Apologetica: interpretazione Sacre Scritture, organizzazione Chiesa primitiva, ricevere l'ostia
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Apologetica: interpretazione Sacre Scritture, organizzazione Chiesa primitiva, ricevere l'ostia

Il senso della vita
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Apologetica: interpretazione Sacre Scritture, organizzazione Chiesa primitiva, ricevere l'ostia
Apologetica: interpretazione Sacre Scritture, organizzazione Chiesa primitiva, ricevere l'ostia

 

Per chi serba ancora l'abitudine di alzare la testa al cielo e porre la sua attenzione all'infinito mutevole, avrà notato che su tanti alberi fiorentini - oramai - vi dimorano verdi pappagalli che giocano, svolazzano, cantano.

Se il pappagallo, per la bellezza del suo piumaggio colorato, ci rallegra così come per la sua imitazione del parlare umano, ci intimorisce allorquando - si spera - nella vita, di non ripetere a pappagallo ciò che apprendiamo, ma di tingerlo con esperienze profonde personali e riflessioni proprie.

In una città come Firenze è facile vedere sulle rive del suo fiume Arno il volo delle anatre. Il volo dell'anatra nel linguaggio runico rappresenta l'uscita da questo mondo per entrare in una dimensione più alta: una rottura di livello. Talvolta nelle giornate che paiono bigie, dove un raggio di sole non compare ad illuminarle, sembra che il mondo degli umani si scordi di cercare di entrare in contatto con le tecniche che producono rotture di livello e lo facciano ricercare come svelare il mondo. In quelle giornate buie e cupe sembra che il mondo intero sia proiettato verso un abbassamento del proprio livello d'essere e non edificazione...

Appartenere ad una associazione culturale che crede e concepisce la cultura come coltivazione dell'essere umano vuol dire anche che tale associazione si vede come cenacolo dove stesso la cultura diviene cibo di qualità superiore per la propria interiorità. Perché questo possa cercare di realizzarsi occorre restringere il proprio campo di azione ad autori che, nel modo loro proprio e più diversificato, hanno avvertito la dimensione dello spirito e della spiritualità come motore primario per districare i propri passi nella vita terrena. Una associazione culturale che si considera come cenacolo terminerà pure i propri incontri con un agape, un finire il proprio incontro con un pasto comunitario per meglio approfondire le tematiche ascoltate grazie alla presenza dell'ospite di onore e l'incontro reciproco.

A Firenze abbiamo la Basilica di Santa Croce depositaria di una reliquia della Croce di Cristo e nella Chiesa dei Santi Apostoli sono presenti le tre schegge della pietra del Santo Sepolcro. Con queste pietre focaie si accende il cero pasquale del Duomo di Firenze nella celebrazione più liturgica dell'anno... Nel Sabato Santo il corteo storico della città viene a prelevare solennemente le pietre ed il Portafuoco per l'accensione in Duomo del fuoco sacro e, con esso, del cero pasquale, simbolo della resurrezione di Cristo.

San Miniato a Monte gode il privilegio di essere "porta del Paradiso" e secondo la tradizione il cristianesimo giunse a Fiesole nel I secolo con Romolo – discepolo di Pietro – primo vescovo della diocesi di cui ora è patrono. Fu martirizzato con alcuni compagni nel 90. La sua vita è raccontata da tre codici redatti tra l'XI e il XIV secolo. A lui è dedicata la cattedrale, eretta dal vescovo Jacopo il Bavaro nel 1028. Sempre secondo la tradizione un gruppo di cristiani fuggiti da Fiesole con Romolo – il quale avrebbe portato in Toscana la sacra immagine della Vergine dipinta dall'evangelista Luca – edificò il primo nucleo del futuro santuario dell'Impruneta, vicino Firenze. (Avvenire).

Esiste, se anche poco se ne parla, una Firenze assai cristiana...

Tantissimi inoltre sono i cenacoli dipinti che adornano gli spazi sacri della città.

Una associazione culturale che ha come suoi pilastri, oltre alla cultura e al retto agire, anche la tradizione e ha sede a Firenze non può dimenticare, tralasciare di menzionare il cuore spirituale di dove risiede, vive, si nutre.

Riportiamo Ernst Jünger:

"Viene da chiedersi se piante ed animali siano mai vissuti in paradiso. Ad essi furono in ogni caso attribuite potenzialità superiori, soprattutto l'immortalità. In questo modo essi erano indipendenti dal tempo e dunque dalla generazione, dall'esistenza di nutrirsi e di bere, in senso triviale.

