(Adnkronos) - Se con 'Le Perfezioni' (vincitore del premio Mondello 2023 e tradotto in 17 Paesi) il tema generazionale era già presente ma piegato a esigenze narrative, l’ultimo libro di Vincenzo Latronico 'La chiave di Berlino' (Einaudi) si propone di diventare un testamento dei nostri tempi. Almeno di quella generazione under
30: fuori tempo per essere bambini ma ancora troppo giovani per sentirsi adulti. Una terra di mezzo e di nessuno. Berlino diventa il teatro di quelle angosce e speranze.
Li chiamano expat: una parola che Latronico, afferma a La Ragione in parte disprezza "pur non riuscendo a trovare un altro termine così esaustivo. Rappresenta tutti quei giovani che vanno via dalla propria terra magari per esigenze lavorative o anche soltanto per cercare sé stessi, come ho fatto io. Dei privilegiati. Altrimenti li definiremmo immigrati". Nella differenza fra expat e immigrato si cela il peso culturale di questo fenomeno in costante crescita: "Per me sta tutto nella facilità con cui si possono valicare i confini grazie all’Ue, alla moneta unica, ai progetti Erasmus, ai voli low cost. Farlo in passato – come fece mia madre quando si trasferì in Lussemburgo nel 1993 – comportava uno strappo netto che adesso è appena percettibile" osserva lo scrittore romano. Berlino – le statistiche lo confermano – è stata eletta a terra promessa di questa generazione che non si guarda indietro e si mescola sradicando le proprie radici. Latronico, dopo aver vissuto una fetta di vita a Milano, ne osserva i punti in comune: una cosa che le rende così simili è purtroppo la speculazione edilizia dilagante. L’idea che con uno stipendio dignitoso non ci si possa permettere una casa, un hobby. Insomma, una vita normale", spiega a La Ragione.
Alla domanda se ha rimpianti, la sua risposta è secca: "Certo, sempre. Rimpiango di essere ritornato, di aver lasciato Milano, di non essere andato a Parigi. Penso che sia questa la fiammella che tiene vivi gli expat come me".