’aiuola, ricoperta ora di cadaveri nerastri e rigonfi per l’opera del veleno, sollevai ora lo sguardo verso di Erio, e vidi il ragazzo, che Lampusa, affettuosamente orgogliosa, conduceva verso la cucina, rivolgersi verso di me con un sorriso, mentre la porta di pietra stridendo si richiudeva dietro di loro…”

“Il grifone” come la tecnologia sta cambiando il volto della ‘ndrangheta è anche il titolo del nuovo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ed. Mondadori 2023 “Oggi le mafie hanno bisogno di gente che sappia districarsi con i computer più che con le pistole, per non perdere terreno rispetto ai pirati che operano nell’ombra”. Si legge così dal risvolto di copertina del testo:

”In un mondo sempre più interconnesso, dove le distanze vengono annullate da un click e i luoghi d’incontro virtuali stanno soppiantando quelli reali, anche le mafie stanno imparando ad adattarsi: sfruttando le potenzialità della tecnologia, si addentrano nello spazio digitale come fosse un nuovo territorio di conquista. Ancora una volta, la criminalità organizzata dà prova di essere estremamente flessibile e capace di stare al passo coi tempi. Non si serve più di panciotti rozzi e sfrontati, ma di abili professionisti con competenze nel settore informatico e finanziario. Le sue armi sono oggi hardware e software sofisticatissimi, che permettono di insinuarsi negli angoli più oscuri del web, protetti non dall’antica omertà, ma dall’anonimato che lo spazio digitale consente di mantenere. La “scoperta” delle criptovalute, poi, ha aperto lucrose e inattese prospettive, se si pensa che nel 2022 il volume delle transizioni illecite ha raggiunto il record di 20,6 miliardi di euro.

Nicola Gratteri e Antonio Nicaso illustrano questa metamorfosi citando cifre e documenti, a dimostrazione del fatto che la mafia, e in particolare la ‘Ndrangheta, agisce oramai su scala globale, spacciando droga, riciclando denaro, compiendo truffe finanziarie e vendendo armi in ogni parte del pianeta, senza nemmeno spostare da casa.

In questo particolare processo di ibridazione, la ‘Ndrangheta, come il mitologico grifone, incarna al contempo “valori” tradizionali e nuove istanze, rendendo sempre più fluidi i confini tra legalità e illegalità. Le forze dell’ordine, di conseguenza, si trovano al cospetto di sfide inedite, che vanno affrontate con la consapevolezza che, in una dimensione transnazionale, è necessario superare le differenze politiche, culturali e giuridiche in nome di un comune obbiettivo: proteggere la società e le generazioni future dalle insidie di “una mafia silente”, abilissima nell’arte del mimetismo e della metamorfosi.

La visione araldica di Ernst Jünger come lui stesso evidenzia “Sulle scogliere di marmo” vacilla e il libro di Gratteri e Nicaso mettono in evidenza l’evolversi delle mafie a seguito della tecnica, ma sentiamo cosa ha da dirci già nel 1939 Friedrich Georg Jünger al termine del testo “La perfezione della tecnica” nel capitolo terminale intitolato “Guerre mondiali”. Noi estrapoleremo qualche passaggio del finale.

“…Chi ha compreso la connessione tra guerra e tecnica non ha problemi a comprendere le forme in cui si fa guerra. Comprende il nesso causale e le consequenzialità dell’avvenimento, capisce anche le necessità della distruzione. Vede che la portata di questa distruzione è determinata esattamente dallo stadio in cui si trova la tecnica. Se però riconosce che le distruzioni massicce sono preformate nel modo di pensare del tecnico, che questo pensiero le evoca e le emana, che il mondo di rovine e cadaveri e l’enorme campo di macerie che circonda l’uomo, è un correlato, un corrispettivo di questo pensiero, allora ha già guadagnato qualcosa. È un mondo morto verso cui la meccanica si precipita, è più gli automi sono veloci, su cui noi procediamo, è più velocemente si espande la morte che è nella meccanica. Questa morte non è però un Ade greco, da cui ogni anno sbocciano fiori, frutti e vita. È una morte che corrisponde al pensiero causale e al suo concetto meccanicistico di tempo.

