Le radici dell’idealismo. Lettere a Benedetto Croce e a Giovanni Gentile
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Ven, Apr

Le radici dell’idealismo. Lettere a Benedetto Croce e a Giovanni Gentile

Il senso della vita
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Giorgione, Tre filosofi 1508-1509 circa, olio su tela. Museo di storia dell'arte, Vienna
Giorgione, Tre filosofi 1508-1509 circa, olio su tela. Museo di storia dell'arte, Vienna

 

nel 1959 viene alle luci An der Zeitmauer, Al muro del tempo, saggio prognostico pubblicato da Ernst Jünger e tradotto in italiano da Julius Evola con lo pseudonimo di Carlo D’Altavilla. Si tratta di uno dei saggi più rappresentativi del pensiero del Grande Maestro di Wilflingen che in questo momento varrebbe veramente la pena di leggere e rileggere chiedendoci a che punto della storia siamo.

Si sa che per fra molti si ipotizza e si sente che siamo già oltre la storia. Si potrebbe pertanto avere intrapreso il terzo cammino dell’uomo: l’uomo mitico, l’uomo storico, l’uomo del dopo la storia…

Ma in questo momento a noi sta a cuore Evola, come atto di gratitudine nei suoi riguardi, che portò in Italia e fece conoscere in Italia -per primo- il pensiero di Ernst Jünger.

Per tanto oggi, vi porgiamo, grazie alla presenza di Stefano Arcella, il video di presentazione del libro: Julius Evola. Le radici dell’idealismo. Lettere a Benedetto Croce 1925-1933 e a Giovanni Gentile 1927-1929 edito dalla Fondazione Julius Evola i libri del Borghese, a cura di Stefano Arcella, introduzione di Hervé A. Cavallera, postfazione di Giovanni Sessa.

Stefano Arcella, saggista, è studioso dei culti gentilizi nella Roma arcaica, dei culti misterici nel mondo greco-romano (con particolare attenzione ai Misteri di Mithra in età imperiale romana), del Neoplatonismo rinascimentale e del pensiero esoterico del Novecento europeo. Ha collaborato e collabora con molteplici riviste culturali ed è stato relatore in numerosi convegni di studi. Ha curato e introdotto diversi scritti di Julius Evola e ha pubblicato, fra l'altro: I Misteri del Sole. Il culto di Mithra nell’Italia antica e Misteri antichi e pensiero vivente.

Dato che nel video si parla di "Logge" più volte di iniziazioni e riti noi del mondo di Eumeswil ci teniamo a esporre il nostro pensiero al riguardo tramite l’introduzione a Le società Segrete dal Seicento al Novecento di Gianni Vannoni, uno dei nostri più vicini collaboratori, un testo quasi introvabile, ma assai eloquente. È ancora molto valido.

Le società segrete esistono da tempo memorabile. Se ne trovano, si può dire, in tutte le culture, in tutte le epoche, presso tutti i popoli. È probabile perciò che esse rispondano a un bisogno inerente alla natura stessa dell’uomo, anche se ciascuna società segreta, osservata nel suo peculiare contesto sociale, politico, economico, può essere ricondotta a esigenze specifiche di tal genere.

L’uomo ha sempre cercato il proprio vantaggio: da qui l’opportunità di trovare alleati, di stringere legami, che gli permettano di conseguirlo. Ecco l’idea di "mutuo soccorso", ecco i segni di riconoscimento propri delle società segrete, forieri di buone sorprese, ricchi di possibilità verso l’ignoto della vita, tali da suscitare l’amico sconosciuto, l’aiuto insperato.

Ma il criterio utilitaristico non è sufficiente a coprire la vasta fenomeno già della società segreta; si danno situazioni, infatti, in cui l’appartenenza a una setta va contro l’utile della persona che pure vi aderisce, mettendo a repentaglio la sua stessa vita, o i suoi beni, o le sue possibilità di successo materiale.

