Ipercolesterolemia: molti pazienti non raggiungono livelli di colesterolo “Ldl” desiderabili, servono percorsi di presa in carico in prevenzione secondaria e primaria
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Ipercolesterolemia: molti pazienti non raggiungono livelli di colesterolo “Ldl” desiderabili, servono percorsi di presa in carico in prevenzione secondaria e primaria

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(Adnkronos) - 27 Gennaio 2023- In Italia, ogni anno, per malattie cardiovascolari muoiono più di 224.000 persone: di queste, circa 47.000 sono imputabili al mancato controllo del colesterolo. Il colesterolo, infatti, rappresenta uno tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare, causando per il servizio sanitario

nazionale un impatto clinico, organizzativo ed economico enorme. La spesa sanitaria diretta e indiretta è quantificabile in circa 16 miliardi di euro l’anno. Nonostante questo scenario, su oltre 1 milione di pazienti a più alto rischio l’80% non raggiunge il target indicato dalle più recenti linee guida internazionali. In questa area fortunatamente le terapie a disposizione, tutte estremamente efficaci, hanno portato evidenze scientifiche robuste e consolidate negli anni sul loro valore preventivo e curativo sia in prevenzione primaria sia in prevenzione secondaria, ma oggi è necessario intervenire ulteriormente perché ci sono bisogni insoddisfatti.  

Su questo tema e sulle possibilità di potenziare e migliorare il percorso di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie cardiovascolari si sono interrogati gli esperti di Emilia Romagna e Toscana, all’evento “PNRR, IPERCOLESTEROLEMIA, RISCHIO CARDIOVASCOLARE TRA BISOGNI IRRISOLTI, INNOVAZIONE E NUOVE NECESSITÀ ORGANIZZATIVE”, organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Daiichi-Sankyo. 

Quali nuove opportunità di cura e quale accesso e quali bisogni organizzativi? Rossella Marcucci, Professoressa Ordinaria Medicina Interna, Università di Firenze e Direttrice SOD Malattie Aterotrombotiche, AOU Careggi di Firenze, ha evidenziato le molteplici possibilità di intervento terapeutico, tali da consentire di ottenere l’obiettivo desiderato nella quasi totalità dei casi: la terapia di primo livello con statine che inibisce la sintesi epatica e che deve essere impiegata alla dose massima tollerata, scegliendo la statina in funzione della riduzione di colesterolo LDL necessaria in quel soggetto; alla statina può essere affiancato l’impiego di ezetimibe che inibisce l’assorbimento intestinale di colesterolo; di prossima introduzione nel mercato è l’acido bempedoico, da solo o in formulazione di associazione con ezetimibe, che può essere usato in aggiunta a statine ed ezetimibe o senza statine nei pazienti intolleranti.  

“Rispetto a queste classi di farmaci per os, abbiamo adesso a disposizione anche nuovi farmaci che hanno come target PCSK9, proteina necessaria nella regolazione del recettore LDL. Bloccare PCSK9 significa ridurre in modo importante (circa 50%) i livelli di colesterolo LDL” ha proseguito la professoressa Rossella Marcucci. “Possono essere impiegati anticorpi monoclonali (evolocumab e alirocumab) che richiedono una somministrazione sc ogni 15 giorni: per entrambi abbiamo la dimostrazione derivante da studi di fase 3 della riduzione degli eventi cardiovascolari successiva all’assunzione del farmaco. Di più recente introduzione è il blocco di PCSK9 attraverso l’azione di inibizione della trascrizione di RNA messaggero con inclisiran che può essere somministrato, sempre sc ma in ambito ospedaliero, ogni sei mesi”. 

“La disponibilità di molteplici agenti farmacologici fa sì che, allo stato attuale, la vera necessità clinica è quella di trovare il modo adeguato di raggiungere tutti i pazienti – ha sottolineato ancora la Marcucci - Le ‘fotografie’ dal mondo reale, infatti, ci raccontano una realtà molto lontana dalle linee guida, con un elevato numero di pazienti che non raggiunge i livelli di colesterolo LDL desiderabili. Lo sforzo che dobbiamo fare è creare dei percorsi di presa in carico del paziente:in prevenzione secondaria, in modo che il paziente riceva un controllo a 1-3 mesi dall’evento acuto che consenta di modulare la terapia e iniziare, se necessario, una terapia di secondo livello. Successivamente il paziente potrà essere reinviato al territorio per la fase cronica, in cui dovrebbe essere messe in atto le strategie per ottimizzare l’aderenza terapeutica. In prevenzione primaria, creare un canale di connessione tra il medico di medicina generale e il centro ospedaliero di riferimento che possa accogliere e diagnosticare i pazienti con FH”. 