Con l’espandersi del processo lavorativo tecnico in tutto il mondo, anche la guerra assume un’estensione planetaria. Si fa ovunque con gli stessi mezzi, in Europa, in Africa, in Asia, nelle isole dei mari del sud e nelle foreste tropicali. Si può fare ovunque gli automi che superano gli spazi vi conducono mezzi e uomini. Creare comunicazioni meccaniche è uno dei maggiori interessi della tecnica che non perde mai di vista la più lontana delle miniere sfruttabile, anche la più remota. […] L’impegno che le guerre mondiali pretendono è rovinoso sia per chi vince che per chi perde, per il carattere totale del lavoro e dello sfruttamento. Il consumo aumenta tanto da contribuire a consumare la vittoria. La fine della guerra è terribile quanto la guerra stessa. L’ordine lavorativo è scosso. Alle crisi che ne derivano non sono preparati neppure gli Stati più forti. La guerra diviene guerra civile. Dato che la condizione della tecnica è uno stato rivoluzionario e lo è in permanenza, significa in altri termini che nel suo decorso uno stadio di stabilità è impensabile. Questo movimento rullante, dinamico impressiona, ma è chiaro che progredisce solo a costo di grandissimi sacrifici e vittime… L’idea di rivoluzione permanente è, anch’essa meccanica… La rivoluzione permanente presuppone che non esista alcun stadio che valga la pena di essere conservato, ma che piuttosto si debba intraprendere un continuo adeguamento ai risultati del progresso tecnico…

L’idea della rivoluzione permanente spiega anche perché il progresso tecnico non faccia che autodilaniarsi, inghiottendo di nuovo le sue apparecchiature e l’organizzazione. Dai miseri inizi è sorto il colosso che vuole come proprio nutrimento tutta la terra e la terra stessa non basta. Le guerre mondiali avvengono nello stadio colossale della tecnica, in cui essa per la gran fame comincia a fagocitare i suoi stessi rifiuti prendendo in considerazione anche le sue feci.

Ci si chiede come si possa evitare una terza guerra mondiale, o meglio, chi la vorrà evitare. Nessuno Stato, neppure la potenza più forte, dispone da sola dei mezzi per impedire la guerra, perché anche il più forte non può competere con una coalizione. Un’organizzazione mondiale per il mantenimento della pace è un mezzo a doppio taglio. Il segno caratteristico di una tale organizzazione è di aspirare al monopolio della guerra e, grazie a questo monopolio, decidere chi è che disturba la pace e chi deve essere attaccato. Una coalizione, tanto forte da avere il monopolio a guerra, determina anche le decisioni sulla guerra, sull’attacco, sulla difesa, sui mezzi leciti. Ma nell’idea che nel tempo del maggiore sviluppo tecnico, che aumenta perennemente il potenziale di guerra degli Stati, possa esistere un comitato stabile per il mantenimento della pace, una specie di perpetuum stabile, è contraddittoria. I mezzi, che un comitato del genere può usare, possono essere presi solo dall’organizzazione tecnica. L’impotenza degli Stati di fronte agli eventi esplosivi, che conseguono all’evoluzione della tecnica, è evidente. Non c’è Stato capace di dominarli perché in ogni organizzazione statale si è insinuata la tecnica che scava lo Stato dall’interno. L’uomo non domina più la regolarità tecnica, messa in atto da lui stesso. È questa che governa lui.

La società è in transizione. Le vecchie leggi già poco adoperate non coprono più le esigenze di una società "globalizzata" che si avvia verso un mondo planetario e come tale dovrà essere regolamentato come si può evincere da quanto riportato dal libro “Il grifone” e per le esigenze che nascono dall’ampliarsi della tecnica su spazi planetari.