Le rappresentazioni che ci si fanno della loro essenza sono svariate: non cambiano soltanto a seconda delle lingue e dei climi, ma sono addirittura rimesse al singolo individuo. Egli può credere che il frutto dell'albero della conoscenza fosse una mela, o anche una fragola, così come è raffigurato nei quadri inquietanti di Hieronymus Bosh.

Il ritorno all'origine si conclude con il ritrovamento dei gesti primitivi, che sono conformi alla rappresentazione più di qualsiasi materiale. Il movimento compiuto accanto al frutto è quello dell'avvolgere e richiudere, un contatto con la curvatura perfetta. In natura le spire del serpente si muovono in orizzontale, nel mito in verticale. Eppure il movimento e la forza sono gli stessi. Nessun passo è mosso invano.

Il mondo perfetto si rifiuta alla raffigurazione. Qualcosa di esso deve tuttavia filtrare, o non sarebbe possibile pensarlo, sentirlo e, soprattutto, avvertirne la mancanza.

Tale mancanza è dolorosa. Gli animali e le piante non vi partecipano con coscienza, ma certo con dolore. Essa attraversa la storia e si acuisce con il progredire della conoscenza. [...] Anche l'uomo potrebbe vivere in paradiso. Successivamente, deposta la sua veste temporale, cambierà di piano, senza però lasciare la casa. Qui potrebbe dischiudersi una luce nuova. Baudelaire deve averla in qualche modo avvertita quando descrisse da due, da tre lati "La Chambre double", che egli chiama la sua "stanza paradisiaca". Nessuna opera d'arte decora questa camera. Sarebbe stato blasfemo. Anche Giovanni, a Patmo, non vide alcun tempio nella città eterna.

Ciò che siamo abituati a chiamare vita, anche nei secondi più felici, non ha nulla in comune con questo superiore genere di vita che posso ora qui assaporare - minuto dopo minuto, secondo dopo secondo.

No! Nessun minuto, nessun secondo più. Il tempo cessa di essere, domina l'eternità".

È il desiderio ardente di godere di attimi di eternità in terra, per accostarsi almeno come speranza ardente all'Eterno, che smuove il ricercatore spirituale a ricercare comprensioni e letture inusuali della vita.

I molti simboli e riti che stiamo vivendo, sbocciarono nel "reale e sacro cenacolo" dove si venne a realizzare un legame saldo tra l'uomo e Gesù Cristo, un legame eterno... per chi desidera liberamente accostarsi a tale rapporto...

Vi è un volume di arte, assai ricco, intitolato: "La tradizione fiorentina dei CENACOLI" dove in modo corale, diversi esponenti del mondo della storia dell'arte si sono resi disponibili ad interpretare e a cogliere le migliaia di possibilità di lettura delle molteplici rappresentazioni dell'ultima cena.

Riporteremo l'introduzione del compianto Antonio Paolucci, che il mondo di Eumeswil ha avuto il piacere di ospitare come suo relatore, per cercare di comprendere il valore che spesso si cela agli occhi dei più di fronte ai cenacoli:

"Lavabo inter innocentes manus meas et introibo altarem tuum Domine". Come erano belle le parole che ancora si ascoltavano, nel canone della messa in latino, prima della riforma liturgica!... Oggi, per ritrovare il senso di quelle parole, bisogna entrare nei cenacoli degli antichi conventi fiorentini (Santa Croce...) che il vento laico della Modernità trasformò in Musei, come ci spiega Silvia Meloni Trkuljia in un capitolo di questo libro.

Ci si lavava le mani, in attesa di accedere alla mensa del refettorio conventuale che cenacolo si chiamava e si chiama in memoria della "Coena Domini", essendo il mangiare insieme figura della mensa eucaristica e richiedendo perciò nettezza di corpo e purità di cuore. Il nome "lavabo" è rimasto, transito dal latino liturgico, per significare il luogo e lo strumento delle abluzioni rituali. Poi, lavate le mani, i fratelli consacrati (ce lo ricorda Timothy Verdon citando le antiche costituzioni domenicane) prendevano posto seduti nella panca fuori del refettorio e lì, tutti insieme, recitavano il "De profundis". "De profundis clamavi ad te Domine, Domine exaudi deprecationem meam...": dagli abissi meraviglioso del Salmo saliva la preghiera a Dio che solo può dare la spirituale purificazione prefigurata e significata dalla lavanda delle mani. Si entrava infine nel refettorio che era spazio consacrato caratterizzato da architettura e decoro particolari (come ci spiega Rosanna Caterina Proto Pisani) e che di norma buoni cibi e buone maniere allietavano (si veda il saggio di Allen Grieco) senza che mai si perdesse, tuttavia, il senso liturgico del mangiare insieme. È questo l'aspetto che mi ha sempre affascinato negli antichi cenacoli. Mi piacerebbe che il visitatore che entra in San Salvi per Andrea del Sarto, in Santa Apollonia per il Castagno o in Ognissanti per il Ghirlandaio, tale aspetto fosse messo in condizione di avvertirlo.