Vi sono dunque delle molli più sottili, a determinare la spinta verso la conventicola ed il segreto. Il desiderio di rivalsa nei confronti delle società, ad esempio, può spingere a un individuo frustrato verso una specie di società alternativa, ove si colgano quelle gratificazioni che la società più grande gli ha negato. E questo può spiegare tante qualifiche ampollose, tante cerimonie e decorazioni che solitamente si incontrano nello studio delle società segrete. Può spiegare, inoltre, come le società segrete abbiano spesso un ruolo deviante agli occhi dei rivoluzionari, in quanto offrono una valvola di sfogo a pulsioni che altrimenti si indirizzerebbero al rovesciamento dell’ordine costituito; e come, d’altronde, sui tempi lunghi esse giochino invece un ruolo propizio alle rivoluzioni, in quanto favoriscono il nascere e il diffondersi di stati d’animo e di ideologie che pongono sotto accusa l’assetto attuale della società.

Ma anche il criterio della vanità insoddisfatta presenta i suoi limiti. Infatti nelle società segrete dei popoli arcaici, o dei cosiddetti "primitivi", l’iniziazione è comunitaria, e non vi è scarto, né compensazione rispetto all’ordine costituito.

Tutti i giovani della tribù passano attraverso le crude prove dei riti puberali, soltanto così potranno divenire adulti, e appartenere alla società di adulti. Dinanzi al giovane che riesce a superare l’iniziazione si apre una vita nuova, la vita degli "uomini": i sacri misteri, l’amore (matrimonio), la caccia e la guerra. Egli entra a far parte di un gruppo saldamente omogeneo, che si confronta con i gruppi delle altre tribù. Riceve un linguaggio segreto, che non deve usare con estranei, siano pure la moglie e i figli, è un nome nuovo, anch’esso segreto.

Nelle società più complesse ed articolate l’iniziazione si trasforma, da comunitaria in corporativa. Non tutti i giovani sono ammessi agli stessi riti di iniziazione. La società segreta diventa il luogo delle diverse "vocazioni"; la via del guerriero è riservata ad una parte degli adulti; ad altri si aprono altre vie; quelle dei mestieri. È famosa la corporazione dei muratori, poiché il simbolismo è stato ripreso dalla moderna massoneria, ma molti i mestieri possibili, e le relative confraternite; tessitori e fabbri, tra gli altri, presentano caratteristiche di grande spessore per lo studio delle società segrete.

I tessitori medievali, I virtù delle implicazioni ereticali che spesso li contraddistinguono (tixerant divenne, a un certo punto, sinonimo di cataro e di eretico), rimandano al concetto di società segreta come setta clandestina. In questo tipo di società il segreto è prima di tutto una difesa, una modalità di sopravvivenza per ambienti e credenze che si trovano in urto drammatico con la società circostante e il suo sistema di valori.

Ma non sempre il segreto è una necessità sociale, e non tutte le società segrete, quindi sono clandestine. L’idea di mistero è un’idea religiosa; misterioso è li conoscibile, "il totalmente altro", il sacro. L’iniziazione è qualcosa che si situa nello stesso ordine di idee, è un’apertura verso il mistero, un entrare, inire, in un mondo superiore a quello della vita profana. Il nome che gli iniziati ricevono nelle società segrete, diverso dal nome proprio, porta con sé, almeno originariamente, una carica di impersonalità. I settari delle civiltà pre-moderne ricevevano, insieme al nome, una maschera.

Si tratta di superare il proprio "io", di identificarsi con un animale totemico dal quale attingere certe virtù (coraggio, astuzia, ecc.), o con un antenato mitico, anch’esso fonte di forza e di magico valore. Questa particolare mentalità non si riscontra soltanto tra le popolazioni tribali dell’Australia, dell’America e dell’Africa, ma anche nell’Europa medievale. Gli emblemi araldici possono essere visti in questa prospettiva: si pensi al significato che per un cavaliere aveva l’immagine dell’aquila, del leone o dell’orso sulle vesti e sulle bandiere.

In ultima analisi, l’unico criterio esplicativo che sembra conservare la sua validità lungo l’arco della varia e complessa fenomenologia delle società segrete, è il criterio dell’homo ludens, così come è stato elaborato da Johan Huizinga; del gioco, cioè, come attitudine, radicata in un terreno religioso, a costruire una vita superiore a quella del grigio vivere quotidiano. Tale attitudine, staccandosi dal suo terreno originario, tende ad assolutizzarsi, a farsi fine a se stessa, e dà luogo ad una proliferazione incredibile di gradi, di riti, e di società ancora più segrete che si formano all’interno delle società segrete stesse.

