(Adnkronos) - "Nel mondo di oggi ci sono davvero molte cose per cui essere arrabbiati, ma il paradosso è che siamo chiusi nelle nostre sicurezze e isolati con gli smartphone, arrabbiati con persone che non abbiamo mai incontrato. Questo
contribuisce a farci sentire impotenti e incapaci di agire permettendo ai 'cattivi' di arrivare al potere. Credo che sia vitale mettere in discussione tutto, soprattutto sé stessi: più si è sicuri di qualcosa e più si dovrebbe dubitarne". Così all’Adnkronos il regista Rian Johnson parla del tema del dubbio al centro di 'Wake Up Dead Man', terzo capitolo della saga 'Knives Out' con protagonista il celebre detective Benoit Blanc, interpretato da Daniel Craig. Una riflessione quella del regista condivisa dall'attore Josh O'Connor, tra i protagonisti della pellicola: "Credo che viviamo in un'epoca in cui tutto sembra bianco o nero, le persone hanno le loro opinioni e ci sono due fazioni contrapposte. Ma non è mai così", dice. "Recentemente ho parlato con persone dalle idee politiche molto diverse dalle mie, anche in Italia. È sorprendente quanto si possa trovare in comune con qualcuno in 15-20 minuti di conversazione anche se le opinioni sono completamente diverse. E questo - osserva l’attore - non puoi farlo con un tweet, né con un messaggio o su Instagram". Per l’attore "non è solo colpa dei nostri smartphone, ma della mancanza di connessione e di dubbi".
Sul tema interviene anche la collega e attrice Kerry Washington: "Nel mondo di oggi sembra un atto di grande coraggio essere disposti ad ammettere di essersi sbagliati su qualcosa perché molti di noi sono attaccati alle proprie idee e così finiamo per definire noi stessi in base al proprio sistema di credenze. C’è la necessità di cambiare tendenza, il mondo ne ha bisogno". In questo capitolo - dal 12 novembre su Netflix - Benoit Blanc (Craig) torna per affrontare il suo caso più pericoloso nel terzo e più oscuro capitolo dell’opera di Rian Johnson. Quando il giovane prete Jud Duplenticy (O’Connor) viene inviato ad affiancare il carismatico e focoso Monsignor Jefferson Wicks (Josh Brolin), è chiaro che qualcosa non va tra i banchi della chiesa. Il modesto ma devoto gregge di Wicks comprende la pia signora della chiesa Martha Delacroix (Glenn Close), il riservato custode Samson Holt (Thomas Haden Church), l’avvocatessa sempre sotto pressione Vera Draven (Washington), l’aspirante politico Cy Draven (Daryl McCormack), il medico del paese Nat Sharp (Jeremy Renner), il celebre autore Lee Ross (Andrew Scott) e la violoncellista Simone Vivane (Cailee Spaeny). Dopo che un omicidio improvviso e apparentemente impossibile sconvolge la cittadina, l’assenza di un chiaro sospettato spinge la capo della polizia locale Geraldine Scott (Mila Kunis) a unire le forze con il rinomato detective Benoit Blanc per svelare un mistero che sfida ogni logica.
Un microcosmo imperfetto quello descritto nel film che diventa specchio della realtà tra personaggi repressi, intolleranti e dal rancore che spesso si trasforma in violenza. Johnson spiega come questo scenario sia, in realtà, un modo per raccontare la complessità del mondo reale: "Tutti i miei film iniziano con un gruppo di persone odiose o meschine, ma spero anche che il pubblico possa capire cosa le ha portate a essere così", racconta. "Qui si parla di fede e di Chiesa e ciascuno dei personaggi della congregazione riflette una mia esperienza personale con la Chiesa", quindi "dovevo riconoscere parti di me stesso in ognuno di quei personaggi, anche nei più arrabbiati o in quelli che hanno preso la strada sbagliata". Per farlo "devi provare empatia o rischi di renderli superficiali".
Attraverso la saga 'Knives Out' "Rian sta facendo qualcosa di interessante: un primo livello c’è il thriller, ed è divertente stare lì a chiedersi chi sia il colpevole; e poi c’è un secondo livello che ti permette di riflettere sulla società di oggi", spiega Kerry Washington, che aggiunge: "Questa storia non ci sta chiedendo solo di guardare il mondo che ci circonda, ma di porci delle domande su chi vogliamo essere nel mondo in cui viviamo". Parole condivise anche da Cailee Spaeny: "È esattamente ciò che dovremmo fare tutti in questo momento".
Nel film la verità è sempre sfumata, continuamente ribaltata, e alla domanda se oggi conti più la narrazione dei fatti, O’Connor osserva: "Penso che le narrazioni siano più importanti dei fatti. Mi viene in mente quella che chiamiamo l'era della post-verità. A volte mi sembra che anche questo concetto sia leggermente distorto e disonesto, perché non si tratta necessariamente di fatti, narrazioni o post-verità. Penso che il punto sia che viviamo quasi in un'era di post-ascolto". Parlando del suo personaggio, Jud, dice: "Lui cerca di ascoltare tutti, uno per uno. E fa del suo meglio per comprendere il punto di vista di ognuno. E questo è qualcosa che ci manca davvero molto, cercare di capire le persone e ascoltarle nel miglior modo possibile".
Alla fine dell’intervista, emerge un confronto tra il ruolo di Washington nel film e quello iconico di Olivia Pope nella serie 'Scandal': "Entrambe sono avvocate, ma Vera mi affascina perché ha sacrificato gran parte della sua identità per la congregazione e per la cultura della cittadina. È una donna che si risveglia e che ritrova sé stessa mentre osserva le dinamiche del proprio mondo", racconta. "È un processo completamente diverso da Olivia Pope, che è sempre in controllo, tranne quando c’è Fitz (il presidente degli Stati Uniti della serie con il quale Pope ha una storia d’amore, ndr)", spiega ridendo. E conclude: "È stato divertente interpretare un personaggio così imperfetto". (di Lucrezia Leombruni)