Nella tradizione dottrinale cattolica e dunque nella regola conventuale, un atto fisiologico elementare e primario è stato ritualizzato. Essendo il consumare il cibo in comunità un momento di " stare insieme ", è diventato un fatto liturgico. Nel cenacolo la comunità riunita ritrova la sua identità e rievoca, in una specie di mimesi simbolica della "Coena Domini", l'istituzione eucaristica. Si mangia ma al tempo stesso si medita e si prega. In genere l'ambiente che ospita la cena dei monaci o delle monache, dei fratelli o delle sorelle, è illustrato con rappresentazioni allusive alle verità della Fede (l'Ultima Cena con un ruolo egemone, ma anche la Cena in Emmaus, la moltiplicazione dei pani e dei pesci...) oppure con immagini riferite alla storia e alla disciplina dell'ordine. A dare figura ai valori spirituali e ai significati religiosi che abitano il cenacolo, venivano chiamati gli artisti, pittori di affresco per lo più. Potevano essere maestri eccelsi come Andrea del Sarto che, nel Cenacolo di San Salvi, affascina il visitatore di oggi esattamente come affascinava, quasi cinque secoli fa, Giorgio Vasari per "la grandezza e grazia infinita di tutte quelle figure".

[...] Sempre però gli artisti, ai più grandi come ai più piccoli, fu consentito di esprimere liberamente stili e tendenze, emozioni e sentimenti. Accade così (ce lo spiega bene Cristina Acidini Luchinat nel suo saggio) che l'iconografia dell'Ultima Cena, dominante nei cenacoli, diventi occasione per esibire straordinari repertori di psicologie e caratteri, si trasformi in teatro in atto.

Guardando ad una pittura di un cenacolo possiamo cogliere in base ad alcuni elementi pittorici presenze del mondo invisibile, possiamo anche leggere la sensibilità dell'artista nell' accostarsi al mondo sovrannaturale che si dischiude nel corso di quell'"Ultima Cena" che ci smuove ad un cammino di "imitazio Christi".

Cristina Acidini Luchinat termina così il suo scritto dal titolo "Gli apostoli dell'Ultima Cena, testimoni umani del divino":

"La raffigurazione della fragilità umana nel soggetto religioso dell'Ultima Cena riesce, oggi come nel passato, a renderlo più accostante e familiare. Destinata alle comunità monastiche, per conferire sacralità al pasto in quanto metafora eucaristica, l'Ultima Cena additava alla meditazione dei religiosi, ma anche di molti laici (con più o meno vivacità a seconda della bravura del pittore), la pochezza morale di alcuni apostoli nell'ora del turbamento. E ognuno, riconoscendo Giuda invaso da Satana è irrimediabilmente perduto; e Pietro aggressivo e potenzialmente violento, lui che di lì a poco sarebbe caduto nella debolezza di un triplice rinnegamento; e Tommaso, pronto a dubitare se non addirittura già incredulo; e tutti gli altri, o vanamente rumorosi, o invasi da neghittosa malinconia, o tanto distratti da continuare a mangiare e bere senza far caso alla sofferenza del Signore; ognuno allora si sarà sentito meno solo, nella sua lotta quotidiana per non cedere al peccato, per conquistare la salvezza dell'anima".

Cerchiamo di comprendere in maniera più approfondita Giuda e Pietro. Entrambi errano nei confronti di nostro Signore eppure, se il primo, era si potrebbe dire "destinato" a compiere il tradimento e si legge nei Vangeli che con quel boccone di pane Satana entrò in lui, rimarrà il traditore storicamente di Cristo, mentre Pietro, pur rinnegando Gesù tre volte è destinato a fondare la Chiesa su quella "pietra" di cui proprio nel video a cui si fa da corredo il presente scritto ci parlerà il Rev. Don Curzio Nitoglia. Nel video il Padre ci parlerà in modo chiaro, dettagliato, preciso del Suo testo: di "Apologetica" ed in particolare del sorgere della Chiesa, di come leggere le Sacre Scritture, di come accostarci all'ostia consacrata e molto altro...

