Cina, affondano export e import: ecco perché
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06
Lun, Mag

Cina, affondano export e import: ecco perché

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(Adnkronos) - Affondano a luglio l'export e l'import della Cina, seconda economia mondiale. Calano rispettivamente, secondo i dati forniti dal gigante asiatico e riportati dall'agenzia Dpa, del 14,5% e del 12,4% su base annua. Più delle

attese. "E' possibile che la tendenza continui per tutto l'anno per due motivi congiunti, il raffreddamento dell'economia globale e poi l'impatto graduale del derisking", spiega all'Adnkronos il sinologo Francesco Sisci. Ma c'è anche un terzo elemento e sono "le difficoltà interne" con la domanda interna che - evidenzia l'esperto - "non sta ripartendo" sia perché "è crollato il driver immobiliare, che per 25 anni ha trainato tutta la crescita e che ancora oggi probabilmente occupa il 60% del totale dei crediti bancari", sia perché c'è "probabilmente una sfiducia generalizzata degli investitori e dei consumatori dopo tre anni di chiusura per il Covid" in un Paese che aveva scelto la strategia 'Zero Covid' con lockdown infiniti e misure draconiane per contenere i contagi che hanno avuto un forte impatto sull'economia. E, prosegue l'esperto, c'è anche "l'impatto della campagna contro la corruzione che ha eliminato un vecchio modo di fare affari senza però crearne uno nuovo". 

"Vedremo nei prossimi mesi se le nuove misure varate potranno avere un impatto, ma - avverte - queste misure in realtà si concentrano sull'offerta e non sulla domanda. Mettono a disposizione grandi capitali, ma in realtà, basta vedere i risparmi privati e l'aumento dei depositi a lungo termine, nell'economia cinese non mancano i capitali bensì la voglia di spendere e investire". Senza contare la disoccupazione tra i giovani. 

Sisci vede nei dati su export (le esportazioni sono state storicamente un motore fondamentale di crescita per la Cina) e import "una flessione rispetto al 2022, che era stato l'anno record dell'export cinese", ma "non un crollo verticale", parla di un "segnale importante" e sottolinea come quello che accadrà "dipenderà anche da come reagirà il resto del mondo, se di fronte a questo segnale tornerà in Cina o fuggirà" dal gigante asiatico. 

In questo contesto, secondo l'esperto, i cinesi "dovrebbero varare una serie di riforme interne che tutelino in maniera più organica la proprietà privata", una "rivoluzione totale" con "tutele" che avrebbero "impatto politico". Perché "una tutela forte della proprietà privata significa una limitazione del potere del Partito" e "qui c'è un corto circuito".  

Sisci parla di "investitori e consumatori cinesi incerti del futuro anche perché sta venendo meno quello che è stato per 40 anni il modello di crescita cinese legato a un rapporto quasi simbiotico con gli Usa" in un periodo in cui c'è invece "una tensione crescente". Bisognerebbe anche, evidenzia, "arrivare presto a una piena convertibilità del Renminbi" e "attuare riforme politiche che rendano più trasparente il processo decisionale cinese per gli investitori cinesi e per quelli stranieri". 

Importante sottolineare, prosegue, che "con il crollo dell'export ma anche dell'import il surplus probabilmente rimarrà uguale" dopo che "l'anno scorso è stato di circa mille miliardi di dollari in realtà fatti tutti con i Paesi del G7 allargato". E, dice, "non c'è alternativa a questo" anche se i dati forniti oggi dalla Cina parlano di esportazioni 'robuste' verso la Russia che - conclude Sisci - "non sono tali da compensare minimamente gli scambi con l'America o l'Europa" nonostante l'amicizia tra Mosca e Pechino, che non ha mai condannato esplicitamente l'invasione russa dell'Ucraina. 

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