A questo punto è ancor più importante educare e bene le presenti generazioni di giovani? Si sta creando un nuovo mondo e ancor mancano leggi per proteggere ogni aspetto della vita: la salute, il lavoro, l'economia dell’uomo.

Solo un essere educato non come un robot, ma come un reale essere, sveglio,desto, che intraprenda un profondo contatto col Cielo, se stesso ed il mondo circostante, conoscitore di cultura classica e della tecnica può intraprendere con successo la nuova sfida che noi tutti stiamo attraversando, portandoci fuori dalle tenebre verso la vera Luce.

Fare dei sogni a occhi aperti è alla base di ogni progetto di cambiamento politico, economico, sociale. Ogni programma che intenda promuovere un cambiamento sostanziale nel mondo, per quanto radicato sul terreno della realtà, sviluppato col pragmatismo e le astuzie della ragione, deve avere e deve essere sospinto da un sogno. Avere un sogno da realizzare assume infatti la qualità di una visione, una possibilità immaginata che genera eccitazione e vitalità e crea la possibilità che il singolo si realizzi a livello personale.

Kiekegaard nel suo diario scriveva che: "È proprio vero quello che dicono i filosofi: La vita va compresa all'indietro." Ma non bisogna dimenticare l'altro principio che "si vive in avanti". Ma per viverla in modo non spericolato va programmata e per programmarla bisogna capire a cosa si può andare incontro, utilizzando le proprie conoscenze. In altri termini, per essere vissuta in modo riflessivo, la vita esige che si sia compreso qualcosa del passato.

È il passato che ci forrnisce la casistica degli eventi tra i quali ricercare quelli utili, ed è ancora dal passato che emergono delle ridondanze che fanno pensare alle presenza di costanti, di regole più generali che possono risultare istruttive. È questa conoscenza che ci fornisce la struttura entro la quale dare vita alla capacità di immaginazione, quella stessa immaginazione che ci ha fatto navigare nelle storie possibili ed impossibili e che, nelle storie future, è messa a servizio di un progetto. Essa fornirà alle storie future quella creatività necessaria per pensare a delle alternative in modo efficace e fungere da ispirazione per le scelte da fare, il suo simbolo potrebbe essere Giano bifronte: è situato nel presente ed è rivolto sia indietro che avanti.

Il video che vi presentiamo quest’oggi è con Stefano Arcella e Emmanuela Bertucci e si intitola: “Perché in Italia dilaga la corruzione”.

Stefano Arcella: saggista, è studioso dei culti gentilizi nella Roma arcaica, dei culti misterici nel mondo greco-romano con particolare attenzione ai Misteri di Mithra in età imperiale romana, del Neoplatonismo rinascimentale e del pensiero esoterico del Novecento europeo. Ha collaborato e collabora con molteplici riviste culturali ed è stato relatore in numerosi convegni di studi. Ha curato e introdotto diversi scritti di Julius Evola e ha pubblicato, fra l’altro: I Misteri del Sole. Il culto di Mithra nell’Italia antica e Misteri Antichi e Pensiero Vivente.

Emmanuela Bertucci: avvocato dal 2004, cassazionista dal 2017,fornisce consulenza e assistenza - giudiziale e stragiudiziale - in ambito civile, penale e amministrativo.
Da sempre molto sensibile alla tutela dei diritti civili e alle tematiche sociali. Pubblica articoli e partecipa spesso a diverse trasmissioni televisive.

VIDEO. "Perché in Italia dilaga la corruzione" - con Stefano Arcella e Emmanuela Bertucci

 

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 L'ASSOCIAZIONE #EUMESWIL​ è un’associazione culturale non-profit, sorta a Firenze e Vienna con lo scopo di studiare e diffondere l’opera, il pensiero e lo stile esistenziale di #ErnstJünger​.

L’Associazione si fonda su tre pilastri:

CULTURA - Intesa come coltivazione di sé.

TRADIZIONE - Come l'eredità spirituale dei nostri antenati.

RETTITUDINE - Come modo di essere e non di apparire.

Visita il Sito: Associazione Eumeswil

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