Noi invece, dal canto nostro, ci accosteremo all'interpretazione di Maurice Nicoll su Giuda e Pietro. Focalizzeremo l'attenzione soltanto su alcuni punti per non rendervi troppo stancante la lettura se già non vi siete addormentati sopra o l'avete abbandonata... Partiamo dal considerare che: "Pietro non rifiuta Cristo, ma lo rinnega, una, due, tre volte (cioè totalmente) di notte, alla fine del giorno, o meglio prima di un altro "giorno", quando il gallo canta. Giuda Iscariota non rinnegò Cristo, ma lo rifiutò globalmente: Giuda pensa che Cristo è un uomo comune, ma innocente. Sappiamo che quando si "pentì" disse che Cristo era innocente (Mt. XXVII, 3-5).

Si dice che in questo passo Giuda si pente. Il suo pentimento non ha nulla a che fare con la parola greca metanoia, il cambiamento di mentalità, il pentimento, che Cristo aveva insegnato. Qui viene usata una parola greca che significa semplicemente "sentirsi responsabile". Ma quello che siamo invitati a fare è a trasformarci e le Sacre Scritture, la vita monastica ci danno un esempio dopo l'altro di come sia possibile farlo.

"Marco dice che quando Gesù scelse i dodici discepoli, Simone lo soprannominò Pietro. Pietro in greco è petros, roccia o pietra. Nel Vangelo di Matteo la scelta del nome Pietro è descritta in modo più completo. Simone ha riconosciuto Cristo come "figlio del Dio vivente" e Cristo gli dice: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Coeli" (Mt. XVI, 18-19). A Pietro sono promesse le chiavi dei cieli, cioè il potere di comprendere l'insegnamento che Cristo dava al genere umano, cioè la possibilità di evoluzione interiore di un uomo per raggiungere uno stato interiore chiamato cielo, diverso da quello della terra. Il potere dell'uomo è intellettuale e roccia o pietra si riferiscono unicamente alla conoscenza, la conoscenza della Verità che Cristo insegnava. Anche se ne è mentalmente capace, tuttavia la sua fede in Cristo e per Cristo, e non in se stesso... Ma Cristo predice il 'cambiamento' di Pietro quando dice: "Mi seguirai più tardi". Il gallo è il risveglio e tre volte il rinnegamento totale. Pietro non si sarebbe risvegliato se i suoi sentimenti nei confronti di Cristo non fossero stati distrutti. Quando si rese conto di come rinnegò Cristo, allora si risvegliò. Il gallo cantò. Luca dice che Pietro "Pianse amaramente", quando il gallo cantò e Cristo si voltò e lo "guardò". Pianse perché in quel momento l'insegnamento di Cristo era divenuto emotivo dentro di lui: egli vedeva se stesso alla luce della conoscenza che gli era stata insegnata. Egli vedeva la distanza che c'era tra ciò che egli sapeva e ciò che egli era: alla semplice conoscenza subentrò la comprensione."

Tanta è la strada che siamo chiamati a percorrere per divenire realmente uomini, per crescere in un cammino spirituale... Il tema de La Crocifissione è quello però che ci accompagna di sovente e appare spesso nei luoghi dell'Ultima Cena. Nell'affresco di Gaddinel Cenacolo di Santa Croce (a scrivere Timothy Verdon) ha la forma di lignum vitae, il 'legno' o 'albero' della vita: riferimento, questo, a un testo composto dal teologo francescano san Bonaventura, raffigurato nell'affresco (al piede della Croce, a destra), nell'atto di stilare il suo libello; riusciamo addirittura a decifrare le prime parole del testo: "o crux fructex salvificus". Così sopra la Cena in cui Cristo si è offerto come cibo, e sotto la croce in cui si è sacrificato materialmente, Bonaventura insegna che - da quell'impegno sacramentale, e da quel sacrificio fisico - scaturiscono 'frutti salvifici' nella vita rinnovata di chi è perdonato e nutrito dal Signore. Dal 'tronco' della Croce, poi, nascono come rami dodici scritti, i quali elencano i capitoli del libro di san Bonaventura e da questi 'dipendono' i frutti spirituali che la vita trasformata del cristiano deve portare. Il riferimento è evidentemente al Vangelo di Giovanni, dove Gesù afferma: "io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, ed io in lui, fa molto frutto (Gv 15,5). L'affresco di Taddeo Gaddi offre infine esempi concreti di 'tralci' che, rimanendo 'in Cristo' hanno portato molto frutto - uomini la cui vita è stata trasformata da Cristo, cioè -: sono le figure dietro a Bonaventura: sant'Antonio da Padova, san Domenico e san Ludovico di Tolosa. Soprattutto san Francesco, inginocchiato al piede della Croce che abbraccia, è esempio di chi- per essere rimasto 'in Cristo' - diventa spiritualmente fruttuoso. È significativo che, nell'affresco, Bonaventura non guardi verso l'alto, a Cristo, ma davanti a se', a san Francesco, considerato un 'alter Christus' e segnato dalle stimmate. Per la spiritualità francescana, nel 'poverello' era stata realizzata quella trasformazione totale, quella quasi identità di vita, descritta dall'apostolo Paolo nella frase con cui Bonaventura apre il prologo del " Lignum vitae": " sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Galati 2,20)..."