Questo carattere di artificialità è sempre più accentuato nella moderna società di massa, poiché l’individuo atomizzato tende a ricreare secondo le linee di tendenza più disparate quei legami che nelle società tradizionali erano ricalcati sui mestieri e sulle professioni. Perciò dal XVIII secolo in poi si assiste a tutta una nuova fioritura "esoterica", nonostante il fenomeno concomitante della desacralizzazione, che segna un profondo mutamento del pensiero occidentale e incide sulle radici stesse della società segreta.

Vino nuovo in otri vecchi. Ma spesso anche gli otri sono nuovi. Il persistere di questo tipo di associazione in un quadro storico affatto diverso, segnato dal razionalismo e dalla concezione quantitativa della natura, pone un problema sul significato che ancora oggi può avere l’iniziazione, tanto che ci si deve chiedere se sia tuttora perseguito lo scopo che si proponevano in antico le società segrete, vale a dire l’instaurazione del dominio cosmico dell’uomo sulla materia informe e su se stesso. Quando questo nobile fine venga di fatto abbandonato, è assai difficile che il territorio rimanga neutro, e nuove polarità allora subentrano, nel passaggio della pseudo-iniziazione a una vera e propria contro-iniziazione. Ed ecco che le società segrete si trasformano in strumenti di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, cioè dell’iniziato sul profano (ma anche dell’adepto sul semplice iniziato), mescolando cinismo e utopia, volgendosi in basso e entrando in quella zona d’ombra che un grande storico, il Ritter, ha definito come il demoniaco -il demoniaco non è la pura e semplice negazione del bene, non è la sfera della totale oscurità che si contrappone alla piena luce, ma è quella mezza luce crepuscolare, dell’ambiguità, dell’incerto, di ciò che vi è di più profondamente sinistro- in una lotta per per il potere condotta con gli obliqui metodi dell’infiltrazione e della sopraffazione, che l’indifferenza o l’impotenza delle autorità e il favore del segreto rendono praticabili e altamente fruttuosi.

Il rapporto tra la società civile e le società segrete deve quindi essere osservato con uno sguardo diverso dallo storico dell’età contemporanea, che si trova di fronte a una situazione oggettivamente diversa da quella dell’etnologo e dell’antropologo. Di fronte alla storiografia convenzionale, che ignora di proposito questa sfera della mezza luce, varranno sempre le parole dell’Amleto shakespeariano: "Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che non ne sogni la tua filosofia"; ma d’altra parte occorre fare attenzione ai pericoli che una sopravvalutazione del fenomeno porta con se’, e tenere presente il valore integrativo, non sostitutivo e falsamente totalizzante, di questo approccio anticoncezionale; mentre va da sé che non è possibile estendere a tutte le società segrete in quanto tali lo stesso giudizio, senza che si trasformi in pregiudizio.

Ciò che uno studioso inglese, il Roberts, nel suo volume The Mythology of the Secret Societies (London 1972), ha chiamato "lo spettro di Disraeli", presenta quindi un doppio volto: se per l’eminente statista di Sua Maestà britannica le società segrete rappresentano in un certo senso uno spettro, in quanto ne ingigantiva la portata e l’influenza sulla politica internazionale, tanto da figurarsi l’Europa coperta da una rete latomistica paragonabile a quella delle nascenti strade ferrate, è anche vero che, per chi vorrebbe escluderne la presenza operante, quella testimonianza proveniente da un uomo politico accortissimo, abile e concreto come Disraeli, costituisce uno spiacevole elemento di contrasto. Si può dire perciò che, se le società segrete erano uno spettro per Disraeli, Disraeli è uno spettro per chi non ammette l’importanza delle società segrete e gli spettri come suggerisce di nuovo Shakespeare, spesso palesano quelle verità che sono taciute dagli altri. Né Disraeli è solo, in questo suo ruolo di fantasma; può fargli infatti da degna compagnia lo statista salesiano Christian von Haugwitz, che fin dal 1777 era assurto a funzioni direttive nella massoneria prussiana, e al Congresso di Verona, nel 1822, rivelò che "esercitare una influenza dominante sui troni e i sovrani, tale era il nostro fine". Per questo motivo si era spiritualmente allontanato dal mondo delle sette, avendo acquisito la convinzione che "tutte le associazioni massoniche, dalla più modesta fino ai gradi più elevati, non possono proporsi che di sfruttare i sentimenti religiosi, di eseguire i piani più criminali, e di servirsi dei primi come mantello per coprire i secondi". Dalla famiglia reale gli era venuto il suggerimento di non rompere completamente, poiché la presenza di uomini onesti nelle logge avrebbe potuto paralizzarne le influenze negative, ma oramai la sua esperienza poneva in dubbio la validità di tale strategia.

