Scrittori: addio a Vittoria Ronchey, raccontò i 'marxisti immaginari'
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Sab, Mag

Scrittori: addio a Vittoria Ronchey, raccontò i 'marxisti immaginari'

Cultura
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La scrittrice Vittoria Ronchey, che aveva esordito nella narrativa nel 1975 con il libro di grande successo "Figlioli miei, marxisti immaginari" (Rizzoli), ambientato nella scuola degli anni di piombo e che suscitò vivaci polemiche, è morta all'età di 96 anni nella sua casa romana.

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Nata a Reggio Calabria il 23 settembre 1925 come Vittoria Aliberti, era la vedova del giornalista e scrittore Alberto Ronchey (1926-2010), ministro per dei Beni culturali nei governi Amato e Ciampi, e madre della bizantinista Silvia Ronchey. Insegnante per decenni di storia e filosofia, lasciò il liceo classico nella Bergamo Alta per seguire il marito a Roma, ottenendo l'incarico al XVI Liceo Scientifico nella borgata di Primavalle (oggi 'Luigi Pasteur'). Qui si ambientano i fatti di "Figlioli miei, marxisti immaginari" (sottotitolo "Morte e trasfigurazione del professore") che narra vicende surreali del mondo della scuola negli anni del post-68 come metafora della società contraddittoria di quel periodo, intrisa di rancori e contrapposizioni ideologiche tra vinti e vincitori, tra usurpati e usurpatori, tra servi e padroni.

Con quel titolo fra l'ironico e il provocatorio, Vittoria Ronchey scrisse, sotto forma di diario, il resoconto della sua frustrante esperienza di docente negli anni della contestazione e della dirompente presenza della politica all'interno della scuola, aggiudicandosi il Premio Viareggio Saggistica Opera Prima e vendendo 130mila copie. Il libro, apprezzato sia dai comunisti che dai democristiani, e persino citato da Enrico Berlinguer in un suo discorso alla Camera, offriva una disincantata riflessione sui mali della scuola italiana, a cominciare dal sistema di incarico delle docenze, passando per la didattica e i programmi ministeriali, fino ad arrivare ai fumosi e inconsistenti "metodi sperimentali" di insegnamento e al "sonno dogmatico" di stampo marxista che ottenebrava le menti non solo degli studenti, ma anche della maggior parte degli insegnanti.

Conclusa la professione di insegnante, Vittoria Ronchey si dedicò interamente alla scrittura, prediligendo la narrativa: il romanzo "1944" (Rizzoli, 1991), ambientato nella Roma occupata dai nazisti, fu inserito nella cinquina dei finalisti del Premio Strega 1992.

Tra le altre sue opere: "Il volto di Iside" (Rizzoli, 1993); "La fontana di Bachcisaray" (Mondadori, 1995), con cui vinse il Premio Hemingway nel 1996: "Un'abitudine pericolosa" (Mondadori, 1997); "Dodici storie di fantasmi" (Longanesi, 1999). Vittoria Ronchey ha tradotto il romanzo "La piccola Fadette" della scrittrice francese George Sand.

(di Paolo Martini)

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