Luisa Vertova, grazie alla quale si aprono gli studi sui cenacoli, così conclude il suo scritto:

"Oggi, un numero crescente di laici (ne' praticanti cattolici ne' intellettuali credenti) sceglie l'ospitalità di antichi monasteri per una fuga estiva da un vivere alienante. Intanto, la conservazione dei tesori d'arte che la fede ha alimentato nei secoli, ha portato alla creazione di musei anche nei refettori soppressi o caduti in disuso. [...].

Resta aperto il problema di come favorire l'accesso a certi ambienti senza ledere il loro invito alla elevazione spirituale. A Firenze, l'idea che un luogo d'arte sia un asilo per tranquille riflessioni estetiche e sottili piaceri edificanti è stata vanificata dalle turbe che il tamburo pubblicitario della industria turistica lancia, impreparate, all'assalto di mostre e musei, per fuggevoli e idolatranti omaggi a feticci. Oggi, a Firenze, per i cenacoli museificati, esprimo umilmente un desiderio paradossale eppure ampiamente condiviso. Vorremmo che l'invito al silenzio, leggibile a chi visita le celle di San Marco, fosse ripetuto ai visitatori di tutti gli ex refettori; e poiché una lettura latina di testi sacri sarebbe incomprensibile ai più, la vorremmo sostituita da una lenta e purificante musica monastica; e poiché le sacre immagini sono indecifrabili per i più, vorremmo semplici foglietti da consultare e, volendo, portarsi via; e poiché il visitatore entrato in quella che era una privata ed esclusiva abitazione di una comunità - nella casa di una 'famiglia' - vorremmo che egli vi constatasse come era, in vecchie stampe e planimetrie, quella dimora. I più (oi polloi, dicevano i greci antichi e dicono ancora gli inglesi odierni) andrebbero fatti aiutare a sentire e a ragionare con calma, senza essere frastornati e subissati da chiacchiere e confusione.
In un mondo di continui sproloqui, un po' di tacita quiete fa bene."

Composto a Londra da Händel, il Messia è considerato una delle principali opere ispiratrici nella storia della musica e viene spesso suonato in parte o nella sua totalità nella settimana Santa. Ispirato dagli angeli, e tentando di rappresentarne la divinità con la sua musica, Händel scrisse il Messia in sole tre settimane. La parte forse più famosa dell'opera è il coro dell'Alleluia. Si racconta che un assistente sia entrato nella camera di Händel dopo averlo chiamato per svariati minuti senza ottenere risposta. L'uomo trovò il maestro in lacrime e dopo avergli chiesto la causa di tanta disperazione Händel sollevò lo spartito del coro dell'Alleluia e dichiarò di avere creduto di vedere il volto di Dio...

Nietzsche annuncia che Dio è morto. In sottofondo hanno detto che gli dei si sono ritirati. Per essere morto Dio vuol dire che ha vissuto. Noi sappiamo che a Napoli gli dei sono tornati da poco... e Dio è passato a nuova vita. Ora sta a noi renderlo vivo in noi e noi in Lui.

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 L'ASSOCIAZIONE #EUMESWIL​ è un’associazione culturale non-profit, sorta a Firenze e Vienna con lo scopo di studiare e diffondere l’opera, il pensiero e lo stile esistenziale di #ErnstJünger​.

L’Associazione si fonda su tre pilastri:

CULTURA - Intesa come coltivazione di sé.

TRADIZIONE - Come l'eredità spirituale dei nostri antenati.

RETTITUDINE - Come modo di essere e non di apparire.

Visita il Sito: Associazione Eumeswil

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