(Adnkronos) - Il diabete è uno dei principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Ma il percorso di malattia che porta all'infarto non è lo stesso per tutte le persone con diabete di tipo 2. A individuare due diversi gruppi di pazienti con diabete di tipo 2, che sviluppano negli anni due diverse tipologie di
A fare la differenza – riferisce una nota del Gemelli - è la presenza o meno di complicanze microvascolari. Parametro che potrebbe consentire di stratificare la popolazione diabetica prima della comparsa di un infarto, e dunque guidare il medico alla migliore terapia preventiva, in maniera personalizzata. È la prima volta che vengono distinte queste due grandi popolazioni di persone con diabete di tipo 2, che sviluppano due diverse tipologie di aterosclerosi: una più diffusa e con caratteristiche di stabilità, l’altra più ‘acuta’. La ricerca è stata appena pubblicata su Cardiovascular Diabetology.
“Analizzando i risultati della coronarografia, integrati con studio Oct (Optical coherence tomography) - afferma Montone - abbiamo evidenziato nella popolazione diabetica due diverse tipologie di pazienti: quelli che hanno un’unica grossa placca aterosclerotica ‘soft’, cioè ricca di lipidi e dunque pronta alla rottura (alla base degli infarti più gravi nela fascia di età 50-60 anni) e quelli che hanno estese calcificazioni e tante piccole placche ‘guarite’, diffuse su tutto l’albero coronarico, che danno sintomi cronici di tipo anginoso, piuttosto che un grave infarto acuto”.
"I pazienti del primo gruppo – spiega Pitocco – sono in genere più giovani, obesi, dislipidemici e con un diabete caratterizzato soprattutto dalla resistenza insulinica, più che dalla carenza. Nell’altro gruppo troviamo pazienti in genere più anziani, magri, con un pancreas che ha esaurito la sua funzione e che necessitano di terapia insulinica. Analizzando la presenza o meno di complicanze microvascolari, abbiamo evidenziato la presenza di una correlazione tra complicanze microvascolari diabetiche e tipologia di aterosclerosi ed eventi cardiovascolari al follow up”.
Lo studio ha coinvolto 320 pazienti diabetici (età media 70 anni) con cardiopatia ischemica, al loro primo evento coronarico e sottoposti a coronarografia; in un sottogruppo di pazienti è stato utilizzato anche l’Oct, un microscopio che consente di vedere ‘da dentro’ i dettagli della parete coronarica. I pazienti sono stati suddivisi in gruppi diversi a seconda della presenza o meno di complicanze microvascolari (retinopatia, nefropatia e neuropatia diabetiche). Tutti sono stati seguiti nel tempo per registrare la comparsa di ulteriori eventi cardiovascolari maggiori (Mace).
I pazienti con complicanze microvascolari diabetiche - ancora la nota - tendono a presentare una cardiopatia ischemica caratterizzata da tante calcificazioni e dalle cosiddette placche ‘guarite’ (una sorta di ‘cicatrice’ che è indice di un infarto che stava per verificarsi, ma non è mai avvenuto). Al contrario, i soggetti senza complicanze microvascolari tendono a presentare una cardiopatia ischemica caratterizzata da grandi placche aterosclerotiche lipidiche. Al follow-up, il gruppo di pazienti con microcalficazioni ha presentato un maggior numero di Mace, configurando in questo modo una popolazione con cardiopatia ischemica più suscettibile a ospedalizzazioni ripetute.
“All’interno del gruppo delle persone con diabete di tipo 2 – sottolinea Pitocco - si distinguono due grandi gruppi di pazienti: quelli con resistenza all’insulina e quelli con carenza insulinica. Anche dal punto di vista delle complicanze vascolari, si distinguono i pazienti che sviluppano complicanze microvascolari, cioè a carico dei piccoli vasi arteriosi (retinopatia che può portare a gravi danni alla vista, nefropatia che può portare all’insufficienza renale, neuropatia diabetica che può favorire le lesioni del piede, neuropatia autonomica) e altri che non presentano questo tipo di complicanze. Entrambi i gruppi possono presentare complicanze a livello coronarico, ma con meccanismi diversi, a cominciare dalla composizione della placca aterosclerotica”.
“La calcificazione – prosegue Pitocco - è un processo caratteristico anche della neuropatia periferica diabetica; e con il nostro studio abbiamo evidenziato che, a livello coronarico, i pazienti con complicanze microangiopatiche presentano una composizione di placca diversa rispetto ai diabetici senza complicanze microangiopatiche. Forse la presenza di calcificazioni è legata alla microangiopatia e all’insulina, cioè alla capacità fibrosante dell’insulina (le cellule muscolari lisce dei vasi si trasformano in cellule osteoblastic-like, in grado di depositare calcio sulle pareti dei vasi). Questi stessi pazienti dal punto di vista del loro fenotipo metabolico hanno una carenza di secrezione insulinica e necessitano dunque di una terapia a base di insulina”.
“La medicina personalizzata - conclude Filippo Crea, direttore del Dipartimento di scienze cardiovascolari e pneumologiche, Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e professore ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica - è l’obiettivo finale verso cui tende la medicina moderna. Questa è già realtà clinica per le malattie caratterizzate da una singola alterazione genetica. Per le malattie complesse, come la cardiopatia ischemica e il diabete, causate dall’interazione fra alterazioni poligeniche e fattori ambientali di rischio, un primo approccio intermedio è la medicina personalizzata. Questo vuol dire che i pazienti che presentano la stessa manifestazione clinica, per esempio il diabete o la cardiopatia ischemica, vengono suddivisi in gruppi omogenei che hanno un simile meccanismo di malattia. Lo studio pubblicato da Montone e Pitocco dimostra chiaramente che fra i pazienti che presentano diabete e cardiopatia ischemica è possibile identificare due sottogruppi con diversi meccanismi di malattia che richiedono diverse terapie: questa è la medicina stratificata”.