Russia, De Florio (Memorial): "Detenzione discesa a inferi per prigionieri politici"
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Ven, Mag

Russia, De Florio (Memorial): "Detenzione discesa a inferi per prigionieri politici"

Esteri
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(Adnkronos) - Per un prigioniero politico in Russia la detenzione è una discesa agli inferi. E non solo per lui, ma anche per i suoi familiari e amici. Aleksei Navalny non è l'unico a subire isolamento, mancanza di cure,

maltrattamenti sistematici. "Il numero e il tipo di pressioni, che possono essere psicologiche, fisiche, dalle più brutali alle più nascoste, variano da colonia a colonia, ma ci sono sempre. Tutti i prigionieri politici sono comunque sottoposti a qualche vessazione, dalle meno rischiose a quelle che minano la salute, come nel caso di Navalny, di Vladimir Kara-Murza, ma anche di Aleksei Gorinov, che a 62 anni viene tenuto in una cella fredda e a cui fanno spalare la neve, anche con la febbre, spiega in una intervista all'Adnkronos Giulia De Florio, di Memorial Italia, ricercatrice di lingua e cultura russa all'Università di Padova, co-curatrice di "Proteggi le mie parole" (edizioni e/o) una raccolta delle ultime dichiarazioni di imputati politici a chiusura del processo a loro carico.  

"Le autorità ricorrono a stratagemmi. Quello che accade non rientra in tortura vera e proprie ma potrebbe essere considerata tale per gli effetti sulla singola persona", precisa De Florio, citando il caso dello storico di Memorial Yuri Dmitriev, 67 anni, a cui hanno rotto gli occhiali in carcere e che ha dovuto rinunciare, per sostituirli, a uno dei quattro pacchi che ha diritto di ricevere ogni anno in carcere. Nei suoi confronti, formalmente non c'è tortura. Non è stato picchiato.  

L'isolamento per lunghi periodi è una pratica a cui si ricorre ancora di più in questo ultimo periodo. "Soprattutto dei prigionieri che hanno esposizione mediatica più forte", aggiunge De Florio, ricordando che Navalny per esempio faceva politica con i compagni di cella e di zona, in carcere. "Il rischio è che il loro messaggio passi anche all'interno dei centri di detenzione".  

Non è tortura forse ma "si tratta di disintegrazione della persona, della personalità del condannato che è totalmente in balia dell'amministrazione carceraria, spogliato di qualunque cosa", aggiunge la slavista, indicando, per spiegare questi metodi, il "retaggio culturale non solo di epoca sovietica, ma zarista, imperiale". La maggior parte delle colonie sono nate nel passato remoto e poi usate in epoca sovietica, come quella in cui si trova Dmitriev a Potma, in Monrovia, in cui erano stati spediti i dissidenti che protestarono contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia.  

"Il cittadino russo ha una cultura carceraria, anche se magari non in prima persona. Ma il fenomeno è tanto capillare e diffuso nella storia e nel presente che in qualche modo ciascuno, o una gran parte delle persone, ne ha sentito parlare, è stato toccato o anche solo sfiorato da questo sistema", sottolinea De Florio, evidenziando il trauma e l'incapacità di smantellare questo sistema destinato a rimanere in vita fino a che non ci sarà un rapporto normale fra cittadino e Stato. Ma fino a quando non avverrà, diventerà sempre più forte e pervasivo. Ed è il nodo centrale della Russia di oggi che deriva da un nodo non sciolto della Russia di ieri.  

L'idea alla base di questo sistema è quella di "distruggere ogni forma di opposizione e, come per ogni tipo di dittatura, di essere esemplari. Di fare vedere cosa succede a chi la pensa diversamente". Il giro di vite a cui si assiste ora è dovuto alla necessità di creare sempre maggiore paura in chi ha anche solo una vaga idea di pensare di dire qualcosa contro. Più si inaspriscono le condanne, più aumentano i motivi per cui si può finire nel tritacarne, più le persone iniziano ad avere paura, si autocensurano".  

Ma il messaggio va oltre: "La condanna di un prigioniero politico è una discesa agli inferi non solo per la persona, ma per tutta la sua cerchia di amicizie e familiari. I legami si fratturano, la gente ha pausa di avere contatti e chi rimane deve basare la sua vita su questo. Ci sono difficoltà burocratiche e logistiche incredibili, spostamenti". Il sistema ha come obiettivo preciso quello di allontanare i detenuti fisicamente dalle loro famiglie, lontani dall'attenzione, dove si può agire più liberamente. "La macchina funziona a vari livelli e con diverse dinamiche, ma tutte hanno come fine quello di soffocare il più possibile queste persone, queste voci", conclude De Florio.  

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Author: Red AdnkronosWebsite: http://ilcentrotirreno.it/Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.