Secondo Fabio Pieraccini, Direttore Assistenza farmaceutica ospedaliera Forlì-Cesena AUSL della Romagna, bisogna investire non solo sulla prevenzione ma anche nel cercare di capire il fenomeno del mancato raggiungimento del target “sostanzialmente possiamo attribuirlo o ad una intolleranza terapeutica o ad un mancato raggiungimento del target da parte dei pazienti in terapia o, soprattutto, alla mancata aderenza alla terapia che in questa patologia si interseca anche con il tema della politerapia. Questo tema va affrontato usando strumenti corretti ma soprattutto va affrontato con un approccio multiprofessionale che includa il medico di medicina generale, lo specialista, l’infermiere di comunità, il farmacista ospedaliero e il farmacista di comunità. Credo che questa rete vada sempre più messa a terra, è vero ci sono progetti che hanno cercato di dare la vera presa in carico del paziente ma sono a macchia di leopardo. Credo che oggi dobbiamo fare passi avanti per fare in modo che il paziente sia al centro e che tutta la sua storia sia controllata da tutti i professionisti, investendo in programmi ad hoc”.  

“Credo anche –ha aggiunto il dottor Pieraccini - che non dobbiamo abbandonare monitoraggi e studi di farmaco-utilizzazione a livello locale perché possono essere dei “campanelli di allarme” per poi andare a verificare meglio se il paziente sta assumendo bene la terapia.Alcuni dati raccolti nella coorte di pazienti dal 2012 al 2019 hanno mostrato che solo il 20% dei pazienti erano a target e c’era una aderenza che oscillava tra il 40-50%, un po’ più alta nei pazienti ad alto e altissimo rischio, un po’ più bassa in quelli a medio e a basso rischio”.  

Elisabetta Alti, Direttore Dipartimento Medicina generale AUSL TC, ha posto l’attenzione sulla necessità di una appropriatezza organizzativa e di una appropriatezza prescrittiva. “La pandemia ha purtroppo fatto molti danni, è il momento di ripartire con una sanità di iniziativa che significa che il medico di medicina generale in modo proattivo controlla determinati target di popolazione da lui assistita coordinandosi con gli specialisti che li hanno in cura. Il valore aggiunto è dato dalla telemedicina e dal teleconsulto perché offrono la possibilità di avere contatti più snelli e di integrare quei percorsi sempre più personalizzati e più territorio-ospedale-territorio.Per quanto riguarda l’appropriatezza prescrittiva, dalla parte del medico di medicina generale si ha una discrasia fra la prescrivibilità e la rimborsabilità e lo stesso accade per lo specialista.Inoltre, anche i nuovi farmaci devono essere inseriti in una maggiore prescrivibilità, ci deve essere una alleanza con i professionisti ma anche con gli organi regolatori in modo da favorire un appropriato uso della risorsa del farmaco che porta ad una diminuzione degli eventi e della mortalità solo se utilizzato correttamente”.  

Secondo Emanuele Ciotti, Presidente Regione Emilia-Romagna ANMDO e Direttore sanitario AUSL di Ferrara, bisogna lavorare sull’interdisciplinarietà: “serve una interlocuzione continua tra lo specialista, il medico di medicina generale, gli infermieri di comunità e le équipe multidisciplinari. Serve un approccio integrato tra professionisti e medici altrimenti non riusciremo a raggiungere gli obiettivi che ci siamo preposti”.  

Altro tema affrontato: l’appropriatezza prescrittiva per cui secondo Ciotti molte persone sono sotto-trattate, occorre fare formazione in questo senso,e la digitalizzazione in sanità che è fondamentale per vedere a distanza la persona, per effettuare monitoraggi continui, video-consulti, video-colloqui,che possono fare la differenza “e la nostra Regione sta facendo molto in questo senso” ha concluso Ciotti.  

Elisa Romagnoli, Dirigente Medico SC Medicina interna e Area critica AOU Modena, ha infine posto l’accento sullo screening e sul ruolo dello specialista internista.  

"Lo screening raccomandato dalle linee guida internazionali per identificare i pazienti con fattori di rischio predisponenti la patologia cardiovascolare (pressione arteriosa e valori di colesterolemia LDL) è di tipo opportunistico ovvero senza una strategia predefinita, e pertanto da mettere in atto ogni volta un paziente si presenta alla nostra osservazione per una qualsiasi ragione. Fondamentale diviene quindi il ruolo dello specialista internista, ovvero del medico della complessità e della gestione a 360°gradi delle problematiche del paziente che dovrà identificare i pazienti che beneficeranno maggiormente del trattamento dei fattori di rischio cardiovascolare. Tra questi i pazienti affetti da diabete mellito, insufficienza renale cronica, con storia di ipercolesterolemia famigliare, i pazienti affetti da patologia cardiovascolare aterosclerotica nota ma anche i pazienti apparentemente sani" ha concluso Elisa Romagnoli. 

Ufficio stampa Motore San ità  

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