Un altro appunto si può muovere allo storico che accetti la sfida conoscitiva delle società segrete: quello di fare del romanzo giallo. E non sorprende che tale appunto -per quanto divertente per ogni persona dotata di spirito e buona cultura- sia avanzato, di solito, proprio dai difensori di società segrete poste in discussione, quando si trovino a corto di argomenti più specifici. Ora, senza entrare in una scolastica disquisizione sui generi letterari, né riaprire la discussione sulla storia come arte o come scienza, bisogna notare che una cosa è la forma, altra la materia; se la materia è relativa a un mistero, ciò non dipende dallo storico, ma dalla struttura delle società segrete; e se questo mistero ha dei risvolti criminali, come talvolta accade -basti pensare all’omicidio di Garcia Moreno, all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e di Sofia Chotek, al delitto Matteotti, al caso Stavisky, al caso Sindona-Gelli-Calvi, tutti episodi in cui si trovano implicate società segrete- ciò, ancora, non dipende dallo studioso, ma da chi gli appronta la materia. Poiché la differenza fondamentale tra il romanzo giallo e la storiografia delle società segrete è proprio questa: che qui la materia è fornita dall’accadere esterno, già dato, mentre nel romanzo è frutto d’invenzione; e mentre nel romanzo si racconta lo scioglimento di un mistero, nell’opera storica lo si fa, o meglio si cerca di farlo, poiché non è la stessa mente a disporre la sfida conoscitiva e la sua risoluzione. Come diceva Sir Robert Anderson, "l’autore di un romanzo poliziesco fabbrica contemporaneamente la serratura e la chiave, mentre Scotland Yard non può che cercare la chiave che conviene alla serratura". Il fatto è che la storia, non solo delle società segrete, ma la storia in genere, per il suo elemento critico ed euristico -che la difende da altre è ben peggiori contaminazioni, quali sarebbero quelle con l’oratoria, la retorica e la propaganda- presenta uno spiccato carattere di affinità con l’inchiesta poliziesca, come ha notato il Goblot nel suo Traité de logique, e come lessico stesso suggerisce (ricostruzione storica, ricostruzione di un delitto, testimonianze, prove materiali, moventi psicologici ecc). Se poi l’autore dell’opera storica vuole osservare l’esigenza di condurre l’indagine in termini rigorosamente logici, si viene certo a produrre una somiglianza più con l’investigatore romanzesco che con il suo corrispettivo nella vita reale -ma non fino al punto da confondere i generi, che lo stesso S.S. Van Dine, principe del romanzo- enigma, teneva a distinguere nettamente nella tredicesima delle sue venti regole auree: "13 Società segrete, associazioni a delinquere et similia non trovano posto in un vero romanzo poliziesco. Un delitto geniale è interessante è irrimediabilmente sciupato da una colpa collegiale. Certo anche al colpevole deve essere concessa una chance: ma accordargli addirittura una società segreta è troppo. Nessun delinquente di classe aceterebbe". Regola alla quale si deve aggiungere l’altra, di Somerset Maugham: "Che qualche cosa sia avvenuta nella vita reale non è per questo un soggetto adatto di un romanzo. La vita è piena di improbabilità che il romanzo non ammette".

In questo momento che le ombre divengono più lunghe è meglio uscire e ricercare la luce del sole! Anche dietro una nube notiamo una lieve presenza luminosa ad essa è meglio affidare la nostra esistenza se all’Eterno e all’Eternità osiamo pensare e desiderare… 

(VIDEO) Julius Evola. Le radici dell’idealismo. Lettere a Benedetto Croce e a Giovanni Gentile, con Stefano Arcella

 

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L’Associazione si fonda su tre pilastri:

CULTURA - Intesa come coltivazione di sé.

TRADIZIONE - Come l'eredità spirituale dei nostri antenati.

RETTITUDINE - Come modo di essere e non di apparire.

Visita il Sito: Associazione Eumeswil

 

 

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